20 Aprile 2024
Approfondimenti

La leggenda degli antichi astronauti della Valcamonica

Articolo di Matteo Boccadamo*

Dalla metà del ‘900 la teoria dei cosiddetti “paleo-astronauti” ha avuto sempre maggior diffusione. L’idea che visitatori alieni, a bordo di astronavi tecnologicamente avanzate, siano entrati in contatto coi nostri antenati già in epoche remote troverebbe riscontro in antichissime espressioni artistiche ed evidenze archeologiche. Queste testimonianze sembrano disseminate un po’ in tutto il mondo e, dai dogu giapponesi[1] alla pietra tombale maya di Palenque[2], tornano ciclicamente alla ribalta sui blog di qualche ufologo e non solo.

Non stupisce dunque che anche il patrimonio archeologico italiano, ricco com’è, abbia qualcosa da esibire in proposito. Troviamo esempi in Lombardia, tra Brescia e Bergamo, nell’enorme corpus di incisioni distribuite tra i vari parchi archeologici della Valcamonica. La valle prende il proprio nome dai Camuni, antichissimo popolo di origine centro-europea stanziato nell’area del fiume Oglio intorno all’VIII millennio a.c. 

Pionieri dell’arte rupestre, in cui letteralmente si specializzarono, hanno lasciato più di 300.000 figure incise (quelle ad oggi conosciute) su oltre 2000 rocce comprese negli attuali territori di decine di Comuni. Rappresentazioni evocanti la sfera religiosa e rituale (ma anche quotidiana, economica, sessuale e sociale) si consolidano nel sostrato culturale del popolo, diventandone carattere distintivo, che perdura e si evolve nel corso di circa 8000 anni (grosso modo fino al sopraggiungere dei romani). Si tratta, insomma, di un complesso straordinario, che non a caso è stato il primo sito italiano inserito nella lista UNESCO dei patrimoni dell’umanità (nel ’79)[3] [4]. Alcuni simboli acquisiscono una valenza tale da diventare identitari, come l’antropomorfo “che corre” sulla Roccia 35 del Parco di Naquane, riprodotto lungo alcune strade e soprattutto la celebre Rosa Camuna che, oltre ad ispirare un formaggio tipico, costituisce oggi il simbolo stesso della Regione Lombardia.

Ebbene, tra le centinaia di migliaia di graffiti camuni, se ne annoverano molti raffiguranti degli antropomorfi giudicati spesso alquanto “misteriosi”. C’è ad esempio una figura incisa sulla Roccia 24 di Foppe di Nardo[5] (proprio sotto una Rosa Camuna): un essere dal corpo umanoide, con una testa vista di profilo, che pare fluttuare reggendo in mano due insoliti arnesi (fig. 1). Ma soprattutto indossa sul capo un particolare “casco trasparente”, dal quale fuoriescono delle specie di piccoli tentacoli o raggi e che sembra agganciarsi saldamente sulle sue spalle, proprio come sulla tuta di un astronauta. Ancora più affascinante ed “enigmatica” appare la coppia di antropomorfi presente sulla Roccia 1 di Zurla-Nardo (fig. 2). Le due figure, in posa molto simile alla prima, risultano affrontate fra loro, recanti in mano i medesimi singolari aggeggi e con entrambe indosso la stessa tipologia di casco. Queste immagini sono i primi risultati che appaiono digitando sul web le parole chiave “astronauti camuni”. Ed in effetti è forse l’associazione mentale più immediata per chiunque (al giorno d’oggi) si imbatta per la prima volta in quanto appena descritto. E non c’è nulla di male nel riferirsi a queste manifestazioni artistiche col vezzeggiativo di “astronauti”, se l’intento è goliardico; infondo si tratta di un innocente esercizio di fantasia cui si accostano a volte gli stessi archeologi, quando vi siano consapevolezza e finalità comunicativo-divulgative.

 

Figura 1 – R 24 Foppe di Nardo, Rosa camuna e “astronauta”. Foto di Luca Giarelli da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0.

 

Figura 2 – R 1 Zurla-Nardo, “astronauti” camuni. Foto di Luca Giarelli da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 4.0.

