27 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Gli spiriti sparagnini di piazza Statuto

Giandujotto scettico n° 31 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (14/02/2019)

Oggi piazza Statuto è considerata uno dei centri “magici” della città di Torino, vertice del triangolo nero con Londra e Los Angeles e punto di ingresso di una delle presunte grotte alchemiche che albergherebbero sotto la città (che ci sian ciascun lo dice, dove sian nessun lo sa).

Nel 1902, però, piazza Statuto doveva essere un punto focale dell’animo positivista di Torino, con quel suo obelisco sormontato da un astrolabio a segnare il gradus taurinensis misurato nel 1760 e il monumento che celebrava il traforo ferroviario del Frejus. Un’opera colossale quest’ultima, inaugurata nel 1879, sormontata da un Genio alato con una stella a cinque punte sul capo, quella simbolo dell’Italia risorgimentale, ad indicare il trionfo della ragione sulla forza bruta, rappresentata invece dai titani caduti, secondo una tradizione ancora vivissima nell’Ottocento.

Eppure di razionale c’era poco, in quanto accadde in una sartoria di questa piazza. Così raccontava il Corriere della Sera del 10 agosto 1902:

Ci mandano da Torino, 8 agosto: Da stamane si fa un certo parlare di alcuni tiri che degli spiriti burloni hanno fatto da stanotte in poi nella bottega del sarto Giuseppe Rabuffetti, al n. 4 di piazza Statuto. Si vocifera di sedie capovolte, di abiti gettati qua e là, di scatole buttate a terra… ; ma ciò che ha fatto più impressione è la caduta, sopra certi pantaloni distesi sul banco, di due monete di nichel da 20 centesimi e d’una terza d’argento da una lira, la quale ultima però di nuovo sparì – certo perché gli spiriti si pentirono della loro poco spiritosa prodigalità. Le donnicciuole di piazza Statuto e dintorni sono commosse da siffatti casi.

Per capire meglio quali fossero questi “tiri” degli spiriti burloni, occorre ricorrere a La Stampa dell’8 agosto e alla Gazzetta del Popolo del 9, dove il caso era trattato con assai maggior dovizia di particolari. La bottega di piazza Statuto 4 era descritta come “non ampia”, ma fornita di una vetrina, di scaffali per esporre le stoffe, di un banco dove venivano disposti gli abiti già fatti, di un canapè e di alcune sedie. Nella parte posteriore, che si affacciava sul cortile, c’era il laboratorio in cui lavoravano tre operaie, la più giovane di soli quattordici anni. L’uomo invece, scapolo e cinquantenne, dormiva in un soppalco al di sopra del retrobottega.

Uno di questi esercizi commerciali di piazza Statuto, a Torino, nel 1902 era sede della sartoria di Giuseppe Rabuffetti – Foto di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo.

Tutto era iniziato con la sparizione di una giacca che le lavoranti stavano sistemando e che Giuseppe Rabuffetti aveva intenzione di indossare per passare qualche giorno in montagna. Quella sera l’uomo era rincasato verso mezzanotte. L’8 mattina, al suo risveglio, aveva trovato le sedie capovolte, i manichini buttati a terra e le stoffe in disordine. La sarta che era venuta ad aprire il negozio era rimasta impressionata e aveva gridato per lo spavento. Nella stessa giornata, secondo La Stampa, il proprietario della bottega aveva trovato a terra tre o quattro panciotti, alcune stoffe e un calamaio che si trovavano inizialmente su uno scaffale.

La Gazzetta del Popolo invece non riferiva questo particolare, ma su un altro concordava con l’altro giornale: il sarto, rientrato da una commissione, aveva visto cadere sui pantaloni allineati sopra al bancone prima una moneta d’argento da una lira e poi due da 20 centesimi. Tra le testimoni dell’evento La Gazzetta del Popolo annoverava anche la portinaia, che raccontava di aver visto coi suoi occhi la caduta della moneta.

Tutti i presenti, spaventati, si erano ritirati nel retrobottega per vedere se gli spiriti avrebbero materializzato altri soldi; ma appena l’uomo si era nuovamente avvicinato al bancone aveva constatato con un certo disappunto che la moneta d’argento era sparita, mentre i nichelini erano rimasti al loro posto. “Spiriti sparagnini”, li aveva definiti Gazzetta del Popolo, aggiungendo un ironico: “si vede che anche laggiù la va male”.

Già, forse i fantasmi si erano accorti che il dono era piuttosto oneroso, e se ne erano ripresi una parte.

Nel frattempo però la voce si era sparsa fra i vicini di casa e presso il portinaio dello stabile, che non sapevano come interpretare i fenomeni. Tutti comunque auspicavano che gli spiriti potessero materializzare anche un bel sacco di monete d’oro – senza farlo più sparire, ovviamente.

La parte più interessante della storia doveva arrivare con La Stampa del 9 agosto. Fin da subito il quotidiano ricordava che il protagonista dell’insolito caso non era nuovo alle cronache. Tre anni prima, mentre camminava in via Palestro, il sarto aveva subito un’aggressione notturna ad opera di alcuni ladri rimasti sconosciuti. L’uomo aveva opposto resistenza ed era riuscito a mettere in fuga i malfattori, ma aveva rimediato alcune coltellate sulle natiche, e non si era mai ripreso del tutto dallo spavento.

