Il Kenya, campo di battaglia del 2019 fra no vax e pro-vaccini
A inizio febbraio, su Query online abbiamo raccontato i timori dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS per il mancato raggiungimento nel nostro continente dei livelli ottimali della copertura vaccinale contro il morbillo.
Il quadro è certo più grave per quei Paesi del sud del mondo che hanno una lunga storia di sfiducia e di resistenze alle vaccinazioni. Un esempio di questa situazione ci giunge ora da un’analisi compiuta per il Kenya dalla Odipodev, società di ricerca e analisi dei dati che ha sede a Nairobi. La ricerca, firmata dal team dell’organizzazione, è stata presentata a metà gennaio su The Elephant, sito web di punta dell’informazione africana.
Alle spalle di questo lavoro recente, un sondaggio condotto dalla Ipsos Kenya nel novembre 2014, un momento particolarmente delicato per la controversia. Giungeva infatti un mese dopo che i vescovi cattolici del Paese africano avevano pubblicato un documento nel quale sostenevano che la vaccinazioni antitetaniche miravano a sabotare la fertilità femminile, tanto da giungere a chiedere al governo di Nairobi di sospenderle. Queste posizioni complottistiche ripetono preoccupazioni diffuse ad ondate in parecchie aree del mondo verso le metodiche sanitarie innovative. Nel 2016 vescovi cattolici kenyani hanno affermato con chiarezza di sospettare un’azione anti-natalistica clandestina ordita dal governo insieme ad organizzazioni internazionali.
Dell’anti-vaccinismo in diverse aree del sud del mondo, non ultimo circa le convinzioni che le vaccinazioni siano parte di un piano teso a far crollare il tasso di natalità, alcuni anni fa Roberto Labanti aveva delineato un vasto panorama in un suo contributo. Rileggetelo, se volete capire meglio cose come quelle che stanno capitando in Kenya.
I risultati fondamentali del sondaggio Ipsos del 2014 di cui vi dicevo, mostravano che il 45% dei kenyani cattolici pensava che il vaccino antitetanico fosse usato per colpire la crescita demografica, ma pure che tale percentuale cresceva sino al 65% per gli appartenenti a chiese protestanti ed evangelicali. Questa convinzione era invece inferiore per i musulmani (il 40%). Un elemento da notare: secondo la Ipsos Kenya queste cifre non variavano in modo significativo in funzione del grado d’istruzione formale delle persone intervistate. In altri termini, in Kenya chi aveva frequentato il college aveva idee no vax in misura comparabile a quella delle persone con livello di scolarizzazione primaria.
Polemiche simili sono insorte alla fine del 2018 dopo l’annuncio dell’avvio, nel maggio prossimo, di una campagna di vaccinazione delle ragazzine di 10 anni contro il Papilloma virus umano (Hpv), responsabile quasi esclusivo del cancro della cervice uterina.
Tutto ciò si verifica in un contesto generale preoccupante. A partire dal 2012, quando fu raggiunto il massimo, in Kenya la copertura della piena immunizzazione dei bambini di età inferiore a 5 anni è andata declinando in maniera netta, come mostrano i dati diffusi dal sito del periodico The Nation (per piena immunizzazione s’intende una vaccinazione di tipo BCG contro la tubercolosi, tre dosi di vaccino trivalente DPT contro difterite, pertosse e tetano, almeno tre dosi di vaccino contro la poliomielite e una contro il morbillo).
Al fine di valutare la rilevanza delle convinzioni antivacciniste la Odipodev ha compiuto un’analisi dei dati estraibili per il periodo 2016-18 da Twitter e dalle pagine Facebook dei principali organi di stampa kenyani.
Ne sono uscite fuori considerazioni rilevanti. In primo luogo, in Kenya al momento non ci sono vere e proprie campagne no vax. Ciò che funziona da innesco per le discussioni, per gli scambi e per l’espressione di posizioni contrarie alle vaccinazioni è la pubblicazione di articoli sulla questione da parte dei media presenti in rete. Finché non si verifica quest’attivazione (sovente dovuta ad interventi di portavoce della chiesa cattolica), gran parte dei sentimenti no vax rimane “celato”. In altri termini, l’azione della disinformazione e la formazione di sentimenti contrari ai vaccini precede ciò che poi appare su Internet.
Rilevante anche il ruolo di singoli politici: alcuni di loro in tempi recenti sono diventati veicoli potenti di disinformazione antivaccinista. Sembra trattarsi di una novità che sta rapidamente modificando gli scenari precedenti.
Allargando la prospettiva, per la Odipodev da un anno a questa parte il Kenya sta diventando una specie di laboratorio e luogo di attenzione privilegiata per il cospirazionismo antivaccinista internazionale. La comparsa di posizioni no vax sui media mainstream kenyani ha suscitato un interesse che va ben al di là dei confini di quella nazione, con interventi di uno dei più attivi cospirazionisti odierni, Alex Jones, che è a capo del sito InfoWars.
Altro punto degno di nota, per chiudere: il team della Odipodev rileva l’inesistenza di vere e proprie organizzazioni ed enti che possano fare fact checking e così affrontare in modo efficace la presenza crescente di opinioni no vax. La cosa, però, ha anche condotto a una constatazione ottimistica: in mancanza di agenzie che intraprendano azioni sistematiche, la società kenyana sembra mostrare una notevole reattività. Parecchi fra il pubblico si muovono agevolmente sui social e cercano di ricondurre il dibattito nell’alveo della razionalità, in un Paese in cui ormai l’accesso a Internet è possibile per più di metà della popolazione ed appare in crescita rapidissima. Il rischio, tuttavia, secondo la Odipodev è che la spontaneità, la carenza di formazione e la mancanza di metodo portino a reagire con un’informazione pro-vaccini inadeguata e, magari, segnata da errori di vario genere.
Foto in evidenza: il senatore kenyano Harold Kipchumba, colpito dalla polimielite, somministra il vaccino a un bambino: “Solo due gocce. Quelle che io non ho avuto”. Immagine da Flickr.