I problemi sorgono quando, invece, si tenta di speculare per ricavarne storie pseudo-scientifiche da vendere. Sono varie infatti le pagine web e i giornali [6] che hanno già intessuto ricami fantarcheologici a tema “spaziale”. Stando a queste teorie, nei graffiti della Valcamonica ci sarebbe l’ennesima riprova di antichi contatti tra civiltà extraterrestri e predecessori umani. Inequivocabili in questo caso le “antenne” presenti sui caschi dei viaggiatori e l’aspetto “piuttosto tecnologico” degli oggetti da loro branditi. Impossibile non cercare immediatamente supporto nelle idee di Peter Kolosino ed Erich Von Daniken, i pionieri ed i principali teorici del “paleocontatto”; ecco quindi che L’epopea di Gilgamesh, Il Ramayana e alcuni brani della Bibbia vengono evocati come prove scritte a sostegno delle loro affermazioni. Ed anche per le incisioni della Valcamonica dunque ci si rifà alle intuizioni dei due autori, in quanto esse si baserebbero “su fonti storiche, su ritrovamenti archeologici e su architetture molto antiche confrontabili”. Il grado di tecnologia immortalata dagli antichi camuni non può dunque essere un caso: come potrebbe un essere umano del passato essersi immaginato degli strumenti tanto avanzati senza vederli di persona? Caschi e strumenti riprodotti infatti non sarebbero “riconducibili a nessuno degli oggetti presenti dell’Età Preistorica”, nell’ottica di chi si approccia alla lettura dei graffiti.   

Oltretutto, siccome un viaggiatore dello spazio che si rispetti non può esistere senza il proprio mezzo, ci sono anche le navicelle! C’è infatti chi è sicuro che agli antichi artisti non sia sfuggito il dettaglio, ma che abbiano addirittura lasciato indizi sufficienti per distinguere almeno un paio di soluzioni per viaggi interstellari: il razzo e l’intramontabile disco volante. Tutte quelle incisioni che gli archeologi leggono come capanne o palafitte, abbondanti in vari parchi della zona, andrebbero quindi interpretate piuttosto come razzi. La loro forma slanciata ed appuntita verso l’alto, la resa sempre verticale e la visione frontale dovrebbero far pensare a strutture alloggiate su delle rampe, in grado di spiccare il volo e di atterrare (fig. 3). A conferma di ciò interverrebbe il fatto che a volte ad esse è associato un solo individuo, ritratto nello spazio corrispondente all’interno della costruzione. “Fatto insolito nella vita preistorica e protostorica, dove il clan e la famiglia erano tutto”: ciò significa che se si trattasse di abitazioni, allora dovrebbero necessariamente pullulare di inquilini e che sarebbe più opportuno pensare a missili destinati a singoli piloti.  Altre spirali, cerchi concentrici e raffigurazioni di raggi solari, come la cosiddetta “Roccia del Sole” a Paspardo, risulterebbero poi “imputabili ad UFO”. Gli oggetti rappresentati su questa ed altre superfici sarebbero dei dischi volanti dai quali discendono “rampe e gradini”, talvolta persino “scalinate circolari”, per la salita a bordo o la discesa dal mezzo, che poco spazio lasciano ad ulteriori interpretazioni, in quanto “le immagini parlano da sole”.

 

Figura 3 – R 1 di Bedolina, complesso di raffigurazioni di capanne, conosciuto come “Mappa di Bedolina”. Immagine di Ruparch da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0.