Poi, quattro settimane prima della comparsa degli spiriti, Giuseppe Rabuffetti aveva ricevuto una lettera anonima che conteneva “ingiurie plateali e volgari” al suo indirizzo. La busta, di tipo comune, era stata deposta in un angolo della vetrina ma all’interno del negozio, senza che nessuno se ne avvedesse. Sulle prime l’uomo aveva fatto spallucce, ma poi alla prima lettera ne era seguita una seconda, poi una terza, e così via, tutte con la stessa calligrafia e infarcite di offese verso il povero sarto. Per diverso tempo l’uomo e le tre operaie avevano fatto i turni per cogliere l’autore delle missive, ma queste avevano continuato ad apparire senza che qualcuno fosse sorpreso a deporle.

In un solo giorno ne erano apparse addirittura cinque!

Ma non era finita. In una delle ultime arrivate, insieme alle consuete ingiurie l’anonimo aveva scritto al Rabuffetti che se voleva svelare l’enigma della strana corrispondenza avrebbe dovuto mettere una lira sul gradino esterno della bottega.

L’uomo non si piegò al pur modesto ricatto e rispose per iscritto al misterioso personaggio che gliene avrebbe consegnate due, se veniva a prendersele di persona. Poi inserì la lettera in una busta, la depose nell’angolo della vetrina in cui al solito apparivano le missive e si appostò dietro al bancone per vedere se qualcuno veniva a ritirarla. Passato un cospicuo lasso di tempo, il sarto tornò a controllare la lettera, ma rimase esterrefatto scoprendo che questa si era volatilizzata!

Quarantotto ore dopo apparve la risposta ancora per iscritto: siccome l’uomo non gli aveva dato la lira richiesta, non avrebbe saputo la soluzione del mistero.

Quella fu l’ultima lettera arrivata al Rabuffetti. La mattina seguente iniziarono i fenomeni “spiritici”.

A questo punto La Stampa raccontava un particolare che aveva appreso da una delle lavoranti. Il giorno dopo quell’ultima missiva il sarto, dopo essersi svegliato, era andato al caffè a far colazione. L’operaia quattordicenne aveva aperto il negozio, era salita a rifare il letto del padrone e poi era ridiscesa. Poco dopo erano arrivate le altre donne, e mentre una di queste chiacchierava con la portinaia si erano accorte che dalla finestra del soppalco veniva una strana luce. Era un principio di incendio, che aveva coinvolto due scatole da cappelli, alcune cravatte che si trovavano su un tavolo, e la traversa del letto. Ma soprattutto – fatto che spaventò molto le donne – il fuoco sembrava essere scaturito da sotto al cuscino.

Per dodici giorni, tutto tacque. Poi i fenomeni ricominciarono nei termini già menzionati: la sparizione della giacca, la stanza in disordine, la comparsa delle monete. In seguito l’uomo aveva chiuso il negozio e aveva deciso di dormire altrove. La mattina seguente, le donne lo avevano aspettato per aprire la bottega. Questa volta sembrava tutto in ordine, se non che… sulle stoffe in vetrina erano cosparse una polverina bianca e una decina di soldini (sempre nichelini, la lira non era più ricomparsa). Ma quel che era peggio, tre rotoli di tessuto presentavano ampi segni di forbici, e risultavano tagliate quasi da parte a parte.

Il danno era irreparabile e ammontava a circa 150 lire. Quelle beffarde monetine lasciate dagli “spiriti sparagnini” non sarebbero certo bastate a risarcire Rabuffetti!

Purtroppo la vicenda finisce così, con il mistero non svelato. Certo, le ultime rivelazioni fanno pensare a una vendetta molto umana e assai poco spiritica. Aggiungiamo che non era una novità che manifestazioni di questo genere accadessero in esercizi commerciali, al posto che in abitazioni private. La storia “fantasmatica” di Torino ci ha tramandato più casi di questo genere, come quello famoso del negozio di via Bava, avvenuto un anno e mezzo prima del primo di via Madama Cristina, del 1897 (l’altro si verificherà nel 1914). In certi casi vi erano coinvolti i giovani garzoni, spesso pagati col solo vitto e alloggio e maltrattati dai superiori. Grazie agli spiriti potevano prendersi una piccola rivincita sui loro creduli padroni. Non sappiamo se fosse questo il caso pure in piazza Statuto, ma certo anche stavolta alcuni particolari farebbero pensare a un inside job.

Infine, anche la materializzazione di denaro non era una novità nelle manifestazioni spiritiche. Nel 1893 a Torino, in via Buniva, le “forze occulte” facevano piovere dal cielo nichelini di scarso valore (con tutta probabilità, uno scherzo messo in atto da un ragazzino del circondario), mentre nel 1896 in un paese presso Pinerolo, Prarostino, i fantasmi manifestatisi in una canonica avevano materializzato alcune monete di rame provenienti dall’Argentina (in quel caso, forse si trattò di una ripicca ai danni del parroco).

Considerata la fama “satanica” che piazza Statuto assumerà con il sorgere, negli anni ’70 del secolo scorso, del mito della “Torina magica”, quella dei fenomeni della sartoria Rabuffetti è una coincidenza che fa sorridere.

Foto di Luca Mazza da Pexels