28 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Bum! I cannoni antigrandine, passione piemontese

Giandujotto scettico n° 19 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (30/08/2018)

Qualcuno che arriva da fuori Piemonte si sarà chiesto che cosa sono quei curiosi, grandi coni metallici con l’apertura rivolta verso l’alto che ogni tanto punteggiano le campagne della nostra regione. Una visione curiosa e una vista anche un po’ straniante.

Beh, si tratta di un presunto metodo per difendere le colture dalla grandine, antico ma sempre risorto in forme nuove: quello dei cannoni antigrandine, uno dei “sistemi” di maggior successo popolare fra i tentativi di difesa attiva contro il tradizionale flagello dei contadini.

Sebbene l’idea di usare mezzi di difesa attiva contro la grandine sia presente in tutta l’Italia settentrionale sin dalla fine del XIX secolo (a Conegliano Veneto nel 1899 si formò un primo “Consorzio per gli spari contro la grandine” cui aderirono tutti i comuni della zona), la sensazione è che queste pratiche abbiano attecchito in maniera particolare in provincia di Cuneo. Difficile dire con precisione il perché, ma certo l’estensione e la presenza di colture pregiate in Granda unite alle frequenza dei temporali grandiniferi devono esser stati i fattori preponderanti. Da quarant’anni, inoltre, i “cannoni” sono prodotti proprio in queste zone, a Lagnasco.

Di questa passione piemontese conosciamo testimonianze antiche. Il 14 aprile 1903, Liberale Garbaglia, uno studioso di problemi di agricoltura e zootecnia, intervenne sul principale quotidiano del tempo per soppesare il pro e i contro dell’uso dei cannoni antigrandine. L’articolo, pubblicato su La Sentinella delle Alpi, nel complesso si diceva favorevole a spendere denaro pubblico per promuoverne l’uso.

Tale impiego, tuttavia, dopo l’iniziale fortuna nel nord-est italiano, a partire dal 1908 andrà via via declinando, lasciando il posto alla mania dei razzi, poi usciti di scena anch’essi. I cannoni però erano destinati a risorgere in tempi assai più recenti.

Nel 1972, infatti, a Cuneo si costituì il “Consorzio provinciale per la difesa delle produzioni intensive”, la cui attività centrale era razionalmente costituita dall’accensione di polizze assicurative sui danni alle coltivazioni – in primo luogo di quelli da grandine. Il 5 giugno 1976 il Corriere di Saluzzo riferiva che i produttori aderenti al Consorzio in provincia erano già più di cinquemila e che ormai si era giunti a formulare “conclusioni di giudizio sulla validità della tanto strombazzata difesa attiva”: cannoni e bombarde antigrandine erano stati usati “con scarso successo” e sembravano cosa ormai relegata in un angolo.

Ma le cose erano inopinatamente destinate a cambiare. L’aumento dei premi assicurativi e la difficoltà della Provincia a versare il suo sempre più oneroso contributo potrebbero aver giocato un ruolo nella decisione del Consorzio, annunciata nel marzo 1978, di tornare a tentativi di difesa attiva nella veste di “nuovi” cannoni antigrandine ad onde choc la cui sperimentazione doveva iniziare quell’anno (Stampa Sera, 13 marzo 1978).

Visto che di fatto in provincia ce n’erano già una quindicina, importati dalla Francia in modo autonomo da qualche produttore agricolo (a Saluzzo, Lagnasco, Revello, Vinadio…), verso la fine del maggio 1978 il Consorzio decise di acquistarne alcuni a fini di sperimentazione.

Questi cannoni sparavano nient’altro che una miscela di aria ed acetilene, il più classico degli idrocarburi. Consideratane l’alta facilità di scoppio dovuta all’ampio range di valori di miscela fra aria e gas possibili per un’esplosione (i cosiddetti limiti di esplosione) è comprensibile che l’acetilene fosse da lungo tempo utilizzata proprio nei “cannoni”.