Risiede proprio in questa convinzione di “immediatezza comunicativa” da parte delle immagini l’errore più grande che si possa commettere nell’approcciarsi alla lettura di istoriazioni antiche. Le immagini (come ogni altro reperto archeologico) non parlano mai da sole, ma al contrario restituiscono risposte precise in base alle domande poste loro. Gran parte del mestiere dell’archeologo consiste proprio nel formulare il corretto quesito da porre alle fonti, seguendo determinati obiettivi di ricerca, per trarre l’interpretazione più verosimile possibile (fino a nuove evidenze o nuove domande). La base fondamentale di questo approccio è sempre il contesto, perduto il quale risulta spesso difficile proseguire nella ricerca. E le incisioni camune rappresentano una molteplicità di contesti molto vasta e variegata, per ricostruire la quale è stato necessario un lavoro sinergico da parte di molti esperti della durata di decenni e che è tutt’ora in corso. Per farsi un’idea della complessità, basti pensare che i primi studi sistematici su queste espressioni artistiche sono stati avviati negli anni ’50, per poi essere pubblicati solo vent’anni più tardi. I primi archeologi, sotto la guida di Emmanuel Anati, hanno dovuto elaborare ed applicare una metodologia assolutamente nuova, per procedere ad individuazione, rilevamento, catalogazione e analisi di ogni singola incisione, per un patrimonio che è ancora in costante incremento. Come riferisce lo stesso Anati, la particolarità dei graffiti camuni risiede nel loro insieme: a seconda del modo in cui i simboli sono prodotti e soprattutto associati tra loro il significato espresso cambia radicalmente. Le forme vengono molto spesso ripetute secondo schemi prefissati (accostamenti, sovrapposizioni, sovraincisioni, ecc.) che in alcuni frangenti possono assolvere addirittura funzione di proto-scrittura; un fenomeno che secondo gli esperti sarebbe potuto approdare ad una scrittura vera e propria, se non fossero intervenuti gli Etruschi (una sorta di pre-ideogrammi per intenderci). Il valore semantico muta oltretutto anche in base all’epoca in cui i graffiti vengono prodotti[7]. Ciò significa che non è possibile estrapolare le singole incisioni privandole del proprio contesto per tentarne una lettura, in quanto per ricavarne informazioni è necessario prenderle in considerazione nella loro globalità, operando confronti fra epoche, stili e tecniche di produzione.

Alla luce di ciò, come interpretare i disegni misteriosi descritti in precedenza se non in relazione alla paleo-astronautica? Ad oggi la letteratura scientifica a riguardo è abbondante e fruibile, il che significa che anche brevi consultazioni sono sufficienti per rendersi conto che i nostri “astronauti camuni” sono in realtà dei guerrieri. Si tratta di alcune tra le incisioni più diffuse, standardizzate e facilmente riconoscibili dell’intero corpus della Valcamonica. Ciò che indossano non è altro che una tenuta da combattimento, con armi e armature anche piuttosto documentate. Per questo caso specifico non andrebbero affatto cercati confronti con “l’Età Preistorica”, in quanto gli armati delle rocce qui prese in esame sono tra gli elementi più facilmente databili per gli archeologi e risalgono al VII secolo a.c., Età del Ferro. Grazie all’analisi stilistica è possibile tenere traccia persino dell’evoluzione sperimentata dalle iconografie, come quella dei “caschi”. I futuristici copri-capo sono infatti chiaramente identificabili come “elmi crestati”. Se ne distinguono addirittura i vari modelli in base all’epoca. infatti Su varie rocce se ne riconosce una tipologia, sempre con cresta, attestata fino al VI secolo a.c. presso la cultura villanoviana (presente in Emilia-Romagna e Toscana e che è alla base dello sviluppo degli Etruschi); mentre proprio a partire dal VII a.c. si diffonde quella di derivazione etrusco-picena, a calotta semicircolare, con borchie, e munita di fori che permettevano l’innesto di creste organiche o con dei pennacchi metallici già inclusi[8]. Quest’ultima è molto simile a quella indossata dagli “astronauti” e di confronti se ne trovano facilmente anche nelle esposizioni museali (fig. 4). Gli strani oggetti che recano in mano i guerrieri invece, simili a scettri o telecomandi tecnologici, rappresentano invece scudi dalle dimensioni ridotte, di forma rotonda e visti di profilo! Questa tipologia si diffonde tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.c. in sostituzione di quella ovale e più grande precedentemente attestata. Se ne riconoscono anche in statuette bronzee villanoviane. Anche le spade brandite corrispondono ad uno standard conosciuto: la spada ad antenne del tipo Tarquinia, anch’essa del VII secolo a.c. circa.  

