9 Ottobre 2024
Fanta-scienzarecensioni

La principessa della giungla lineare

Ci sono storie di fantascienza che vivono sulla trama e sui colpi di scena, altre basate su una singola idea o su personaggi interessanti, infine ci sono storie dove lo scenario è talmente grandioso che sovrasta tutto il resto. Romanzi come Titano (Titan, 1979) di John Varley, Incontro con Rama (Rendezvous with Rama, 1982) di Arthur C. Clarke, Sfera orbitale (Orbitsville, 1975) di Bob Shaw o I burattinai (Ringworld, 1970) di Larry Niven sono alcuni esempi del genere, opere dove immani costruzioni artificiali diventano protagonisti della storia.

Qualche scrittore si è spinto oltre, immaginando interi universi con leggi fisiche diverse dalle nostre, come nel ciclo di Mondo e Supramondo, sempre di Bob Shaw, o con condizioni al limite, come diversi mondi tratteggiati da Hal Clement o il Big Planet di Jack Vance. Charles Stross con Universo distorto (Missile Gap, 2007) e Philip José Farmer nel suo Ciclo del Fiume immaginano pianeti artificiali, costruiti da alieni talmente potenti da assurgere al ruolo di vere e proprie divinità.

Autore proteiforme e dalla fantasia sfrenata, Paul Di Filippo con il romanzo La principessa della giungla lineare non poteva mancare nella pattuglia dei creatori di mondi straordinari: la sua città lineare è notevole da molti punti di vista. Un fiume che scorre per infiniti chilometri con una riva abitata da una moltitudine di persone, la fantastica città immaginata da Di Filippo per certi versi assomiglia molto al grande fiume di Farmer.

Certo, gli abitanti della città lineare non sono le persone che hanno vissuto sulla Terra resuscitate, e sulle sponde del fiume di Farmer non volano gli Psicopompi, mitologiche creature incaricate di prelevare i corpi dei defunti. Mostruosi e dall’odore sulfureo, gli Ornitauri prelevano le spoglie destinate al Lato Sbagliato Dei Binari, nulla desolato e informe, mentre una fragranza di brezza marina contraddistingue le Ittiodomine, sirene che portano il loro carico sull’Altra Sponda. Quello che non manca in nessuno dei due cicli sono i misteri, quello della giungla del Vayavirunga è uno dei più oscuri della città lineare.

Tre distretti, settantacinque miglia in tutto, divorati da una giungla impenetrabile al ritmo di tre blocchi all’anno, quaranta anni di espansione continua, fermati da un colossale muro costruito dai cittadini terrorizzati. Per tre secoli la giungla è rimasta la stessa, inesplorata e quasi dimenticata, ma le cose stanno per cambiare.

Merrit Abraham è una giovane laureata in polipolisociologia, piena di speranza nel suo nuovo lavoro presso il museo NikTheck, nel lontano distretto di Wharton, occupazione che le consentirà di seguire i costosi corsi di specializzazione. Dopo alcune difficoltà iniziali Merrit inizia ad ambientarsi, si fa degli amici e inizia una relazione con Arturo Scoria, professore e valente esploratore. Sembra che la vita della giovane sia destinata a instradarsi sui binari pacifici e prevedibili del lavoro e dello studio, quando un ferroviere scatta una foto sconvolgente: nella giungla di Vayavirunga vivono esseri umani.

Impossibile ignorare una tale notizia, per il professor Scoria si tratta dell’occasione di una vita, la decisione è inevitabile, una spedizione di valorosi partirà alla volta della giungla, per esplorarla e incontrare i suoi rossi abitanti. Una sola cosa è certa, i pericoli e le sorprese non mancheranno, ma per Merrit la sorpresa sarà totale.

Nel secondo romanzo ambientato nella sua fantastica città, Di Filippo abbandona Diego Patchen, lo scrittore protagonista del primo romanzo, e ci presenta un nutrito drappello di nuovi personaggi, muscolosi ciclisti, eruditi studiosi, donne sexy e studenti (troppo) curiosi. La prima parte del romanzo vive sulle esperienze di Merrit, e ci presenta diversi particolari intriganti dell’universo lineare, su tutti lo studio poco ortodosso dell’anatomia umana, scienza difficile da praticare in un mondo dove i cadaveri sono prelevati istantaneamente dagli Psicopompi.

Poi la storia vira verso l’avventura, l’anomalia di Vayavirunga è colma di pericoli e di misteri, a partire dalla sua origine per finire alla presenza di umani in un ambiente ostile, solo il coraggio e la volontà di Merrit potranno salvare la spedizione. Per il momento Di Filippo non solleva il velo sui molti misteri della città lineare, ma il piacere di leggere le sue storie resta invariato, la sua è una fantascienza che ha radici profonde nel passato ma con una impronta personalissima.

L’originalità di questo autore si declina in innumerevoli forme, sia che racconti storie steampunk o che narri di come l’umanità possa sopravvivere imitando i virus, per non parlare della sua attività come “mail artist”. Leggere una qualsiasi opera di Di Filippo è come partecipare a una gigantesca caccia al tesoro, ogni pagina può nascondere una citazione, una nuova idea, un particolare punto di vista.

La principessa della giungla lineare non fa eccezione, a partire dal titolo per finire all’autocitazione dell’ultima riga è un continuo fiorire di richiami ad autori e romanzi del passato, mescolati con squarci su aspetti particolari dell’infinita città lineare, singolare mescolanza di famigliare e alieno. Ma alla fine è proprio lei, l’infinita città che poggia sulla pelle di un drago primordiale ed è illuminata da due soli, sorvolata incessantemente da creature mitologiche che portano corpi (e presumibilmente anime) verso il paradiso o l’inferno, a diventare protagonista.

La scelta di abbandonare completamente i personaggi del primo romanzo sia dovuta al desiderio di far risaltare ancora di più l’immensità dello scenario, Di Filippo ha ancora molte storie ambientate nella città lineare da raccontare.

Paul Di Filippo, La principessa della giungla lineare (A princess of the linear jungle, 2011) – FANTASCIENZA – Delos Books – Odissea Fantascienza – 2012 – traduttore: Francesco Lato – pagine 132 – prezzo 7,80 euro

Giampaolo Rai

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