L’irresistibile fascino delle pseudo-teorie del tutto
Margaret Wertheim riceve quasi ogni giorno, al proprio indirizzo di posta, plichi con le teorie più bizzarre che la mente umana sia in grado di partorire. Fisica con la passione della divulgazione e dello studio dei rapporti tra scienza e società, l’autrice ha ottenuto una certa notorietà con il suo primo libro I pantaloni di Pitagora (1995), nel quale si è occupata del conflitto scienza-religione, diventando nota anche fuori dai ristretti circoli della fisica teorica. Con la notorietà, però, sono iniziati ad arrivare anche i plichi. Wertheim sostiene che ne arrivino a tonnellate anche a molti altri colleghi, che però ormai si limitano a cestinarli a volte senza nemmeno aprirli. Lei no: li ha aperti, li ha letti, li ha collezionati e catalogati. E poi ci ha scritto un libro, Physics on the Fringe, pubblicato ora in Italia da Dedalo con il titolo Tutti pazzi per la fisica. Anelli di fumo, circloni e teorie alternative del tutto. Nelle buste e nei pacchi che riceve (quasi sempre per posta piuttosto che via e-mail) sono contenute le teorie alternative della fisica inventate da migliaia di outsider: insegnanti di scuola, ingegneri, avvocati, commercialisti, studenti, pensionati e disoccupati che ritengono di aver scoperto finalmente l’ambitissima teoria del tutto o, nientemeno, che Einstein aveva torto.
Sembra che quasi tutte le teorie pseudoscientifiche partano dall’assunto che la teoria della relatività sia sbagliata. “Circa la metà dei lavori della mia collezione si propongono di sostituire la relatività ristretta; le spiegazioni alternative alla gravità, invece, sono molto più rare”, racconta Wertheim. Molte sono scritte a mano, persino con inchiostro di china; altre sono dattiloscritte; qualcuna cerca di imitare, anche nell’impaginazione, lo stile dei paper pubblicati dalle riviste scientifiche. Eppure, le teorie pseudoscientifiche – o, per essere più politically correct, alternative – che hanno a che fare con la fisica si riconoscono subito per la loro ambizione. È il caso della teoria di Jim Carter, che occupa la parte principale del libro. “Il suo lavoro copre tutta la fisica, includendo una teoria della materia, una dell’energia e una della gravità, cui va aggiunta una descrizione completa della creazione dell’Universo”. Jim Carter è, tra tutti gli outsider della fisica incontrati da Margaret Wertheim, il più notevole. L’autrice ha passato con lui e la sua famiglia intere giornate, girando un documentario sulla sua vita, curando persino una mostra dei suoi disegni (in buona parte prodotti al computer) al Santa Monica Museum of Art. Jim Carter è un autodidatta che ha passato la vita a fare tanti lavori prima di mettere su, insieme alla moglie, un campo caravan dove alloggia, guadagnando dall’affitto degli altri caravan ai residenti e ai pochi vacanzieri. La sua giornata è scandita dalle riparazioni, dai lavori di manutenzione e dall’elaborazione delle sue arzigogolate teorie alternative del tutto.
Alla base delle teorie di Jim Carter ci sono i “circloni”, costituenti di base della materia. Sono circloni sia i protoni che gli elettroni, mentre i fotoni e i neutrini sono a loro volta costituiti da protoni ed elettroni. Queste quattro particelle fondamentali, interagendo tra loro attraverso configurazioni circolari, ad anello, estremamente complicate, danno vita a tutti gli elementi chimici conosciuti. Un circlone è “una forma toroidale tripla molto complessa e ben definita, che nella maggior parte dei casi può essere descritta come una ciambella cava”. Da qui, Carter si allarga fino a elaborare una teoria alternativa della gravità. Nel libro di Wertheim, la sua ipotesi è spiegata così: se si prende un bastoncino di legno e lo si lascia cadere, non è vero che il bastoncino cade a terra sotto la pressione della gravità, ma è la terra che sale fino a colpire il bastoncino, che resta invece perfettamente immobile nell’aria. La Terra raddoppia di dimensioni ogni 19 minuti, e con essa tutta la materia dell’universo. Si tratta di un’espansione continua delle dimensioni di ogni particella, che prosegue dall’inizio del tempo.