Il tutto rientra in un armamentario rituale da ricondurre a panoplie speciali, direttamente funzionali al compimento di un rito. Più che di guerrieri infatti, sarebbe opportuno parlare di duellanti, che si sfidano in uno scontro di carattere cultuale. L’iconografia del duello simboleggia probabilmente una sorta di passaggio, forse verso l’età adulta o a un rango sociale differente. È stato infatti anche avanzato un paragone con la leggenda romana del Rex Nemorensis, che per conquistare il titolo doveva battere in duello il sacerdote in carica. Naturalmente esistono altre plausibili interpretazioni alternative o persino valide al medesimo tempo: un’ostentazione di virilità, come suggerirebbero gli itifallici delle prime fasi di queste scene, cioè sfidanti dagli attributi sessuali esaltati; oppure una danza armata, nei casi in cui figurino personaggi intenti a suonare uno strumento. Insomma la scena riproduce un rito iniziatico, legato a purificazione, rinascita o comunque ad una trasformazione dell’individuo. Pratica probabilmente consolidata secondo precise regole, tanto da necessitare talvolta della presenza di un supervisore, una sorta di “arbitro”, come viene interpretata la terza figura sulla roccia 50 di Naquane[9]. Il vincitore della prova poteva ottenere addirittura una ricompensa materiale. Lo si vede sulla Roccia 6 di Foppe di Nardo: l’oggetto posto al centro fra i duellanti, letto a volte come un antropomorfo a mezzo busto o manifestazione divina, è oggi interpretato maggiormente come il trofeo in palio per il duellante più meritevole (fig. 5).

 

Figura 4 – Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna. Bologna, Museo civico archeologico, via dell’Archiginnasio 2 (7 dic 2019 – 24 mag 2020)

 

Figura 5 – R 50 di Naquane, probabile trofeo posto tra duellanti che si affrontano. Foto di Luca Giarelli da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0. 

Che dire invece delle “navicelle mono-posto”? Come già sottolineato, le istoriazioni vengono prodotte nell’arco di millenni e le indagini odierne permettono di individuarne approfonditamente la cronologia, persino in base a profondità e spessori (anche millimetrici) dei solchi incisi. Si è evinto quindi che era usanza assai diffusa praticare nuove incisioni su altre preesistenti. Una volta occupato uno spazio, questo acquisiva una valenza culturale, se non sacra. Riutilizzarlo integrandolo con ulteriori contributi era quasi un onorarne il valore artistico e cultuale. È anche il caso dei “piloti” inquadrati singolarmente all’interno dei propri “mezzi spaziali”. Si tratta ovviamente di abitazioni a capanna, ma gli individui al centro non ne sono gli inquilini, né vi sono ritratti all’interno, quanto piuttosto al di sotto. È molto semplice a questo punto intuire quali tra queste siano le incisioni più antiche. Guerrieri, cavalieri e antropomorfi antecedenti non vengono però cancellati né oscurati dalle sovraincisioni, proprio in ragione del rispetto tributato loro. Ma questo discorso varrebbe benissimo anche se i nuovi graffiti rappresentassero effettivamente navicelle spaziali; come si fa ad essere sicuri che si tratti di capanne? È molto facile trovarne ovunque nei parchi archeologici camuni e riconoscerle grazie all’associazione di chiari elementi topografici, quali fiumi, coltivazioni ecc. L’esempio più impressionante è la cosiddetta “Mappa di Bedolina”, sulla Roccia 1 di Bedolina del Parco di Seradina-Bedolina (fig. 3). Vi si distinguono chiaramente unità abitative, luoghi di culto, campi coltivati e recinzioni con bestiame all’interno. Tutto ciò è disposto su di una superficie di circa 50 mq con una logica tale da far pensare alla riproduzione di un paesaggio rurale reale. C’è chi vi riconosce il percorso del torrente Re e perfino alcune linee di confine sembrano addirittura corrispondere a qualche divisione catastale ancora esistente negli anni ’50. Se queste supposizioni dovessero trovare effettiva fondatezza si tratterebbe di una delle “cartografie” (con le dovute cautele) più antiche conosciute al mondo.[10] [11]

Per concludere, circa il “disco volante” con fasci luminosi sulla “Pietra del Sole”, questo stesso nome chiarisce già molti misteri. Il disco solare è un’altra delle iconografie più rappresentate, in questo caso immortalato al tramonto, mentre cala al di là dei monti, con 3 fasci composti da altrettanti raggi orientati verso il basso. Il fenomeno è originato dalla rifrazione atmosferica, che gli artisti camuni hanno probabilmente riprodotto così come si mostrava loro. Anche in questo caso i confronti con opere simili sono abbondanti in varie culture europee[12].

