La strana meteora dell’Osservatorio di Pino Torinese… e le astronavi marziane
Giandujotto scettico n° 39 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (06/06/2019)
La storia dell’Osservatorio astrofisico di Pino Torinese è legata alla crescita urbana e industriale della Torino di fine Ottocento. Sul volgere del secolo era diventato chiaro che gli strumenti di osservazione sistemati dal 1822 sui tetti di Palazzo Madama, in pieno centro, erano ormai affogati nella crescente illuminazione elettrica cittadina. Con un progetto che oggi chiameremmo di crowdfunding, venne costruito un nuovo osservatorio, che nel 1912 potè cominciare le attività. In questa foto potete vedere come si presentava negli anni ’30 del XX secolo (da Alfonso Fresa, L’astronomo P. Giovanni Boccardi, prete della Missione, Roma, 1938).
Al tempo del curioso episodio di cui Il Giandujotto scettico si occupa oggi, la struttura era in difficoltà, perché il suo storico direttore, Giovanni Boccardi (1859-1936), era in pessima salute e le attività ristagnavano.
Dalla primavera del 1922 aveva però preso servizio come assistente un ingegnere venticinquenne, Paolo Vocca. Le fotografie ce lo mostrano ormai in età matura. Tra il 1922 e il 1929 Vocca lavorò molto all’equatoriale fotografico, occupandosi di corpi minori del sistema solare e di comete. Nel 1925 diventò astronomo aggiunto dell’osservatorio.
L’osservazione che ci interessa risale al 1923.
L’Astronomie, rivista della Société astronomique de France, allora era popolarissima. È sulle sue pagine che troviamo il nostro scienziato e la strana osservazione che fece da Pino, probabilmente da una delle strutture del complesso – anche se il breve resoconto non è esplicito al riguardo.
Nel suo ultimo numero del 1923, alle pp. 502-503, L’Astronomie riportava, nella sua consueta rubrica su osservazioni di bolidi e meteore:
Il sig. ingegnere Paolo Vocca, da Pino Torinese (Torino, Italia) – 27 ottobre 1923, alle 19,15 (Tempo dell’Europa centrale): bolide luminosissimo e lentissimo che per l’intero percorso ha illuminato per quasi un minuto il cielo verso ovest. Il cielo era cosparso da nubi spesse, soprattutto verso ovest, quando l’osservatore vide comparire un globo bianchissimo ed accecante che saliva lentamente verso l’alto. Poi il bolide si allungò, si sdoppiò, diventò bluastro e le due parti, avanzando di conserva, lentissime, “come sotto sforzo”, diventarono rosse e scomparvero. Traiettoria: circa trenta gradi. Il bolide sembrava andare verso l’osservatore.
Il fenomeno è già abbastanza strano: un globo luminosissimo che sale in alto, si sdoppia, cambia colore da bianco a bluastro mentre le due parti si spostano lentissime, fino diventare rosse e sparire – il tutto nel giro di poco meno di un minuto. La sensazione che il corpo si muovesse tangenzialmente al testimone potrebbe far pensare a un bolide di grande luminosità che dirigeva verso Vocca, ma non sono note altre testimonianze del fenomeno, per quella data – cosa abbastanza strana in caso di oggetti meteorici, oltretutto così vistosi e di visibilità così elevata.
Di qualsiasi cosa si trattasse, sembrerebbe forse qualcosa di localizzato, non troppo distante da Pino Torinese.
La storia si potrebbe chiudere qui, come una curiosità minima e dai particolari troppo succinti, se – a parte il suo strano bolide – Paolo Vocca avesse compiuto il suo percorso di astronomo e di studioso senza ulteriori notazioni degne di interesse per Il Giandujotto scettico. Ma così non è.
Vocca fece una lunga carriera soprattutto come docente di geodesia e idrografia, ma è chiaro che ebbe interessi per la parapsicologia e per i viaggi interplanetari. Il suo necrologio nelle Memorie della Società Astronomica Italiana del 1955 (la foto che ce lo mostra è tratta da questa fonte), accennava persino a una sua attenzione per “le possibilità di comunicazioni con le umanità sorelle dei mondi siderei.”
Già, perché quell’astronomo, testimone del curioso bolide di Pino Torinese, dal 1952 non esitò a dichiarare in conferenze pubbliche e poi alla stampa di aver esaminato l’andamento degli avvistamenti di dischi volanti degli ultimi sette anni e di essere giunto alla conclusione che i casi aumentavano quando Marte era al perigeo. Sul punto Vocca era esplicito: riteneva Marte abitato da esseri più avanzati di noi. Erano loro, con ogni probabilità, a costruire macchine così sofisticate da muoversi fra pianeta e pianeta.
Da quel che sappiamo grazie ai racconti fatti in seguito dal figlio, l’ingegner Sirio, l’astronomo si interessò di dischi volanti fin dalle prime notizie sul tema. Pensava anzi che il numero di avvistamenti crescesse ad ogni “ciclo marziano”.
Vocca scomparve precocemente, il 31 agosto 1954. Non siamo in grado di dire se fra quel curioso bolide torinese del 1923 e la sua passione per i “dischi di Marte” ci sia stato un rapporto. Una cosa che ci colpisce, però, è che nel 1952-54, quando Vocca si spingerà a dire di credere che i dischi volanti potessero essere astronavi di Marte, il dibattito scientifico sulla possibilità che il pianeta rosso ospitare forme di vita superiori (e men che mai esseri con altissime capacità cognitive, in grado di costruire astronavi adatte a viaggiare fra i pianeti) era ormai spento, e riviveva soltanto nei racconti dei “contattisti”, cioè di coloro che, fin dai primordi dell’era dei “dischi”, dichiaravano senza batter ciglio di essere in rapporto diretto con astronauti provenienti da un po’ tutti i pianeti del nostro Sistema.
Vocca non vivrà abbastanza a lungo da vedere scendere sul suolo marziano, il 20 luglio 1976, il Viking 1 Lander, che non troverà le basi aliene né dischi volanti; solo il freddo suolo roccioso di un pianeta disabitato, lontano anni luce dalla “meteora” torinese e dalle ottimistiche teorie sugli abitanti di Marte e sul ciclo dei viaggi delle loro astronavi.
Foto di stanislao d’ambrosio da Unsplash