20 Aprile 2024
I segreti dei Serial Killer

I segreti dei Serial Killer: assassini mai esistiti

Come per ogni disciplina, anche in criminologia esistono fatti non veritieri che vengono dati per certi. Nell’ambito dei serial killer, i luoghi comuni sono frequenti, ad esempio: un seriale è così per via un singolo trauma vissuto da piccolo, ha ucciso per vendicare un singolo torto subito, ha agito in preda a raptus, si è fatto dominare dalla “personalità cattiva”, e via dicendo. Molti dei casi più celebri oscillano tra realtà e leggenda: esistono storie di fantasia associate a fatti ben documentati, come Jack lo Squartatore in Inghilterra o Zodiac negli Stati Uniti. Nel caso di Jack lo Squartatore, non pochi inglesi sono convinti che sia un personaggio di fantasia. [1] Anche per il Mostro di Firenze sono state formulate complesse teorie, mai dimostrate, che associano i suoi delitti a ingarbugliati complotti internazionali. Esistono poi dettagliate biografie di serial killer che probabilmente non sono mai esistiti, ma che sono senza dubbio cariche di fascino.

La seducente (sedicente?) Vedova Nera

Un esempio di figura al limite tra reale e fantastico è Vera Renczi, un’affascinante vedova nera sulla cui reale esistenza aleggiano molti dubbi, non esistendo tracce della sua vita e dei suoi crimini né sulla stampa né sui documenti ufficiali serbi o rumeni. L’aneddotica ci dice che sia nata a Bucarest nel 1903 da una famiglia molto facoltosa, trasferendosi in un non meglio precisato paese serbo, probabilmente l’attuale Zrenjanin. Vera avrebbe mostrato una fortissima attrazione per gli uomini fin da piccola, dando scandalo, ad esempio, facendosi trovare nel letto di un giovane in un dormitorio maschile in piena notte o fuggendo più volte dalla casa dei genitori con uomini diversi.

Si sarebbe poi sposata con un ricco e anziano uomo d’affari, con cui avrebbe avuto un figlio, ma che l’avrebbe lasciata vedova scomparendo improvvisamente in un presunto incidente d’auto.  Il suo secondo marito, un uomo giovane e avvenente, sarebbe invece d’un tratto “partito per un viaggio”, subito dopo la scoperta da parte della moglie di una relazione extraconiugale. La donna non si sarebbe quindi più risposata, limitandosi a godere della compagnia effimera di molti amanti. Dopo il “viaggio” dell’ultimo marito, i vicini di casa avrebbero notato un sospetto via vai di uomini, di cui di punto in bianco si perdevano le tracce.

Le sue vittime, stimate tra le 32 e le 39, sarebbero stati tutti suoi amanti, uomini tra i venti e i trent’anni, avvelenati nel momento in cui perdevano interesse per lei o ci fosse il sospetto di un’infedeltà. Anche il figlio di Vera, poco più che un bambino, sarebbe stato avvelenato dalla madre perché avrebbe minacciato di denunciare i suoi crimini. Inoltre, nella logica dell’assassina, essendo un maschio prima o poi l’avrebbe “lasciata per un’altra donna”. Il fatto che non siano state trovate denunce della scomparsa di queste persone sarebbe spiegato dal fatto che fossero prevalentemente originarie di paesi stranieri. [2]

Le leggende descrivono anche la sua pittoresca cattura, che sembra tratta dal capolavoro di Frank Capra, Arsenico e vecchi merletti: [3] i crimini della Renczi sarebbero stati scoperti per via della denuncia sporta da una donna di Berkerekul per la scomparsa del marito, un banchiere. Le indagini avrebbero portato ben presto a Vera, che inizialmente avrebbe negato qualsiasi accusa in modo poco convincente, per poi cedere e confessare i numerosi delitti. Nella cantina di casa sua sarebbero state trovate decine di bare zincate, con i corpi dei relativi amanti e del figlio, contrassegnate con il nome e la loro età al momento del decesso. Addirittura Vera avrebbe riferito che, ogni sera, si sedeva in una poltrona in cantina, tra le bare dei suoi amanti, immaginando le sue vittime come corteggiatori, come fossero ancora in sua adorazione. Le prove inconfutabili l’avrebbero portata a una condanna all’ergastolo.

L’arma dei delitti, tipica delle vedove nere, sarebbe stata il veleno, il classico arsenico, somministrato ai malcapitati durante un’ultima “cena romantica” prima dell’addio. Questo veleno era usatissimo tra il XVIII e il XIX secolo, in particolare da signore desiderose di ereditare sostanze in breve tempo dal padre o dal marito, al punto che si guadagnò il soprannome di “polvere di successione”, così come altri composti venefici analoghi, che potevano dare l’idea che la vittima fosse morta per cause naturali a seguito di una breve malattia, poiché spesso era somministrato con l’inganno per alcune settimane di fila, causando dolori fortissimi allo stomaco. [4]