Nessun alieno fin qui dunque. Tuttavia, va segnalato che accanto ad alcune capanne figurano impronte graffite di mani e piedi di dimensioni ragguardevoli, molto maggiori delle incisioni cui si affiancano: il timore è che presto si dovrà tornare sull’argomento per parlare di “giganti camuni”.

Un ringraziamento particolare all’archeologo Dott. Paolo Medici, Direttore di scavo Centro Camuno di Studi Preistorici, per la foto dell’elmo villanoviano e soprattutto per la consulenza scientifica e la supervisione dell’intero articolo.

Note

  • [1] https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=278001#2
  • [2] https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=275099
  • [3] Bibliografia sull’arte rupestre e sui contesti e ritrovamenti preistorici e protostorici della Valle Camonica” – Quaderno 1, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Capo di Ponte, 2005.
  • [4] Sansoni Umberto, “Lo stato della ricerca sul contesto rupestre della Valcamonica: sintesi sulle scoperte, gli studi tematici ed i caratteri di zona”, Preistoria Alpina, 46 II (2012): 45-54, Museo delle Scienze, Trento 2012.
  • [5] Cittadini, Tiziana L’arte rupestre di Foppe di Nadro. Vol.1: catologo delle rocce, pp. 118-121, Edizioni del Centro, Capo di Ponte 2017.
  • [6] https://www.ultimavoce.it/val-camonica-antichi-astronauti/
  • https://www.federazioneufologicaitaliana.org/le-incisioni-rupestri-della-val-camonica-per-la-paleoastronautica/
  • [7] Anati Emmanuel, “Alle origini della civiltà europea – l’arte rupestre in Valcamonica” in Archeo Dossier n. 27, pp. 14-20.
  • [8] Fossati Angelo, “Immagini di una aristocrazia dell’età del ferro nell’arte rupestre camuna”, contributi in occasione della mostra Castello Sforzesco aprile 1991 – marzo 1992, Milano.
  • [9] Zanetta Manuela, “Il duello nell’arte rupestre camusa: simbolo di passaggio, della danza armata e della lotta del bene contro il male”, PAPERS Valcamonica Symposium 2007.
  • [10] Arcà Andrea, “Le raffigurazioni topografiche, colture e culture preistoriche nella prima fase dell’arte rupestre di Paspardo”, in Atti del Convegno interdisciplinare PASPARDO, 6-7-8 ottobre 2006, Paspardo, 2007, pp. 36-37.
  • [11] Casti Emanuela, “Semiosi cartografica e incisioni rupestri: verso un’interpretazione della mappa di Bedolina”, Riv. Geogr. Ital. 125 (2018), pp. 133-154.
  • [12] Codebò Mario, De Santis Henry, Barale Pietro, Castelli Marco, Fratti Liliana, Gervasoni Elena, “Indagine archeoastronomica su un petroglifo della Valcamonica presso il capitello dei due pini”, pubblicato in BCSP 34 Arte Preistorica italiana, Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici, n. 34, Edizioni del Centro, Brescia, pp. 209-222.

* Matteo Boccadamo, classe 1989, leccese, vive a Milano dal 2019. Laureato in Metodologia della ricerca Archeologica presso l’Università del Salento e con Master in Economia del Turismo all’estero, ha fatto esperienze in musei spagnoli. È anche guida turistica e insegnante precario di lettere. Scrive per passione, oltre che poesie e racconti, articoli per un magazine turistico, contenuti storico-divulgativi e cura un profilo Instagram dedicato  all’archeologia.

