19 Aprile 2024
I segreti dei Serial Killer

I segreti dei Serial Killer: Luigi Chiatti

La storia di Luigi Chiatti, nato con il nome di Antonio Rossi, a Narni, il 27 maggio 1968, è tristemente simile a quella dello sfortunato e crudele Giulio Collalto. Nasce da una ragazza di 24 anni, Marisa Rossi, che viene lasciata dal padre naturale del bambino durante la gravidanza e decide a malincuore di abbandonare il piccolo in un istituto, il “Beata Lucia”, andando a trovarlo ogni volta che può. Marisa fatica a giocare con lui, ad essere affettuosa. Smette di andare a trovarlo nel 1974.

Una valutazione psicologica fatta in istituto descrive il piccolo Antonio come un bambino che teme le donne, che tende alla dipendenza emotiva dagli amici coetanei, con cui si identifica, ma contro cui sfoga la sua aggressività. Probabilmente, in istituto subisce violenza sessuale da parte di un sacerdote.

Nel 1975 viene adottato da una famiglia benestante: i Chiatti sono un medico e un’insegnante. Lo portano a Foligno, da quel momento prende il nome di Luigi e inizia una nuova vita. [1]

Una possibilità di rinascita, che tuttavia non guarisce vecchie ferite: Luigi è un bambino strano, chiuso. Sente affetto per la madre adottiva, ma ha paura di perderla. Il padre viene visto come distante, silenzioso, gelido. Luigi ha spesso manifestazioni di aggressività improvvise.

Durante l’adolescenza, le cose non migliorano: picchia la nonna, bagna il letto, ha ossessionanti incubi sull’abbandono. Viene per questo seguito da una terapeuta, perché la sua chiusura, i suoi silenzi e la sua rabbia fanno paura ai signori Chiatti. Si spaventano particolarmente quando scoprono che Luigi nasconde in casa indumenti adatti ai bambini piccoli. La psicologa interpreta il fatto come un “risarcimento della sua infanzia negata”. [2]

Luigi studia da geometra, alle superiori è un ragazzo timido e schivo. I compagni lo descrivono come sempre attento, silenzioso, studioso e puntuale. Mai un comportamento inappropriato, mai particolarmente triste o rabbioso. Tenta il percorso universitario, senza successo. Quando inizia a lavorare, i suoi colleghi lo vedono come una persona diligente, senza grandi talenti, ma corretto e preciso. Nel 1989 inizia il periodo di leva, fa parte del Battaglione Granatieri, e anche qui è riservato, educato, affidabile. Luigi ha le prime esperienze sessuali con alcuni commilitoni, anche se non si sente mai pienamente soddisfatto da questi rapporti fugaci. [3]

A 25 anni Luigi è un giovane disoccupato, vive a Foligno coi genitori.

L’inizio dell’orrore

4 ottobre 1992, la piccola città di Foligno viene sconvolta da un fatto assolutamente inconsueto e terrificante: un bambino di soli quattro anni, Simone Allegretti, scompare mentre stava giocando sotto un noce accanto a casa, nella frazione di Maceratola. Le ricerche iniziano immediatamente, e gli inquirenti sperano che il piccolo si sia semplicemente perso. Ma il tempo passa, e Simone non si trova. Si considera l’ipotesi del rapimento, ma non si pensa che i rapitori vogliano denaro: i genitori di Simone non sono particolarmente abbienti, il papà è benzinaio, la madre casalinga. Si inizia a pensare a un sequestro a sfondo sessuale. Il 6 ottobre giunge una telefonata muta al 113. La chiamata viene da una cabina telefonica della zona e viene rintracciata: si trova vicino alla stazione di Foligno. Sul luogo non c’è nessuno, ma viene trovata una lettera, una lettera sconvolgente, scritta a mano con l’aiuto del normografo:

AIUTO!
Aiutatemi per favore. Il quattro ottobre ho commesso un omicidio. Sono pentito ora, anche se non mi fermerò qui. Il corpo di Simone si trova vicino la strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli. È nudo, e non ha l’orologio con cinturino nero e quadrante bianco.

P.S. non cercate le impronte sul foglio, non sono stupido fino a questo punto. Ho usato i guanti.