La storia di Vera è con ogni probabilità una leggenda, diffusa in Romania e in Serbia, proprio per via della totale mancanza di documentazione che confermi la vicenda. Potrebbe essere, come spesso accade, una storia con qualche fondo di verità mescolato alla fantasia. Oltre al veleno, la vedova nera (o vedovo nero, come Henri Landru) ha altri tratti caratteristici: mostra un atteggiamento estremamente possessivo nei confronti del coniuge o vuole liberarsi di partner ingombranti per via di un’eredità, un premio assicurativo o un nuovo rapporto. In generale, sono persone che uccide nell’ambito della cerchia familiare o amicale. [5]

La leggenda del Ragno Rosso di Varsavia

Il polacco Lucian Staniak, nato a Varsavia, vive durante l’infanzia un terribile trauma: la morte di entrambi i suoi genitori e della sorellina in un incidente automobilistico. La persona alla guida dell’auto responsabile dell’incidente è una giovane dai capelli biondi, moglie di un ufficiale dell’aeronautica. La donna viene assolta in sede penale e questa ingiustizia lascia Staniak con una feroce sete di vendetta. Nel 1964 Lucian lavora come traduttore presso la casa editrice statale. Invia una lettera minatoria al quotidiano di Stato polacco Kulisy, scrivendo con un inquietante inchiostro scarlatto che sarà all’origine del suo soprannome, il “Ragno rosso” [6]:

“Non c’è felicità senza lacrime, vita senza morte. Attenti! Vi farò piangere.” [7]

Le sue non sono parole al vento: poco tempo dopo violenta, mutila e uccide una ragazza bionda di diciassette anni a Olsztyn, Danka Maciejowitz. In seguito al delitto, viene inviata una seconda lettera, in cui si rivendica l’omicidio:

“Ho colto un bel fiore succoso a Olsztyn e lo farò ancora da altre parti, non ci sarà festa senza un funerale.”

Poco tempo dopo, una ragazza bionda di sedici anni, Aniuta Kaliniak, scompare durante una parata di studenti. Il suo cadavere viene ritrovato grazie a una lettera anonima, con profonde ferite nella zona genitale. Nel novembre del 1965 viene uccisa una giovane receptionist bionda, Janka Popielski, a Poznan. La donna è stata prima soffocata col cloroformio e poi violentata e mutilata con un cacciavite.

Questi delitti sono i primi di una lunga serie di almeno venti ragazze, che il Ragno riesce ad avvicinare durante viaggi di lavoro, in alberghi e altri luoghi pubblici, in diversi paesi a sud-ovest di Varsavia. Mette in atto spesso mutilazioni vicino ai genitali con oggetti appuntiti come cacciaviti e punteruoli, cosa che mette in evidenza la connotazione sessuale dei delitti. Abbandona i corpi in luoghi non troppo visibili, ma vuole che siano ritrovati in breve tempo, non li seppellisce. Un’altra delle sue missive recita:

“Soltanto le lacrime di dolore possono lavare la vergogna; soltanto il dolore può estinguere le fiamme della lussuria.”

La polizia polacca è sulle sue tracce, ma continua ad agire indisturbato fino al 1967, uccidendo giovani bionde e mandando lettere provocatorie alla stampa. Le lettere del Ragno ricordano molto le missive di Jack lo Squartatore: ha anch’egli usato inchiostro rosso nelle sue lettere considerate “ufficiali”, per simulare il sangue. Oltre al lavoro, coltiva l’hobby della pittura, e la sua cattura è dovuta all’uccisione di una ragazza che faceva parte del suo stesso club di amanti dell’arte. Gli inquirenti si insospettiscono per via delle sue opere disturbanti, che raffigurano sangue, omicidi e mutilazione. Secondo alcune fonti invece, la sua identificazione è dovuta a delle impronte digitali trovate su una bottiglia rinvenuta accanto a una delle vittime. In breve tempo, gli inquirenti collegano i suoi spostamenti a molti delitti; Lucian viene condannato per sei omicidi, dichiarato incapace di intendere e di volere e internato a vita in un manicomio criminale a Katowice. [8]

Fantasia al potere

Se a proposito di Vera Renczi si può rimanere col beneficio del dubbio, nel caso del “Ragno rosso” non è necessaria alcuna esitazione: si tratta di una storia fittizia. Staniak probabilmente non è mai esistito, nonostante la sua storia sia ricca di dettagli nemmeno troppo inverosimili, per quanto piuttosto pittoreschi, così come nel caso della Renczi; ma del resto non mancano vicende reali di serial killer che hanno dell’incredibile. Per complicare le cose, su internet esistono fotografie di persone realmente esistite, anche criminali, erroneamente identificate come la Renczi o Staniak, ad esempio il serial killer Carl Panzram. Tra i primi a parlare del Ragno è stato lo studioso Colin Wilson, che probabilmente ha ripreso una storia precedente senza verificarne le fonti. Esiste un film del 2015 dedicato al Ragno, “The red spider” di Marcin Koszalka. Staniak e la Renczi restano due personaggi affascinanti, che mettono insieme nelle loro biografie elementi di diversi casi reali (ad es. Karol Kot o Peter Kurten per Staniak, Amy Archer-Gilligan per la Renczi), ma che appartengono, con ogni probabilità, unicamente al mondo della fantasia.