Il Comune di Boves fu particolarmente attivo in questo revival dei cannoni. L’amministrazione locale contribuì per conto suo all’acquisto del primissimo esemplare, che fu collocato nel corso del 1978 in località San Mauro (La Guida, Cuneo, 26 maggio 1978). Va tenuto conto, come già accennato, che da poco i “nuovi” cannoni antigrandine avevano cominciato ad esser prodotti anche in zona, a Lagnasco, ad opera di una ditta del posto e a costi assai inferiori a quelli degli equivalenti francesi, cosa che inevitabilmente accelerò il ritorno in scena dei marchingegni, la cui diffusione verrà però ben presto promossa anche dalle amministrazioni locali.

Funzionavano? Le energie in gioco in una cella temporalesca attiva in realtà sono enormi e ben superiori alle possibilità dei “cannoni”, però la fiducia era riposta nella capacità degli apparati di “disordinare” meccanicamente i moti ascensionali nei cumulonembi, principali responsabili della formazione della grandine. Le quote medie alle quali alle nostre latitudini si formano queste nuvole (vi rimanderemo più avanti ad alcune fonti al riguardo) renderebbero comunque assai difficile che i “cannoni” possano generare effetti apprezzabili sulla concrezione dei chicchi. Questo però non rallentò in alcun modo la ricomparsa dei cannoni a partire dal ‘78…

Ad ogni modo, i risultati della sperimentazione di quel primo periodo si riveleranno una specie di boomerang mentale: stando alle cronache già l’anno seguente, cioè nel 1979, parte degli agricoltori cuneesi riteneva i primi esemplari del cannone responsabili… della siccità!

Ecco che cosa era accaduto. Il 27 giugno 1979 un diluvio d’acqua si era rovesciato su Cuneo e su gran parte della provincia, ma non sulla cittadina di Boves e sul circondario, sui quale invece non pioveva da tempo. Parecchi agricoltori della zona pensavano che ci fosse una colpa precisa per questa ingiustizia: il primo cannone antigrandine posto dall’anno prima a San Mauro a guardia della zona aveva bloccato – si supponeva! – la grandine e per conseguenza anche qualsiasi precipitazione su Boves! Dunque, la sera successiva al temporalone, ecco l’organizzazione di un “processo” al cannone, nella forma di un incontro fra agricoltori e Comune a San Mauro – che per disgrazia era proprio uno dei punti più colpiti dalla siccità.

Non conosciamo l’esito del processo, ma l’edizione di Cuneo della Stampa del 28 giugno si faceva portavoce di alcuni cortocircuiti logici che forse stavano dietro alle paure: sospendere l’uso del cannone avrebbe reso incerte ma possibili le piogge agognate in zona, ma certissimi i danni in caso di grandine!

Dunque, che fare? Col protrarsi della carenza di pioggia (che in realtà in quelle settimane colpiva l’intera penisola, non solo quelle aree) le polemiche nel cuneese continuarono, e andarono avanti per tutta l’estate assumendo particolare virulenza nella zona di Villar San Costanzo (La Guida, 24 agosto 1979).

Centro del dibattito però rimaneva Boves: dopo le preoccupazioni dell’estate ‘79 per la siccità attribuita al cannone, la conseguente mancanza di grandine in zona fu rapidamente riletta come chiara evidenza del funzionamento del cannone sperimentato, che nel corso dell’anno aveva sparato circa quattrocento “colpi”. La vicina Peveragno – si adduceva a ulteriore “prova” – invece era stata colpita dai chicchi di ghiaccio durante un temporale violentissimo.

Il risultato del rischio di prestare eccessiva attenzione ad aneddoti basati su singoli casi e ad eventi statisticamente irrilevanti, come probabilmente accadde in quella occasione, è sempre presente sotto forma di fallacia del ragionamento.