Saluti al prossimo omicidio.
IL MOSTRO

Non è stata scritta da un mitomane, quella lettera atroce. Simone si trova tra i rifiuti di una discarica abusiva nella zona descritta dalla lettera. È pieno di sangue, ha lo sguardo fisso verso l’alto, le braccia spalancate. I vestiti sono sparsi poco lontano dal corpo. Il collo è particolarmente martoriato: ha segni di strangolamento e di ferite di arma da taglio, un coltello piccolo.

La lettera è davvero dell’assassino. Ed è una lettera molto particolare: alterna frasi arroganti, di sfida, con richieste di aiuto. Sembra piuttosto lucido, gli esperti pensano che si tratti di una persona giovane, meno di trent’anni, e solitaria.

Viene attivato un numero antimostro, ma le segnalazioni sono tutte senza fondamento. Tutte tranne una: una chiamata da Milano, di un ragazzo di nome Stefano, che fornisce dettagli credibili. Le telefonate diventano numerose, si apre con gli inquirenti. Accetta di costituirsi, si fa arrestare e confessa il delitto.

L’impostore

Si tratta di un ragazzo di 22 anni, Stefano Spilotros. I dettagli che racconta sono precisi, riscontrabili. Uno in particolare fa pensare di aver preso la persona giusta: Spilotros parla di un piccolo segno circolare dietro l’orecchio sinistro di Simone, che sarebbe dovuto a una sigaretta spenta dall’assassino, per verificare che il piccolo fosse morto. L’autopsia aveva evidenziato alcune lesioni dietro alle orecchie, anche se non sembra che vi sia stata una bruciatura. Tuttavia questo dettaglio sembra convincente. Ma allora perché tanti altri dettagli non li ricorda, li sbaglia, addirittura ha incertezze sul giorno del delitto? Gli inquirenti scoprono che Spilotros ha la fama di mitomane, di bugiardo patologico, a detta dei suoi conoscenti milanesi. Alla fine il castello di carte crolla, ed emerge la verità: Stefano si è inventato tutto, voleva solo attenzione, fama. Racconta di essere stato lasciato dalla sua ragazza, Marzia, e che inventarsi di essere il Mostro sarebbe stato un estremo tentativo per attirare la sua attenzione.

I particolari che “solo l’assassino avrebbe potuto sapere” sono in realtà frutto di una scrupolosa lettura di ogni giornale o rivista che trattasse l’argomento e una di queste racconta delle famose lesioni dietro l’orecchio. [4]

La famiglia Allegretti deve affrontare anche questo dolore: sapere che l’assassino del loro bambino è ancora in libertà. Consentono che la piccola salma del figlio venga riesumata per nuovi accertamenti, che confermano l’inconsistenza delle parole di Spilotros.

L’orrore senza fine

Foligno non può tornare alla normalità. Specialmente quando viene trovata in una cabina vicino all’aeroporto una seconda, terrificante lettera:

AIUTO!
Non riesco a fermarmi!
L’omicidio di Simone è stato un omicidio perfetto. […]
analizziamo i fatti:

  1. Io sono ancora libero;
  2. Avete in mano un ragazzo che non ha nulla a che fare con l’omicidio;
  3. Non avete la mia voce registrata perché non ho effettuato nessuna telefonata.

Quindi chi dice che ho telefonato al numero verde sbaglia;

  1. le telecamere non mi hanno inquadrato durante il funerale di Simone perché non ci sono andato.

Siete quindi fuori strada.
Vi consiglio di sbrigarvi evitando altre figuracce.
Non poltrite.
Muovetevi. […]

Usate il cervello se ne avete uno ancora buono e non atrofizzato dal mancato uso.
NB Perché vi ho scritto di sbrigarvi?
Perché ho deciso di colpire di nuovo la prossima settimana. Volete saperne di più?
Vi ho già detto troppo, ora tocca a voi evitare che succeda.
IL MOSTRO

Il tono della missiva, ancora più della prima, sconcerta gli inquirenti: aggressivo, a tratti ironico e strafottente, preciso, ma sempre con esplicite richieste di aiuto.

Il vicequestore Alberto Speroni ha un’idea: nascondere una telecamera che inquadrasse la tomba del piccolo Simone, poiché c’è la possibilità che il mostro decida di andare a vederla. La proposta non viene ascoltata, e ciò si rivela un errore gravissimo: l’otto aprile del 1993 la signora Allegretti trova la lapide del figlio violata: la foto incorniciata sopra la pietra tombale è stata trafugata, la cornice distrutta. Il mostro avrebbe potuto essere identificato e fermato. Ma per risparmiare pochi milioni di lire, non è stato possibile. [5]

7 agosto 1993: a Casale, frazione di Foligno, sparisce un altro bambino. Lorenzo Paolucci, tredici anni. I nonni, che lo aspettavano a pranzo, si allarmano subito e iniziano frenetiche le ricerche. Il nonno si unisce alle autorità e ai cittadini che cercano il piccolo, si ferma da Chiatti per chiedergli se lo avesse visto: Luigi nega, ma si offre di fare un giro in auto per cercarlo.

È proprio il nonno a trovare i resti di Lorenzo, poco lontano da casa Chiatti, in una scarpata, con ferite devastanti, soprattutto nella zona del collo. Viene trovato anche un orologio, sporco di sangue, che appartiene a Lorenzo. Si trova vicino a casa di Luigi, in cui l’uomo è solo, da diversi giorni. La villetta viene perquisita, e ciò che si trova lascia sconvolti gli inquirenti: è piena di sangue, in molte stanze. Si perquisiscono i dintorni e alcuni sacchi di spazzatura appena gettati dal Chiatti: viene trovato un forchettone a due rebbi, che risulterà in seguito compatibile con le ferite inferte a Lorenzo. Vengono trovati oggetti personali della vittima in casa. Poco lontano dalla abitazione si trovano scatole piene di indumenti per bambini molto piccoli, fino a tre anni, e oggetti per l’igiene e abiti per un uomo adulto, oltre a 12 floppy disk con piani su come rapire bambini. [6]

Foligno ha catturato il suo Mostro, dopo due morti devastanti e ingiuste.

Le confessioni

Luigi Chiatti appare in tribunale estremamente composto, educato come è sempre stato. I grandi occhi azzurri gli conferiscono un’aria innocua. E ciò che dice, con una calma impressionante, stride molto con quell’aria da cherubino. Racconta del suo piano per rapire dei bambini, vivere con loro e crescerli:

Già prima dell’omicidio di Simone avevo maturato l’idea di scappare di casa e rapire due bambini in tenerissima età, un anno o poco più, per tenerli con me per la durata di sette anni.

Luigi parla dei delitti con estrema tranquillità. Racconta di aver tentato di violentare il piccolo Simone, che aveva accettato spontaneamente di salire in macchina con lui. Ma quando il bimbo inizia a piangere, Luigi lo strangola e infierisce poi su di lui con una lama.

io volevo bloccare il pianto… l’eccitazione non c’era più, cioè lui mi piaceva […] in quel momento era tutto puntato sul pianto […] l’ho fatto per togliergli il dolore.

Con Lorenzo è diverso: lo ha invitato a casa per giocare a briscola. All’improvviso, Luigi sente invidia per quel bambino che vede come “più felice, più fortunato” di quanto non fosse stato lui da piccolo. Allo stesso tempo, è attratto da Lorenzo, che lo rifiuta con forza.

Ha sentimenti contrastanti per lui:

me lo volevo fare amico […] e non ci sono riuscito. Mi attraeva, mi piaceva […] c’era anche invidia nei suoi confronti.

In primo grado, Luigi è considerato pienamente capace di intendere e di volere. È un seriale parzialmente organizzato, i delitti sono premeditati. Verdetto: due ergastoli.

Ma le perizie su Chiatti in appello acquisiscono un peso maggiore, il professor Andreoli parla ad esempio di disturbo narcisistico di personalità, di “pedofilia e sadismo sotto l’aspetto affettivo-sessuale”. Luigi si eccita durante i delitti, raccoglie feticci, “totem” per ricordare i “suoi” bambini. Ha un approccio seduttivo con le sue vittime, sembra davvero convinto di riuscire a farsi amare da loro.

La pena viene ridotta in appello a trent’anni, viene scarcerato nel 2015 ma viene subito dopo internato in una Rems (Residenza esecuzione misure di sicurezza, ex OPG) per un minimo di tre anni; il periodo di internamento è stato prorogato più volte, l’ultima delle quali nel 2020, poiché valutato socialmente pericoloso.