3 pensieri riguardo “La leggenda degli antichi astronauti della Valcamonica

  • Continuando a seguire il metodo scientifico, non farò affermazioni riguardo a quei graffiti (neppure a negare un’interpretazione clipeologica di essi). Come in altre occasioni, invece di permettermi di negare (è lo stesso errore, cambiato di segno, dei fideisti della clipeologia) sospendo il giudizio.
    Mi vien fatto di rammentare (e di ricordare ai negazionisti di quanto non scritto attualmente nei libri, libri che tante volte abbiamo dovuto riscrivere) che anni fa un elicottero ha sorvolato a bassa quota il territorio di una di quelle tribù amazzoniche ache ancora vivono senza aver avuto contatti con altre popolazioni ne’ con la nostra cosiddetta “civiltà”; quell’elicottero prese quota e si allontanò dopo essere stato fatto segno di frecce e lance. Tra un paio di secoli, forse, gli esploratori che prendessero contatto con quella tribù sentirebbero raccontare le leggenda (tramandata oralmente per quei due secoli) dell’Uccello del Male messo in fuga – o, forse, ucciso – da un qualche eroe semidivino che gli ha scagliato contro la Sacra Lancia donatagli dal Dio Sole… e magari qualcuno del CICAP, o di qualcosa di analogo che esisterà tra due secoli, liquiderà la cosa come un’accozzaglia di balle (e invece l’elicottero era passato veramente di là)..
    Morale: davanti ad indizi, ma in assenza di prove, è meglio la sospensione del giudizio (epoké).
    As-salāmu ʿalaykum.

    Rispondi
  • Un ringraziamento a Matteo e al Prof. Medici, per l’ Articolo e la Supervisione. Uno dei sogni ormai irrealizzabili della mia vita era visitare la Val Camonica e qualcuno dei suoi famosi siti Archeologici. Per quanto riguarda le tesi anti possibilità che si sia voluto raffigurare Esseri appartenenti ad Altri Pianeti di passaggio colà, rimango della mia opinione, già espressa per altri articoli del genere: se si vuole dire che le immagini raffigurate possono non rappresentare Alieni, il giuoco in difesa è facile! Bisognerebbe che questi Artisti avessero riprodotto una Astronave completa di interni, sala comandi e motore. Ma se si vuole avere la certezza che i “Marziani” non ci hanno mai visitato, ovvero se si vuole passare dalla difesa all’ attacco, le difficoltà sono pari a quelle che incontrano i Tifosi delle Visite Millenarie allo scopo di istruirci, quando vogliono provarle con antiche raffigurazioni. Le Antiche Scritture di tutto il nostro Pianeta provano non che questi esistano, ma che l’ Uomo, fin dalle sue origini, ha creduto che esistessero Divinità, le quali scendevano dal Cielo. Gli Artisti provavano a raffigurarle, basandosi sui racconti dei Profeti cui queste Divinità si manifestavano. Che Esseri Alati esistessero nella mente umana prima addirittura della Bibbia lo sappiamo con certezza, gli Angeli sono raffigurati sia dagli Antichi Romani che dai Mesopotamici e dagli Egiziani. Per non parlare degli Asiatici e dei Nativi Sud Americani. . Le Scritture non parlano di Astronavi o Dischi Volanti, ma di Carri volanti, fiammeggianti o semplicemente luminosi. Gli Artisti hanno provato a raffigurarli in base alle descrizioni dei Veggenti/Profeti che raccontavano di averli visti. Ma anche in base alla Tradizione e alla loro fantasia. Più o meno come avviene oggi: il quadro della Madonna della Riconciliazione appeso all’ Esterno della Chiesa di S. Tommaso a Ostina è stato dipinto da una Artista amica di Silvana Orlandi, in base alle sue descrizioni, ma anche alla Tradizione. Me lo ha detto lei stessa, nel 1993, quando la conobbi. Il quadro era ancora a casa sua. Tornando agli Alieni, chi parla con loro (si definiscono Contattisti) ci racconta che sono comunque in grado di farsi vedere solo da chi vogliono esser visti, e di apparire e sparire nelle forme più adatte alla nostra comprensione. Quindi, se esistono, in passato non sono comparsi arrivando su Veicoli Spaziali compatibili con l’ Attuale tecnologia Umana. Conclusione: se pensate sia improbabile che esistano, altrettanto improbabile è che gli Antichi Artisti non abbiano mai provato a raffigurare creature Divine, venute dal Cielo, in cui la maggior parte dei loro contemporanei credevano.

    Rispondi
  • In Valcamonica ho visto una incisione di un uomo a 6 braccia. Qualche spiegazione? Grazie… Ilaria

    Rispondi

Rispondi a Aldo Grano Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *