26 Aprile 2024
Il terzo occhio

Comunicare la scienza: l’aggressività non paga

Usare toni urlati quando si tratta di discutere di scienza non serve. Sembra confermarlo una ricerca condotta di recente da Lars König e Regina Jucks, del Dipartimento di psicologia dell’Università di Münster, in Germania, e uscita in marzo sulla rivista Public Understanding of Science (vol. 28, n. 4, pp. 401-16). 

Il quadro generale in cui si colloca il lavoro dei due psicologi sociali tedeschi è ben noto: l’accrescimento delle conoscenze scientifiche è talmente rapido che quasi nessuno è in grado di valutare da sé la validità di una presunta asserzione scientifica. Perciò, è inevitabile, come confermano studi recenti (ad esempio quello di Rainer Bromme e Susan R. Goldman, del 2014, o quello condotto da Bromme e Eva Thomm, del 2016), che le persone basino il loro giudizio sul contenuto di una comunicazione scientifica su quanto valutano affidabile la fonte da cui proviene. La cosa è ancora più evidente se le discussioni concernono questioni soggette a controversie ad alto impatto emotivo ed economico, come ad esempio quelle sulla salute.

König e Jucks hanno cercato di misurare il peso della credibilità e dell’affidabilità di chi presenta questioni scientifiche di fronte a un ipotetico pubblico non specialista. Proprio in questi casi lo stile argomentativo assume un ruolo decisivo. 

Diversi lavori (come questo) hanno mostrato per esempio che il pubblico ritiene più credibile chi si sforza di usare il linguaggio di tutti i giorni invece di quello specialistico. Al contempo, questi studi indicano che nella comunicazione scientifica rivolta a un uditorio non specializzato è meglio mantenere un tono “medio”, piuttosto che esaltare il valore dei risultati ottenuti e la statura accademica di chi ha realizzato la ricerca. 

Un ulteriore elemento da  considerare è che negli ultimi decenni il linguaggio aggressivo si è diffuso a macchia d’olio, sia nella politica sia in altri ambiti della vita sociale. Ormai sono disponibili parecchi studi scientifici sulle dimensioni violente della comunicazione politica, sulle sue caratteristiche e sulla sua presunta efficacia in termini di consenso elettorale (le ricerche sono ancora in corso, ma sembra che i toni troppo accesi da parte di due competitori politici finiscano per danneggiare entrambi).

Un passo dopo l’altro, l’aggressività comunicativa ha fatto la sua apparizione anche nei dibattiti scientifici. Gli scienziati hanno cominciato a farvi ricorso con una certa frequenza – e gli autori dell’articolo presentano vari esempi al riguardo. Eccone un paio. Quando, nel 2012, sulla rivista open access PLOS ONE uscì un lavoro in cui gli autori mostravano di non essere riusciti a replicare un ben noto studio di psicologia sociale, gli scambi pubblici fra gli autori si trasformarono subito in accuse di incompetenza e di ignoranza – appena mitigati, aggiungo io, dai toni dell’understatement che sovente la lingua inglese comporta. Lo stesso accadde nel 2016 dopo un attacco condotto da due statistici sulla rivista online Slate: in quel caso, in sostanza, una fra gli scienziati criticati accusò in modo circostanziato gli autori dell’attacco di bullismo, e la diatriba prese rapidamente quella strada.

Nonostante fatti di questo genere, spiegano König e Jucks, finora non ci sono state ricerche volte a indagare questo specifico e preoccupante sviluppo.  

Si sono quindi chiesti se l’aumento dell’aggressività nei dibattiti scientifici influisca sulla credibilità e sulla fiducia del pubblico nei confronti delle fonti.

König e Jucks hanno cercato di capire quale sia il tono più adeguato da tenere in un dibattito da parte di uno scienziato. Nel mondo della scienza c’è infatti il pregiudizio che un ricercatore, avendo dalla sua la forza dei dati e dei risultati, goda già di per sé di sufficiente fiducia da parte del pubblico, e abbia quindi la massima libertà d’azione per far ricorso a registri comunicativi di ogni tipo, anche quelli più accesi. In secondo luogo, si pensa l’uso di toni “forti” e aggressivi danneggi meno gli scienziati rispetto ai giornalisti, o addirittura ai lobbisti che promuovono gli interessi di un settore specifico di ricerca. 

Stanno davvero così, le cose?

Le domande che gli studiosi si sono posti sono tre. 

  1. L’uso di uno stile aggressivo nel linguaggio, al posto di uno più neutrale, fa diminuire l’attendibilità di una persona impegnata in un dibattito scientifico e la credibilità di ciò che afferma?
  2. Essere presentati al pubblico come “lobbisti”, cioè portatori di interessi specifici, invece che come “scienziati”, diminuisce attendibilità e credibilità?
  3. Essere presentati come lobbisti e usare un linguaggio aggressivo abbassa in misura decisiva attendibilità e credibilità?

Dopo aver selezionato un campione di 221 soggetti, gli studiosi hanno mostrato loro un video in cui si presentava uno studio (inesistente) che metteva in discussione in modo radicale l’efficacia degli antidepressivi. Nel video, un supposto critico dei risultati dello studio si presentava alternativamente o come uno scienziato oppure come un lobbista. Un gruppo di soggetti era esposto a un messaggio costruito con un linguaggio “neutro”, un secondo gruppo ad uno “aggressivo”. In questo modo le condizioni sperimentali da studiare erano quattro (il caso dello scienziato dal linguaggio neutro, quello dello scienziato aggressivo, quello del lobbista neutro e quello del lobbista aggressivo). 

A questa procedura ha fatto seguito la somministrazione ai partecipanti di una serie di scale psicometriche di controllo fatte per misurare i due parametri fondamentali presi in considerazione: la percezione della credibilità e dell’attendibilità di chi comunicava, e gli atteggiamenti dei partecipanti circa il tema in discussione.   

Quali risultati si sono ottenuti? 

Cominciamo dalla domanda 1 (stile aggressivo contro stile neutrale nei dibattiti scientifici). I risultati indicano che lo stile aggressivo è associato a una valutazione di minore  attendibilità e credibilità rispetto a chi invece impiega termini ed espressioni neutre. In particolare, stando agli atteggiamenti misurati, un “aggressivo” è percepito come più manipolatorio, meno sincero, meno gradevole e – si noti il punto – meno competente dell’altro. Alla fine dell’esperimento, i soggetti partecipanti riferiranno anche di aver imparato di meno da una discussione in cui è stato usato uno stile aggressivo, rispetto a quella che aveva al centro lo stile neutro.

La seconda domanda, indagava se essere presentati come membri o sostenitori di una lobby invece che come scienziati, ricercatori o studiosi, fosse associato a minore attendibilità e credibilità.

In questo caso i risultati sono stati meno netti. Se la fonte veniva presentato come lobbista, veniva percepito come meno affidabile rispetto a quando veniva introdotto come scienziato. Più specificamente, veniva percepita come più manipolatoria, meno sincera, meno benevola e meno simpatica. Tuttavia, il giudizio circa la competenza non veniva influenzata, e neanche la credibilità delle informazioni fornite.

Infine, la terza domanda. Come interagiscono fra loro i fattori considerati (scienziato vs lobbista e aggressività vs neutralità)? È vero che, se usato da un lobbista, il linguaggio aggressivo avrà effetti ancora più negativi sul pubblico? 

I risultati indicano è che i fattori non paiono interagire e sovrapporsi l’uno con l’altro. Il fatto di essere definiti “lobbisti” non vuol dire in maniera automatica che l’informazione fornita risulti poco credibile.

Insomma: la sorpresa è che lo stile comunicativo da una parte e l’appartenere a istituzioni scientifiche o invece essere portavoce di lobby o di altri gruppi dall’altra s’incrociano e s’influenzano piuttosto poco. 

Alla fine, malgrado i limiti nella generalizzabilità dei risultati dello studio che gli stessi autori notano (un esempio: è stato condotto in Germania, dove i toni del dibattito scientifico sono più pacati),  l’aggressività verbale sembra non pagare. Facendovi ricorso si risulta meno attendibili sul piano personale, e le cose che si sostengono appaiono meno credibili. 

Considerato che essere indicati come lobbisti o simili di per sé non è sufficiente a screditare il contenuto di ciò che si dice, ecco dunque che lo stile comunicativo assume un ruolo davvero importante.

Una cosa risulta abbastanza evidente: alzare la voce, usare termini sgradevoli, cercare di colpire basso, al contrario di quanto alcuni possono pensare, non serve a chi vuol promuovere un argomento in ambito scientifico, soprattutto se controverso o all’avanguardia. Di norma, assumendo toni scomposti si danneggerà la propria persona e ciò per cui ci si sta spendendo.

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).

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