Sta di fatto che agli inizi dell’estate del 1980 il Comune di Boves si attivò per promuovere presso gli agricoltori l’acquisto di una batteria di almeno quattro cannoni… (La Stampa, cronaca di Cuneo, 27 giugno 1980).

In anni più prossimi a noi la diffusione massiccia dei cannoni nelle aree delle Langhe e del Roero ha condotto ad altre ondate di polemiche e di paure di segno opposto fra loro.

Nell’estate del 2000, ad esempio, quelle parti della provincia di Cuneo furono colpite da nubifragi intensi e da vere e proprie trombe d’aria. La colpa venne attribuita di nuovo ai cannoni antigrandine (oggi l’acetilene è sostituito dal propano, ma l’idea è sempre quella di provocare vibrazioni nell’atmosfera). Nel renderne conto, Gazzetta d’Alba del 18 novembre 2000 faceva un ragionamento interessante, utile a capire un motivo razionale per il permanere del consenso sull’impiego dei cannoni:

Ma non bastava l’assicurazione? E una domanda legittima, alla quale si può dare una risposta altrettanto eloquente. Innanzitutto, ricorrere ai cannoni non significa rinnegare o essere in antitesi con l’assicurazione, strumento fondamentale in un certo periodo storico e che, per molte aree, lo è tuttora. È però un mezzo di difesa “passivo” contro la grandine, capace, cioè, di salvaguardare in linea di massima il reddito di un’azienda e delle persone che la conducono.

Ma in un’economia di mercato, basata su prodotti prestigiosi e di limitata quantità, non è più sufficiente proteggere il solo reddito, bisogna anche salvaguardare il prodotto, senza il quale si rischia di non avere continuità di mercato e magari di perderlo, con evidenti difficoltà per lo sviluppo futuro. È necessario, quindi, passare da uno strumento di difesa passivo a uno “attivo”, in grado di salvaguardare anche il raccolto e, nel caso della vitivinicoltura, l’annata di un vino.

Se un sistema controverso come questo continua ad essere impiegato una motivazione per chi lo sceglie potrebbe essere non solo o soprattutto di tipo “superstizioso”. Qualsiasi sistema di difesa “passiva” contro la grandine presenta dei limiti di rendimento sul piano economico. Per questo si cercheranno in tutti i modi mezzi “attivi”, perché il problema non è perdere il guadagno che ci si aspetta dalla vendita del prodotto perso. È la scarsità assoluta del bene, l’impossibilità di riprodurlo in fretta, ad assicurare il successo di questi mezzi in certe aree agricole invece che in altre.

Ma torniamo alla storia dei cannoni. Nella primavera del 2001 tutti vogliono i cannoni a Santo Stefano Roero, ma costano troppo (Gazzetta d’Alba, 4 aprile 2001). A fine maggio molti agricoltori decidono invece di comprare i jet boom – questo il nome cool attuale – a Guarene (Gazzetta d’Alba, 30 maggio 2001), subito dopo seguiti da colleghi della vicina Castellinaldo (Gazzetta d’Alba, 13 giugno). Così agli inizi del terzo millennio la corsa alla difesa attiva riparte in tutta la zona – e con essa le polemiche.

Il 4 luglio 2001 sul periodico albese comparve una lunga lettera, polemica e irridente, di un abitante di Monteu Roero che constatava, in presenza dei cannoni, la poco pioggia e il verificarsi di un temporale… grandinifero. La risposta della redazione della Gazzetta d’Alba fu interessante: la Coldiretti locale era “molto scettica sull’utilità dei cannoni antigrandine”. L’associazione non aveva avuto “riscontri positivi dalle ricerche commissionate a ricercatori scientifici”, ma diceva di non essere così chiusa sulla faccenda come altre organizzazioni agricole, concludendo che “se, malgrado i tanti dubbi, i viticoltori vogliono lo stesso dotarsi di questi controversi strumenti, il sindacato non si oppone”…

Si ribatteva ai dubbi con la consueta evidenza aneddotica: l’ex sindaco di Priocca, su Gazzetta d’Alba dell’11 luglio, scriveva dicendo che i quattro cannoni da lui fatti piazzare in paese nel 1990, disattivati dalla nuova amministrazione locale, avevano fatto sì che la zona fosse investita da una grandinata disastrosa, mentre il loro ritorno in azione aveva visto la scomparsa della grandine – stabilendo così rapporti di causa-effetto fra gli eventi del tutto improbabili in termini logici…

Altri continuavano a scuotere la testa a fronte di questi tentativi di difesa dalle dinamiche atmosferiche: nel numero del 25 luglio 2001 del settimanale, anche una produttrice agricola di Monteu Roero qualificava i cannoni come una protesta rumorosa dei contadini contro il cielo, almeno pagata di tasca propria; un altro lettore, nel sentirli sparare in modo disordinato a Serralunga d’Alba, proponeva almeno di farli coordinare da un direttore d’orchestra e qualificava la grandine come “calmieratrice dell’offerta”.

Insomma: i cannoni continuano ad essere un elemento del panorama antropologico della zona – checché se ne voglia pensare – quasi come campane postmoderne che vanno sostituendo quelle delle chiese, ma con l’apertura rivolta all’insù.

Gazzetta d’Alba continuerà per tutto il 2001 ad essere il focus della polemica e ad assumere una posizione fortemente critica sull’utilizzo dei marchingegni. Il 16 gennaio del 2002 un altro lettore replicherà che gli unici a rimetterci, con i cannoni antigrandine, erano le compagnie assicurative e a criticare con veemenza la postura scettica assunta dal settimanale.

La risposta della Gazzetta sarà encomiabile. Sullo stesso numero, infatti, compariranno due ampi servizi raccolti sotto il titolo Cannoni: scienziati scettici. Le osservazioni della testata su vecchie sperimentazioni d’efficacia francesi del 1974 (!), quelle da cui era nato il “nuovo” cannone, erano a dir poco assai prudenti. I risultati offerti erano stati talmente incerti da lasciare spazio solo alle attese dell’esperienza empirica, mentre i produttori dei cannoni sembravano non aver risposto all’invito – formulato anche dal settimanale – di discutere eventuali danni prodotti dalla grandine con i cannoni installati e regolarmente in azione.

L’appeal del sistema, si diceva, era affidato al successo commerciale dei prodotti – migliaia di clienti – e a poco altro, concludeva il lungo articolo del giornalista Claudio Puppione. A complemento, il tecnico agricolo Claudio Sonnati forniva una bibliografia destinata gli “scettici” dei cannoni. Inoltre il piano di sviluppo regionale dell’agricoltura 2000-2006, allora in vigore, finanziava come utili e consigliabili le reti antigrandine, ma non menzionava in alcun modo un sostegno economico per eventuali acquisti dei cannoni…

I dati sulla lotta antigrandine nel cuneese a cura del più volte menzionato Consorzio provinciale oggi mostrano che dai suoi esordi, nei primi anni ‘70, sino almeno al 2011, la quasi totalità della lotta e degli impegni economici sono stati rivolti – dopo i primi esperimenti con i cannoni nel 1978-80) – alla difesa passiva: assicurazioni e un uso sempre più esteso di reti antigrandine prodotte con tecnologie via via migliori e a costi decrescenti. Dei cannoni, in quel documento, resta ben poco.

In realtà, a parte la nostra storia regionale, lo scetticismo sulla resa di questi sistemi è assai ampio e concerne sia i tentativi più antichi sia quelli più recenti.

Stefano Innocenti, uno studioso di razzi e missili, ha ricostruito la storia dei sostanziali insuccessi dei metodi antrigrandine più tradizionali, i razzi, mentre Bruno Gabetti ha argomentato in modo semplice sul perché anche i cannoni – di qualsiasi tipo – rischino di deludere. In compenso, nel febbraio 2004 la Giunta regionale del Piemonte ha emesso una delibera (la 9-11616, “Criteri per la redazione della documentazione di impatto acustico”) nella quale i cannoni erano elencati al primo punto… come fonte di inquinamento acustico!