Leggendo il libro di Margaret Wertheim si ha modo di scoprire per la prima volta l’umanità che si cela dietro le teorie alternative della fisica che oggi popolano il web. Jim Carter è un uomo eccentrico ma straordinariamente intelligente, in grado di comprendere concetti matematici molto complessi ed elaborare al computer spettacolari illustrazioni delle sue teorie. Il suo approccio alla fisica è certamente bizzarro e antiscientifico, ma merita di essere approfondito per scoprire più a fondo quanto brillanti siano spesso le elucubrazioni degli outsider della scienza. Il pregio del libro di Wertheim consiste proprio in questo: invece di limitarsi ad analizzare le teorie pseudoscientifiche dal punto di vista dello scienziato, decostruendole e destituendole di fondamento, le esplora in profondità per comprendere il pensiero che si cela dietro di esse.
In una delle intuizioni più brillanti di Tutti pazzi per la fisica, Margaret Wertheim sostiene che il boom delle teorie alternative della fisica da parte degli outsider sia una reazione all’eccessiva complessità e astrazione delle teorie attualmente dominanti, dalla relatività generale alla meccanica quantistica fino alla teoria delle stringhe. In una sorta di crociata di democratizzazione della scienza, che il web senz’altro ha contribuito a fomentare, con il falso principio della par condicio dei punti di vista, gli outsider cercano di semplificare la fisica, riportandola al loro livello di comprensione e sottraendola al controllo della ristretta élite di addetti ai lavori che, a loro dire, oggi domina il settore decidendo quali teorie possano essere considerate ortodosse e quali no.
Ciò offre più di uno spunto conclusivo. Il primo, particolarmente interessante per la vicinanza a tesi di eminenti studiosi come Lee Smolin (L’universo senza stringhe) o Peter Woit (Neanche sbagliata) che si oppongono decisamente alla teoria delle stringhe oggi dominante, porta Wertheim a chiedersi cosa permetta di distinguere una teoria alternativa eterodossa da una giudicata ortodossa ma ugualmente non verificabile e basata su presupposti quasi metafisici quale appunto la teoria delle stringhe. Tale considerazione si spinge, in parallelo con quanto già sosteneva Smolin, fino a mettere in discussione diversi parametri su cui oggi si basa il metodo scientifico, dalla peer review all’accesso alla ricerca e alla pubblicazione consentito solo a chi percorre il tradizionale cursus honorum accademico. Il secondo spunto, che invece può interessare maggiormente istituzioni come il CICAP, è una perorazione a favore di uno studio più sistematico delle teorie pseudoscientifiche che non si limiti alla loro denigrazione e demistificazione, ma si proponga di analizzare il retroterra culturale degli “outsider” e le ragioni psicologiche, sociologiche, persino antropologiche delle teorie alternative del tutto.
Ehm, Margaret Wertheim mi risulta esser maschio. Si sbaghlio corigeteme. Noi diremmo Margherito, o margareto. Original, non c’ è che dire. Inoltre perché avete messo l’ ultimo articolo in ordine di tempo apparso su Query on line all’ ultimo posto, dopo quello del 28Gennaio? Non c’è che dire, il 17 febbraio porta spiga.
No è la Wertheim è una donna: http://en.wikipedia.org/wiki/Margaret_Wertheim
Mi permetto un paio di piccole critiche sul finale: è vero che il mondo della peer-review è una giungla assassina, ma mi sembra ancora il meglio che abbiamo. I biased peer sono una rottura (specialmente quando diventano editor), ma non sono un ostacolo insormontabile; per la mia (piccola) esperienza il peggio viene da correttori di bozze incompetenti/incapaci che nemmeno rispondono quando gli chiedi il perché di una correzione totalmente fuori luogo. Quindi direi che i problemi vadano cercati più nel comparto editoriale che in quello scientifico.
La seconda critica riguarda l’idea che il mondo della pubblicazione scientifica sia chiuso rispetto a chi non ha percorso il “tradizionale cursus honorum accademico”: mi pare un’osservazione un po’ riduttiva, come se fosse il mondo accademico a ostacolare attivamente i “free-lance”. Evidentemente chi la ricerca “se la fa da solo” generalmente ha un altro lavoro per campare (quindi fatica a trovare il tempo per la ricerca) e, a meno che non sia ricco di suo e abbia un sacco di soldi da spendere, non può sfruttare l’accesso quotidiano a tutto lo spettro di pubblicazioni scientifiche cui una università è di solito abbonata. Per non parlare di chi lavora in ambiti più applicativi e analitici, che richiedono la disponibilità di laboratori (o, ancora una volta, di un sacco di soldi per commissionare delle analisi).