 

Un ringraziamento speciale a Stefano Pianaro.

Note:

[1] M. Centini, Storia della criminologia e dei metodi investigativi, Diarkos Edizioni, Rimini 2022.

[2] R. De Luca, Serial killer, Newton Compton, Roma 2021, pp. 468-469.

[3] La pellicola trae in realtà ispirazione dalla vicenda della serial killer Amy Archer-Gilligan.

[4] C. Tani, Assassine, Mondadori 1999.

[5] M. Newton, Dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005, p. 335.

[6] Czerwony Pajak in polacco.

[7] B. Innes, Serial killer, White Star Edizioni, Malta 1015, pp. 160-164.

[8] R. De Luca, Serial killer, Newton Compton, Roma 2021, pp. 468-469.

Marianna Cuccuru

Laureata in scienze dell' Educazione, studia da molti anni il fenomeno dei serial killer. Ha tenuto lezioni sul tema presso l'università dell'Insubria e per l'associazione Fidapa di Varese.

5 pensieri riguardo “I segreti dei Serial Killer: assassini mai esistiti

  • Buona settimana, cara Marianna. Vera Renczi è data per realmente esistita da Wikipedia. E qui si potrebbero aprire discussioni. Esiste un documento originale della sentenza? Taglierebbe la testa al toro. Perché poi non dovrebbe mai essere esistita? E’ per caso in corso una guerra sulla non esistenza di Donne killer seriali simile a quella sulla non esistenza dell’ Omeopatia? Che ne dici, ad esempio, di Giulia Tofana? Lei dimostra non solo che esistono donne assassine seriali, ma anche che almeno una parte dei processi alle streghe erano più che giustificati.

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    • Ciao Aldo!
      Certo, molte fonti la danno per esistente, così come il Ragno rosso di Varsavia, ed è per questo che ho scelto di parlare di loro. Su Vera ho scritto che qualche dubbio lo si può avere, ma ci sono ricerche recenti e autorevoli criminologi (vedi De Luca o Mastronardi) che confermano la mancanza di documenti che attestino la sua esistenza in vita. Su Wikipedia: ovviamente non è infallibile, ad esempio alla voce dedicata a Leonarda Cianciulli si trova una foto con didascalia “Leonarda Cianciulli da giovane” mentre si tratta probabilmente dell’uxoricida Marguerite Fahmy. Sul fatto che esistano donne seriali… ho scritto dozzine di pagine su di loro, sono state oggetto di studio di decine di criminologi, non hai che l’imbarazzo della scelta! Se ti interessa approfondire il tema, ti consiglio “Come uccidono le donne. Una lettura psicoanalitica” di Giuliana Kantzà.
      PS Buon Natale!

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  • Grazie! Anche a Te e alle Persone che hai care.

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  • Cara M, poiché Marianna, poiché sembra che al momento non ci sia più possibilità di commentare i nuovi articoli, commento il Tuo ultimo, su Elisabetta Bathory, su questo, che è taggato. Mi ha fatto piacere leggere su di lei un articolo con attenzione e attendibilità storiche: in genere la leggenda prevale, assieme ai particolari morbosi e truculenti. Provo a dare un paio di spiegazioni che spero razionali: 1) non fa piacere a nessuna Patria parlare di cattivi suoi cittadini, contrarii dell’ Eroe. La Damnatio Memoriae la si tenta sempre. 2) Non capisco perché mettere in dubbio tante vittime. Chi si trova in posizioni di sostanziale impunità non si pone questi limiti del resto Ted Bundy e Andrej Cikatilo, pur dovendo stare attenti a celarsi, hanno ucciso un centinaio di persone ciascuno. E Giulia Tofana, considerate anche le vittime indirette dei suoi veleni regalati o venduti, oltre i decenni in cui ha potuto “lavorare”,deve averne uccisi di più. Quanti ne avrà uccisi poi Mengele, avendo una libertà assoluta?

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    • Buonasera Aldo!
      Dunque, sul mettere in dubbio il numero di vittime della Bathory, direi semplicemente: mancano prove concrete e sono mancate anche durante le vicende processuali. Pare che sia stato presentato come prova solo il corpo di una ragazza, di cui non era determinabile la causa della morte. In casi antichi e svolti in un contesto culturale così diverso dal nostro è difficile dare risposte precise. Anche solo il fatto che il numero delle vittime sia molto variabile in base alle fonti, da poco più di cento a quasi settecento, mi sembra un indizio significativo. Nè Bundy né Cikatilo hanno (probabilmente) raggiunto il centinaio, anche se non sono note tutte le loro vittime. Senza dubbio, avrebbero ucciso ancora più persone se avessero avuto meno vincoli. Di sicuro sono esistiti personaggi che hanno ucciso centinaia di persone direttamente, ma nel caso specifico della Contessa non sembrano davvero esserci prove sufficienti.

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