19 Aprile 2024
Misteri vintage

Atlantide è esistita? Chiedetelo ai lemmings

Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Atlantide e gli altri “continenti scomparsi”, si sa, sono stati collocati un po’ dappertutto. Allo stesso modo, è infinito l’elenco delle prove e degli indizi che sono stati addotti a sostegno di questo mito così antico e capace di attraversare i millenni. 

Esiste però un filone di queste pseudo-prove particolarmente divertente: quello degli animali che “ricorderebbero” i continenti perduti, comportandosi di conseguenza. Oggi passiamo in rassegna alcune di queste argomentazioni che si sono susseguite nei secoli; con un’avvertenza, però: molti di questi ragionamenti, per quanto oggi sembrino bizzarri, avevano un senso nella scienza dell’Ottocento.

Prima della scoperta della deriva dei continenti, ad esempio, era normale provare a giustificare la presenza degli stessi animali a grandissime distanze con l’esistenza di ponti di terra, continenti scomparsi o simili espedienti, che ne avrebbero permesso il transito. All’epoca era scienza, non pseudoscienza. Oggi abbiamo nuove teorie che spiegano meglio quei dati; i lemmings e le anguille di Atlantide rimangono quindi un curioso capitolo di storia della scienza, ormai semi-dimenticato. 

Le nostalgie di Atlantide dei lemming suicidi

Si racconta spesso, anche in siti dedicati al debunking, che la storiella dei lemmings suicidi sarebbe iniziata con un documentario Disney del 1958: White Wilderness (tradotto in italiano come Artico selvaggio, per la regia di James Algar). Al massimo, si retrodata la storia a tre anni prima, dando la colpa della leggenda sempre alla Disney, ma con un fumetto di Carl Barks: The Lemming with the Locket (in italiano Zio Paperone e il ratto del ratto), uscito nel marzo 1955. 

La convinzione che i lemmings si buttino dalle scogliere trovando la morte in mare, in realtà, è molto più antica. La si ritrova dibattuta e commentata già tra i naturalisti dell’Ottocento. Nessuno dubitava che il comportamento di questi animaletti fosse questo: semmai, era in dubbio la motivazione. Alcuni pensavano, proprio come nella leggenda, che il sovrappopolamento inducesse nei roditori un istinto suicida; altri pensavano a un effetto secondario delle migrazioni: i lemmings semplicemente stavano cercando di raggiungere altre terre, e nel farlo affogavano miseramente in mare. Già, ma quali terre? Fu a questo punto che qualcuno ipotizzò l’esistenza di un continente perduto…

Prendete questa immaginifica descrizione, comparsa nel 1885 su La nuova antologia, uno dei periodici più prestigiosi dell’Italia dell’epoca: 

Uno speciale istinto ha effetti assai nocivi alle specie: quello della migrazione. Il Crotch ha particolarmente studiata e descritta quella di alcuni piccoli roditori (lemmings), che migrano regolarmente ogni tre o quattro anni, dirigendosi verso l’ovest. Questi roditori attraversano laghi, torrenti, vallate; camminano di giorno e di notte e la loro carovana si aumenta durante il viaggio per le generazioni che nascono; quando la carovana, che ha dovuto subire gli attacchi di animali voraci e dell’uomo, giunge sulle sponde dell’Atlantico, entra nel mare e fatalmente vi trova la morte. Il fatto è bizzarro, ed il Crotch lo spiega alludendo all’esistenza, là dove oggi sta il mare, del favoloso continente dell’Atlantide, verso il quale forse i roditori dirigevansi per cercare l’influenza salutare del gulfstream (L’intelligenza negli animali secondo gli ultimi studi, pp. 100-118, infra, 113, su La nuova antologia, vol. 49, 1885). 

L’entomologo William Duppa Crotch.

A raccontare questa cosa era Ernesto Mancini, ingegnere, divulgatore scientifico molto noto e segretario dell’Accademia dei Lincei. Mancini, a sua volta, riprendeva uno scritto di sette anni prima apparso sul numero dell’11 agosto del 1877 del Popular Science Monthly. Lo aveva scritto un entomologo inglese, William Duppa Crotch (1831-1903). Fu lui, per quanto ne sappiamo, a collegare per la prima volta lemmings e Atlantide.

I lemmings di Crotch

Crotch era un medico, ma nel corso della vita si occupò per lo più di entomologia, in particolare di coleotteri. A parte una notevole corrispondenza con Darwin, la cosa per noi interessante è il fatto che, dopo aver conosciuto una ragazza svedese, la sposò e intorno al 1870 si trasferì in Scandinavia. Fu allora che prese a occuparsi di lemmings, diventando quasi ossessionato dai loro spostamenti e migrazioni.

Su Popular Science Monthly, Crotch supponeva l’esistenza di un continente scomparso in mezzo all’Atlantico, risalente al Miocene (da 23 milioni a 5,3 milioni di anni fa). Dopotutto, anche i racconti di Strabone e degli egizi lo menzionavano… Forse i lemmings si buttavano dalle scogliere per cercare di raggiungerne qualche cresta? Il naturalista ne era convinto: 

In questo modo, ecco che troviamo una spiegazione al destino che incombe sugli avventurosi viaggiatori, giacché abbiamo già visto che nessun lago li ferma e che sovente possono traversare fiordi, o bracci di mare, in piena sicurezza. Non ci sono dubbi, dunque che essi si gettino nell’Atlantico credendo che sia attraversabile come lo sono i laghi e i fiordi che hanno già guadato con successo, e che di là dalle sue onde giaccia una terra che non sono mai destinati a raggiungere. 

Si giudica che il continente sommerso di Lemuria, in quello che è ora l’Oceano Indiano, sia in grado di fornire una spiegazione alle tante difficoltà nella comprensione della vita organica, e io ritengo che l’esistenza di un’Atlantide del Miocene getterà un raggio di luce in grado di delucidare soggetti d’interesse più grande della migrazione dei lemming. In ogni modo, se sarà possibile dimostrare che dove adesso si agita l’Atlantico settentrionale nei tempi passati esisteva una terra, non soltanto avremo trovato un motivo per queste migrazioni dall’evidente intento suicida, ma pure una forte prova collaterale che quelli che chiamiamo istinti sono tutt’altro che ciechi e che talvolta sono persino un’eredità giunta da un’esperienza acquisita in precedenza. 

Poveri lemming! Oltre alle voci sui loro istinti suicidi (decisamente escluse dall’etologia moderna), con questi discorsi si venivano a trovare all’incrocio del dibattito fra la teoria dell’evoluzione di Darwin e la teoria dei caratteri acquisiti di Lamarck (che uscirà sconfitta dalle evidenze). 

Dai lemmings all’uccello delle tempeste

Le teorie di Crotch sul legame tra lemmings e Atlantide vennero abbandonate dalla scienza, ma finirono per trovare nuovo spazio nei libri dedicati all’archeologia misteriosa. A riproporle, in particolare, fu lo scrittore Robert Charroux (pseudonimo di Robert Joseph Grugeau, 1909-1978), nel suo Le livre du mysterieux inconnu. Come ci ha spiegato Stefano Bigliardi, che ha dedicato un saggio a questo curioso antesignano di Peter Kolosimo (in corso di pubblicazione), i lemmings di Charroux diventano una prova dell’esistenza dei “cromosomi-memoria”, una delle sue teorie pseudoscientifiche più particolari. In pratica: gli umani conserverebbero in sé le memorie ancestrali della loro origine aliena; allo stesso modo, i lemmings porterebbero impressi nei loro istinti le loro antiche migrazioni verso Atlantide…

Charroux, però, menziona anche un’altra prova “etologica” all’esistenza di Atlantide: la “convinzione” degli uccelli migratori nell’esistenza di una terra in mezzo all’Atlantico, dove poter far scalo. In particolare, lo scrittore francese era stupito dal comportamento di un uccello marino, la procellaria (anche detta uccello delle tempeste). Questi animali migrano attraversando lunghissime distanze, e in certi casi arrivano a superare interi oceani. Perché sprecare così tante energie? Charroux aveva la risposta: si ricordavano di un’antica terra dove far scalo, là in mezzo ai mari. Non trovandola, erano obbligati a continuare molto più a lungo. Spiegava Charroux:

Che le migrazioni siano in funzione della stagione, della temperatura, delle possibilità di sussistenza… Ecco ciò che è certo, in numerosi casi. Ma non si può credere che la procellaria traversi l’Atlantico per cercare il cibo e il clima americano, se l’Africa gli offre le sue foreste, i suoi campi, i suoi deserti e le oasi. […] No! L’uccello delle tempeste è ben lontano dal prosperare, attraversa l’immenso Oceano perché è sollecitato dai suoi imperativi ereditari. Sono i cromosomi-memoria che lo spingono e lo guidano (Le livre du mysterieux inconnu, 1969).

Per tutti i Sargassi! Ovvero, anguille ad Atlantide

Le storie sugli uccelli alla ricerca di Atlantide non erano un’invenzione di Charroux. Circolavano da anni tra gli appassionati di esoterismo. Ma c’era un altro animale che si comportava in modo sorprendente, e che forse poteva avere qualcosa a che fare con il continente perduto: le anguille europee. 

Questi animali, in effetti, sono rimasti a lungo un mistero. Dopo il loro primo anno di vita negli stagni e nei ruscelli europei, abbandonano il loro habitat; discendendo i corsi d’ acqua, raggiungono il mare, e iniziano una lunghissima migrazione verso ovest. Raggiungono il mar dei Sargassi, la zona di mare dell’Atlantico situata a nord delle Antille (così chiamata perché è piena di queste alghe). È qui che le nostre anguille si riproducono e depongono le uova, da cui escono i piccoli, chiamati “leptocefali”. Mentre i genitori muoiono stremati, le piccole larve trasparenti lunghe pochi millimetri iniziano il loro lungo viaggio di ritorno, alla volta dell’Europa.

Perché prendersi un simile disturbo? Perché viaggiare per oltre 6000 chilometri, in migrazioni lunghe e pericolose che durano anni? Anche qui, alcuni naturalisti ipotizzarono una spiegazione semplice che risolveva ogni cosa: un continente perduto in mezzo all’Atlantico. 

A lungo le anguille furono considerate una dimostrazione della teoria della generazione spontanea: nessuno le aveva mai viste riprodursi, e il loro comportamento rimaneva un mistero. A inizio Novecento, il biologo danese di lingua tedesca Johannes Schmidt (1877-1933) capì finalmente che le anguille andavano nel Mar dei Sargassi per accoppiarsi e deporre le uova. Nel 1922, pubblicò le sue scoperte in inglese sulle Philosophical Transactions of the Royal Society di Londra (ne aveva già scritto in tedesco, e soprattutto in Germania le sue idee erano diventate note al grande pubblico).

Otto H. Muck (1892-1956).

Fu poi l’atlantidologo e ingegnere austriaco Otto Heinrich Muck (1892-1956) a inserire la questione nel pensiero occultistico sui continenti perduti. Due anni prima di morire Muck scrisse Alles über Atlantis, uscito in tedesco a Vienna soltanto nel 1976 e poi tradotto in inglese, conquistandosi grande fama presso gli appassionati. Per lui Atlantide si trovava ai Caraibi e fu distrutta dall’impatto con un asteroide (in questo, Muck si inserisce nella lunga serie di cosmologie occultistiche catastrofiste il cui esempio massimo è rappresentato da Immanuel Velikovsky). Nel dettaglio: il grande botto sarebbe avvenuto alle 20 del 5 giugno 8498 a.C., e avrebbe determinato il diluvio universale; era lo studio del calendario Maya ad averglielo fatto capire. Da quel disastro, però, si sarebbero sviluppate le civiltà umane; le moderne anguille seguirebbero i loro percorsi nel ricordo dell’antico continente… 

Muck era un classico pessimista culturale della sua epoca, quella della Germania fra le due guerre. Travestì le sue idee sulla protostoria, le civiltà originarie e le catastrofi con la sua Atlantide dei Caraibi. Anche le anguille nostalgiche dell’Età dell’Oro potevano tornare comode.  

Antichi “ponti di terra”: il caso di Lemuria

Se i comportamenti di anguille, lemmings e procellarie sembravano incomprensibili, l’esistenza di antichi continenti poteva dar loro un senso; faceva quadrare i conti, rendeva ragionevole l’indecifrabile. Ora sappiamo che queste ipotesi sono false: è stata l’evoluzione a plasmare, nei millenni, le abitudini di questi animali. Il fatto che ci sembrino assurde o poco “economiche” importa poco: ai fini della sopravvivenza, evidentemente, hanno funzionato. 

Ma l’idea di trovare nei continenti scomparsi il “pezzo mancante del puzzle” per comprendere la vita sulla terra ha una lunghissima tradizione. Il caso più eclatante è quello di Lemuria, che avrebbe dovuto trovarsi da qualche parte in mezzo all’Oceano Indiano. 

Lo zoologo Philip H. Sclater, le cui idee sul continente-ponte di Lemuria dagli anni ’80 dell’Ottocento diventarono patrimonio del pensiero occultistico.

A partire dal 1864, in mancanza della teoria della deriva dei continenti (ma in dialogo con il rapido successo del darwinismo), lo zoologo Philip Sclater introdusse l’idea di un antico ponte di terra tra l’Africa e l’Asia meridionale. Il problema era appunto quello della somiglianza tra i lemuri del Madagascar e alcuni animaletti apparentemente simili che vivono nelle Filippine, Indonesia e Malesia (dermotteri). Oggi sappiamo, dalle analisi del DNA, che queste specie non sono imparentate, se non alla lontana; ma all’epoca venivano considerati tutti “egualmente lemuri”. 

E allora, come spiegare la loro discendenza da un antenato comune, se si trovavano a distanze così elevate, in popolazioni separate da migliaia di chilometri? Per spiegarlo, Sclater introdusse una delle ipotesi tipiche della biogeografia del tempo, l’esistenza di un continente-ponte. Lo chiamò Lemuria, appunto, e suppose che attraverso di lui fossero avvenuti i contatti fra le due parti del mondo e le conseguenti commistioni di specie. 

Fu un’ipotesi controversa sin dall’inizio, e comunque uscita dal dibattito scientifico nel giro di qualche decennio. Ma, come sovente è avvenuto nella storia dell’occultismo, una volta che un’idea scientifica diventa popolare gli esoteristi finiscono per appropriarsene (e continuano ad utilizzarla anche se si dimostra scorretta). Lo stesso avvenne con Lemuria. 

Nel 1870 il grande zoologo tedesco Ernst Haeckel ampliò oltremisura l’ipotesi di Sclater, supponendo che da questa terra avesse avuto origine lo stesso Homo Sapiens. Lentamente Lemuria assunse le vesti della terra pre-diluviana, quella dell’origine di tutto e, soprattutto, della unsere Rasse (“la nostra razza”). Sarà la fondatrice della Teosofia, Helena P. Blavatsky a dare a Lemuria un posto importante nella sua cosmologia occulta, nel secondo volume della sua Dottrina segreta (che uscì verso la fine del 1888, ma la cui stesura era in corso da anni). 

Mentre lentamente  la scienza abbandonava il modello delle terre-ponte per dibattere la deriva dei continenti pensata da Wegener (che pure mancava ancora di elementi fondamentali per spiegare la geodinamica), quelle idee sulle “terre mancanti” continuavano a prosperare e a fornire un carburante infinito all’occultismo contemporaneo, con le sue innumerevoli vicende di continenti, mondi, rifugi, basi segrete e altrove in cui, in qualche modo, si celava la Tradizione cui tutti anelavano.

L’uccellino di Atlantide

Concludiamo la nostra rassegna con un ultimo caso, quello di un uccellino che – per diverso tempo – ha portato un nome legato ad Atlantide. 

Per trovarlo dobbiamo spostarci nell’arcipelago di Tristan da Cunha, cioè nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, a circa 2800 chilometri da Città del Capo. È uno dei territori britannici d’oltremare (quelli a cui appartiene anche la più celebre Sant’Elena, per intenderci). Tra le isolette che lo compongono – tutte di origine vulcanica – c’è la cosiddetta Isola Inaccessibile, e il nome è già tutto un programma. È disabitata, ma ricchissima di fauna: parecchi uccelli endemici nidificano abitualmente sulle sue scogliere e sugli impervi rilievi. Tra questi, troviamo anche il rallo dell’Isola Inaccessibile, una specie endemica: 8400 esemplari che costituiscono la popolazione di uccelli non volatori più piccoli al mondo. 

Già, perché i ralli dell’Isola inaccessibile non volano: e dunque, come potevano essere arrivati lì? Il primo a chiederselo fu il medico britannico Percy Lowe, che sbarcò sull’isola nel 1923 e fu il primo a descrivere la specie. Quegli uccellini – congetturò Lowe – dovevano essere arrivati laggiù attraverso un antico ponte di terra che collegava le isolette della zona all’Africa o all’America, o forse grazie a un intero continente ormai scomparso, di cui l’arcipelago di Tristan da Cunha era una delle ultime vestigia. E dunque, Lowe lo battezzò Atlantisia rogersi: rogersi in onore del cappellano anglicano della spedizione che per primo ne raccolse alcuni esemplari, e Atlantisia in omaggio alla mitica Atlantide, ovviamente.

Oggi sappiamo che questa specie è imparentata con i ralli Lalleratus, che vivono nelle Americhe; il nome binomiale attuale è, dal 2018, Lalleratus rogersi, ma Atlantisia rogersi è rimasto come sinonimo accettato. Il team di ricercatori che li ha studiati di recente ne ha anche chiarito la storia filogenetica: gli antenati del rallo dell’Isola Inaccessibile arrivarono lì circa 1,5 milioni di anni fa dal Sudamerica. Loro, come altre specie del genere Lalleratus, erano in grado di volare; una capacità che in un’isola priva di predatori naturali era sostanzialmente inutile, e per questo fu spazzata via dall’evoluzione (Stervander, M., et  alii, The origin of the world’s smallest flightless bird, the Inaccessible Island Rail Atlantisia rogersi, in Molecular Phylogenetics and Evolution, vol. 130, gennaio 2019, pp. 92-98). 

Neanche questi uccellini, ahinoi, sono i testimoni remoti di un continente scomparso. Le loro peculiarità comportamentali, invece, come quelle di altre specie, sono servite da specchio e amplificatore delle nostre credenze: quelle sulle civiltà perdute, occulte, nascoste e, forse, sopravvissute chissà dove.

Immagine in evidenza di GRID-Arendal da Flickr, licenza CC BY-NC-SA 2.0.

3 pensieri riguardo “Atlantide è esistita? Chiedetelo ai lemmings

  • Altro articolo molto interessante, grazie.

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    • Il discernimento non dovrebbe essere diffcile: se veramente si buttano in mare con intenzioni suicide, dopo non nuotano affatto, si lasciano andare. Se avessero valutato male la distanza, nuoterebbero per un bel tratto, prima di stancarsi e morire. Ma si buttano in mare sul serio? E noi li abbiamo visti sul serio farlo?

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  • Studi oceanografici sui fondali atlantici già negano la possibile presenza di antichi continenti sommersi.
    Non mi sembra, quindi, il caso, nella foga di demistificare il mito di Atlantide, di negare a priori la teoria della memoria epigenetica transgenerazionale (studi in proposito sono stati pubblicati su “Nature Neuroscience” da ricercatori dell’Università di Atlanta e, recentissimamente, studi condotti sui pulcini da ricercatori dell’Università di Trento sosterrebbero tale teoria) .
    Può darsi benissimo che l’istinto che spinge le anguille a compiere i loro lunghissimi viaggi (gli individui nati nel mar dei Sargassi verso l’Europa e gli individui nati in Europa nella direzione opposta) sia conseguente ad una memoria epigenetica ereditaria. Quanto al comportamento dei lemming, si può benissimo ipotizzare (come suggerito dall’autore dell’articolo) che – avvezzi a superare a nuoto anche lunghi tratti – di fronte al mare non si rendano conto quanto la sponda più vicina sia troppo distante per loro; oppure che “ricordino” qualche piccola isola che esisteva secoli fa nelle vicinanze della costa.

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