14 Ottobre 2024
A che punto è la notte

A che punto è la notte 24 – Le porte dell’inferno

Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo di buchi nella terra.

Quella che segue è solo una microscopica selezione di porte dell’inferno, buchi misteriosi, cavità inspiegabili di cui è pieno il mondo. Alcuni fanno la gioia de i sostenitori della teoria della Terra cava, che vedono nella profondità di tali voragini la riprova che quanto la geologia e la scienza ci hanno detto finora sulla natura interna del pianeta che abitiamo è una menzogna. Ma vabbè, non è che adesso ci possiamo mettere a discutere con i terracavisti, via, che i byte non sono infiniti e non possiamo mica sprecarli così.

Dicevamo, le cavità misteriose. Alcune compaiono da sole all’improvviso, altre sono frutto di secoli e secoli di erosione e lavorìo degli elementi, altre ancora sono prodotti artificiali; la maggior parte, comunque, si è guadagnata nomi evocativi che hanno quasi sempre a che fare con demoni e inferni, in alcuni casi dando vita a leggende metropolitane come sempre durissime a morire. Una questione è fuori di dubbio: le porte dell’inferno sono estremamente affascinanti e spaventose, fra i mysteri più “reali” che questa rubrichetta abbia affrontato.

1 – Penisola di Kola

Il buco della Penisola di Kola ha dato vita a una delle leggende metropolitane più infantili che si siano mai viste in circolazione.

Siamo in Siberia. Un gruppo di scienziati sta effettuando una trivellazione a scopo di ricerca, raggiungendo una profondità di scavo pari a quasi 15 km e scoprendo diverse informazioni interessanti. A un certo punto viene calato un microfono all’interno della cavità per registrare i suoni che ne provenivano: l’orrore del dottor Azzacov e della sua squadra nel riascoltare l’incisione è indicibile. Hanno captato le grida e le voci disperate dei dannati dell’inferno. Non ci credete? Provate a sentire qui, allora.

A me questa idea del buco nella Terra così profondo da arrivare all’Inferno, come nemmeno in un episodio d’annata di Dylan Dog fa tenerezza. E’ un’immagine così ingenua, così semplice che quasi non ti viene lo sconforto a pensare che gira in Rete più o meno dagli albori della stessa, nonostante sia stata debunkata e smontata e ricostruita e spiegata un paio di fantastiliardi di volte. Persino da fonti cristiane, che sarebbero quelle più interessate alla faccenda.

Sebbene col tempo l’ambientazione sia diventata una generica Siberia (che in effetti si presta benissimo), la storia si origina in realtà da una trivellazione sì in Russia, ma dalla parte esattamente opposta, nella penisola di Kola, dove negli anni ’70 degli scienziati decisero di effettuare uno studio per raggiungere la profondità massima possibile a uno scavo umano: a tutt’oggi, il “pozzo superprofondo di Kola” è lo scavo artificiale più profondo della Terra, con i suoi quasi 12 km e mezzo sotto la superficie terrestre.

Ma le similitudini con la realtà si fermano qui. Ovviamente non è stato calato alcun microfono (anche perché, quanti microfoni resisterebbero a quelle temperature?) né tantomeno sono state registrate voci di sorta. Brian Dunning è riuscito a ricostruire i diversi momenti che hanno dato origine ed evoluzione alla leggenda, ed è veramente una storia affascinante da seguire: partendo da un articolo scientifico che illustrava l’esperimento di Kola, si arriva a un’emittente cristiana che per prima diffonde la notizia delle voci infernali, utilizzando come fonte una pubblicazione finlandese, il cui autore l’aveva riportata a memoria da una newsletter dedicata al paranormale, che l’aveva ricevuta da un lettore che a sua volta l’aveva trovata in un’altra newsletter, americana, dedicata agli ebrei cristiani (che per due soldi mio padre comprò). Come se non bastasse, un insegnante norvegese cui era capitato di sentire la trasmissione originaria era rimasto esterrefatto dall’ingenuità degli americani, e aveva deciso di vedere fino a che punto potessero essere creduloni; così spedì all’emittente una rivista norvegese con una finta traduzione, nella quale si parlava del dottor Azzacov e di una figura diabolica che gli operai avrebbero visto emergere dallo scavo. Penso che possiate indovinare con facilità di cosa parlò la trasmissione successiva.

La storia circola ormai dal 1989, ma le registrazioni audio sono comparse in tempi più recenti: non fanno assolutamente paura, questo penso sia pacifico, comunque qualcuno si è preso la briga di cercare di risalire alla clip originale e al momento in molti ritengono sia tratta da un film horror degli anni ’70, di Mario Bava, Gli orrori del castello di Norimberga.

Foto di Benjamin Goetzinger, da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0

2 – Il cratere di Derweze

Questo è uno di quei casi in cui uno legge gli articoli, guarda le foto e l’unico commento che gli può umanamente venire in testa è “Vabbè, ma così sono bravi tutti”.

Non ci sono grandi leggende intorno a questo cratere del Turkmenistan, ma dubito che servirebbero a renderlo più affascinante e spaventoso di quanto non sia già da solo. Immaginate: Asia centrale, deserto del Karakum. Nel mezzo del nulla, un villaggio di 350 abitanti, Derweze, che in lingua locale significa “porta”. Negli anni ’70, non si conosceva la natura del sottosuolo della zona, così vennero effettuate delle trivellazioni in cerca di petrolio. Una di queste fece crollare le pareti di un giacimento di gas naturale, che cominciò quindi a fuoriuscire copiosamente. Gli scienziati che lavoravano al progetto decisero che la maniera migliore per evitare conseguenze più disastrose fosse quella di incendiare il gas, di modo che si consumasse e poi spegnesse da sé nel giro di qualche giorno.

L’incendio continua a bruciare ininterrottamente da allora.

La zona è diventata meta turistica, mentre le autorità stanno cercando di capire come limitare gli effetti del cratere su altri possibili giacimenti di gas nella zona. Gli scienziati hanno spiegazioni per quanto avvenuto, e qualcuno si è spinto così oltre da calarsi all’interno delle fiamme per riportarne campioni di rocce e studiarne le forme di vita batteriche, ma le popolazioni locali sono più propense a credere a qualche sorta di prodigio sovrannaturale, anche perché l’odore emanato dalle fiamme sa di zolfo.

3 – L’inferno di San Patrizio

Sandro_Botticelli_-_La_Carte_de_l'Enfer
Sandro Botticelli, Mappa dell’Inferno (1480-1490). Da Wikimedia Commons, pubblico dominio

Se siete abitanti dell’Italia centrale, immagino che anche a voi sia toccata in sorte la (ripetuta) gita culturale a Orvieto, per ammirarne le notevoli bellezze architettoniche e avventurarvi nel Pozzo di San Patrizio. Che in effetti è un’esperienza piuttosto intrigante da fare, e meta turistica di quelle che proprio fanno “turista”. Ma vi siete mai chiesti perché a Orvieto ci sia una così straordinaria costruzione dedicata a un Santo che in Italia non vanta un culto particolarmente vasto e sentito?

Originariamente, in effetti, il pozzo si chiamava semplicemente “della Rocca” ed era stato commissionato nel 1527 per garantire l’acqua in caso di assedio alla città (mi verrebbe da citare Baricco e dire che l’architetto si è giusto un attimo fatto prendere la mano), ma col tempo ha popolarmente preso il nome con cui è tuttora conosciuto probabilmente per la somiglianza della struttura con quella che si presumeva essere la “forma” dell’inferno, i gironi concentrici tanto ben descritti da Dante. Ma allora perché non l’hanno chiamato pozzo di Dante? Perché nella realtà concreta era molto simile anche al “purgatorio di San Patrizio”, che leggenda collocava presso il Lough Dergh, un isolotto posto fra le province dell’Ulster e del Donegal. Qui si diceva fosse possibile, per un pellegrino devoto che si fosse mondato dei suoi peccati, visitare l’inferno, con i diavoli e i dannati, per scoprire cosa l’avrebbe atteso nell’aldilà: se il fedele non avesse ceduto alle tentazioni in cui i demoni avrebbero cercato di trarlo, ma fosse riuscito a superare indenne un giorno e una notte nel luogo, avrebbe potuto vedere anche il Paradiso, e avere perdonate tutte le sue colpe.

La leggenda risale agli albori dell’anno 1000 e il luogo in cui è collocato il pozzo d’accesso è fin da allora meta di pellegrinaggi; si hanno numerosi resoconti (che erano tenuti a redigere al termine della prova) di fedeli che varcarono la soglia di questo mondo per andare a conoscere l’aldilà cristiano. Le descrizioni sono somiglianti e vivide, forse indotte dalla suggestione, dai tre giorni di pane e acqua cui dovevano attenersi prima di entrare e da un immaginario radicato e condiviso. Nota interessante: il termine stesso purgatorium compare per la prima volta proprio in riferimento al Lough Dergh.

4 – Mel’s hole

La prima volta che ho sentito parlare del “buco di Mel” è stato quando ho iniziato le ricerche per questo articolo: a casa mia, il “pozzo senza fondo” era generalmente l’appellativo rivolto alla parentela maschile durante il pranzo di Natale o un’inquietante scena dei miei amati cartoni animati giapponesi che tanto hanno contribuito a distruggere l’immaginario di un’intera generazione. Non conoscevo quindi la storia di questo pozzo reale, di cui l’ascoltatore Mel Waters ha in un lungo e largo raccontato all’emittente radiofonica Coast to Coast AM fra il 1997 e il 2002. Secondo la sua versione, Waters aveva acquistato tempo prima un lotto di terreno, dove aveva per l’appunto trovato un pozzo, che già sapeva avere una strana fama nella zona. Per quanti oggetti vi si gettassero all’interno, infatti, non si riempiva mai: una volta addirittura vi fu buttato un cane morto, che qualche ora dopo tornò allegramente a casa, vivo.

La cosa naturalmente non era sfuggita “ai piani alti” e Mel ricevette la visita di “uomini in giallo” che lo convinsero a vendere la proprietà e gli finanziarono un trasferimento in Australia. Tornato in USA, fu arrestato dalla polizia, risvegliandosi in un altro Stato e senza i denti molari. Il successo ottenuto dalla sua storia alla radio, raccontò nelle telefonate degli anni 2000, attirò l’attenzione di un gruppo di Baschi insediati in Nevada, che lo invitarono a visitare il loro pozzo senza fondo. Cercando di capirne la natura, vi calarono all’interno una pecora, lasciandovela per circa mezz’ora, al termine della quale la riportarono all’esterno: la pecora era morta, ma nel corpo fu trovato un essere alieno che interagì con Mel e i Baschi e poi scomparve per sempre. Dopo questa esperienza, Waters si ritrovò guarito dal cancro terminale che gli era stato diagnosticato prima di partire per il Nevada.

Mel chiamò di nuovo l’emittente un altro paio di volte, dopodiché di lui non si seppe più nulla. Nel 2005 la radio ricevette un’altra chiamata con una storia simile raccontata da Kimberly e ambientata stavolta a Manitoba, in Canada; infine, nel 2008 si fece avanti Gerald Osborne, che aveva visitato il pozzo da giovane e  si mise dunque a capo di una spedizione che cercava di localizzarlo.

Sì, perché per tutto il tempo che la storia ha circolato e nonostante sia basata su un oggetto ben più che concreto, nessuno ha mai trovato traccia di nessuno dei pozzi citati da Mel o da Kimberly, né i tanti appassionati che se ne sono messi alla ricerca né la spedizione di Osborne, che non aveva la più pallida idea di dove andare, al pari di tutti gli altri. Inutile dire che nell’area da cui diceva di chiamare (Washington) non è mai stata trovata traccia di un Mel Waters (peraltro, Waters significa acque), e che molti dei dettagli raccontati dall’ascoltatore misterioso sono quantomeno bizzarri: a me fa sorridere molto la considerazione di Brian Dunning che si chiede in che modo potesse essere stato rivestito di mattoni per i primi due-tre metri di profondità un pozzo senza fondo, forse chiedendolo a dei funamboli? Anche i tentativi di misurarne l’esatta estensione non sono realmente applicabili, poiché il filo da pesca che Mel diceva di aver utilizzato allo scopo avrebbe preso fuoco quando avesse raggiunto un’eccessiva profondità. Eccetera eccetera.

Insomma, è una storiella, una burla come molte altre sono state inscenate alla radio (e quest’emittente in particolare ne è stata vittima anche in altre occasioni, ma ricordiamo anche che la leggenda metropolitana che vuole Paul MacCartney morto nel 1966 prende origine proprio da una telefonata alla stazione WKNR-FM), ma ha avuto un successo clamoroso e stuoli di sostenitori che hanno cercato di dimostrarne la veridicità, nonostante l’assurdità del tutto (la pecora con l’innesto alieno vince). Nel 2008, al pozzo di Mel è stata dedicata una mostra concettuale.

Foto di NakNakNak da Pixabay

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