Due anni fa, poi, uno studente dell’Università di Scienze Enogastronomiche di Pollenzo, che si trova proprio nella parte di cuneese in cui la vista dei cannoni è più comune, ha contribuito a chiarire la reale portata del problema con un suo saggio che prima di tutto descrive in modo dettagliato i dispositivi impiegati oggi:

[…] i cannoni antigrandine sono dispositivi metallici composti da una camera di combustione, su cui poggia un cono la cui estremità arriva a circa 4 metri e mezzo d’altezza. La camera di combustione è collegata a una bombola il cui rilascio del combustibile, ovvero gas metano, è gestito da un processore controllato a distanza, tramite telefono […] L’efficacia dell’impresa d’impedire la grandine si affida alla forza dell’onda d’urto sviluppata dalla detonazione, la quale genera 148 decibel a circa un metro al di fuori della bocca del cannone […]

Il processore di ogni cannone contiene una sim card il cui numero è componibile soltanto da altri numeri telefonici certificati (nello specifico, quello del socio responsabile di quel determinato cannone); così, in seguito all’invio di un sms di conferma, il cannone entra in azione. Dopo rapide e immagino febbrili consultazioni sul gruppo Whatsapp che include tutti e 150 gli associati, i viticoltori decidono se è il momento di azionare uno o più cannoni e dove, in base alla zona di avvicinamento della perturbazione. L’associazione prevede una quota annuale per finanziare l’azionamento (il combustibile) e la manutenzione dei cannoni, ed è direttamente proporzionale agli ettari dei singoli soci…

Il dottor Federico Spanna, del Servizio di Agrometeorologia della Regione Piemonte, ascoltato al riguardo, conferma che i bilanci energetici in gioco sono tali che le onde d’urto dei cannoni nulla sono in grado di fare contro energie di quegli ordini di grandezza.

Altro lavoro abbastanza recente sui cannoni e del tutto negativo nelle conclusioni è quello pubblicato nel 2006 sulla rivista Meteorologische Zeitschrift dai meterologi olandesi Jon Wieringa e Iwan Holleman, ma forse più netto di tutti gli altri resta l’articolo pubblicato nel 2001 su Nimbus da Alessandro Bruscagnin, della Società Meterologica Italiana. In quello studio Bruscagnin si sofferma sia sull’inquinamento acustico massiccio dovuto ai dispositivi sia sui pareri negativi sul nostro sistema, ad esempio su quello fornito dall’Osservatorio Geofisico dell’Università di Modena, o su quello emesso negli anni ‘80 del secolo scorso dal “Groupement National d’Etudes des Fléaux Atmosphériques” di Valence (Francia), secondo il quale:

[…] l’onda di pressione di una esplosione generata dal cannone vale, a 40 metri dallo stesso, circa 3-4 millibar, mentre scende a 1,5 millibar a 100 metri, a 0,13 millibar a 1.000 metri e a 0,033 millibar a 4.000 metri. I livelli di pressione quindi non sono assolutamente sufficienti né per influenzare la dinamica della nube, né per causare effetti di cavitazione. Basta inoltre pensare che la grandine, alle nostre latitudini, si forma ad una altezza compresa tra i 6-7.000 metri ed i 10-11.000 metri.

Anche con tutto ciò e senza sputare sentenze, la sensazione del Giandujotto scettico è che la passione dei piemontesi per i cannoni antigrandine sia destinata a durare finché cadrà la grandine sui nostri campi, e che dunque avremo modo di occuparci ancora per molto delle periodiche ondate di interesse, polemiche scientifiche e – ormai soprattutto – di quelle di politica locale…

Foto: congresso internazionale sui cannoni antigrandine, 1901. Da Wikimedia Commons, pubblico dominio