Chiatti è un personaggio sconcertante ed enigmatico. Si fatica a immaginarlo intento negli atti di estrema ferocia che racconta. In tribunale parla dei suoi delitti e delle sue fantasie di fuga come fosse qualcosa di perfettamente naturale. Sembra a volte inconsapevole della gravità dei suoi gesti. Al momento dell’ingresso in prigione ammette che per lui, probabilmente, la vita da recluso è la soluzione migliore. Alla domanda “uccideresti di nuovo se venissi liberato?” lui risponde “dipende”, intendendo dire che se ne avesse l’opportunità e speranza di farla franca lo rifarebbe.

Negli anni, in carcere, ha tuttavia maturato un’ottima facciata di redenzione e abilità manipolative, di cui parla il professor Ruben De Luca, che lo ha incontrato nel 2007: con il professore, Chiatti rifiuta la definizione di pedofilo, negando desideri per i bambini che in passato ha ammesso candidamente. In prigione ha iniziato a interessarsi al cattolicesimo e ha espresso al dottor De Luca il desiderio, un giorno, di uscire di prigione, sposarsi con una ragazza e adottare un bambino. Il giudizio di De Luca è piuttosto tranchant: riferisce che quando Chiatti ha compreso che non sarebbe riuscito ad ottenere un giudizio favorevole da parte del professore, si è rifiutato di incontrarlo ancora.

Queste le parole di De Luca:

Luigi Chiatti non sembra certo pentito delle sue azioni. […] Il lavoro di riscrittura della Bibbia sembrava la manifestazione evidente di una personalità afflitta da narcisismo e megalomania, e anche da un pericoloso distacco dalla realtà. [7]

Per quanto non ci siano molte ombre sui delitti del “Mostro di Foligno”, la personalità di Chiatti continua, ancora oggi, a confondere, sconcertare e turbare.

Note

[1] A. Fiorucci, Il cacciatore di bambini, Morlacchi editore, Perugia, 2013, pp. 79-81.
[2] P. De Pasquali, Serial killer in Italia, Franco Angeli, Milano 2015, 188-190.
[3] A. Fiorucci, Il cacciatore di bambini, Morlacchi editore, Perugia, 2013, pp. 89-91.
[4] Ibidem.
[5] A. Accorsi, M. Centini, I serial killer, Newton Compton, Roma, 2008, pp. 279-285.
[6] A. Fiorucci, Il cacciatore di bambini, Morlacchi editore, Perugia, 2013, pp. 46-48.
[7] R. De Luca, Serial killer, Newton Compton, Roma, 2021, pp. 118-120.

Marianna Cuccuru

Laureata in scienze dell' Educazione, studia da molti anni il fenomeno dei serial killer. Ha tenuto lezioni sul tema presso l'università dell'Insubria e per l'associazione Fidapa di Varese.

7 pensieri riguardo “I segreti dei Serial Killer: Luigi Chiatti

  • Caro Rodolfo, mi aspettavo dalla Marianna l’ articolo su Chiatti. A differenza di lei sei più asciutto e più attento ai fatti, direi più distaccato. L’ unica cosa che mi preme sottolineare è la “similitudine” che ha consentito al Chiatti e al Collalto (trattato da Marianna) di uccidere prima di esser individuati e presi. Nessuno dei due era un genio del delitto. Hanno trovato poliziotti assolutamente impreparati e Psico-Profilers inadeguati. Bravo solo De Luca: uno come Chiatti è pericolosissimo, peggio di Izzo e dei suoi compagni di Merende del Circeo. Non bisogna farlo uscire di carcere nemmeno a 70 anni, altrimenti ucciderà ancora.

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    • Chiedo umilmente venia! E’ un mio errore nel caricamento dell’articolo, che in realtà è redatto da Marianna Cuccuru. Grazie mille Aldo, ora è stato corretto.
      Il cambio nello stile è forse nella peculiarità del personaggio? (può rispondere solo Marianna!)
      Non mi sbilancio a commenti personali, ma, in effetti, le descrizioni su di lui (non solo quella di Marianna) sono di una persona che sembra non poter contenere in alcun modo il bisogno di uccidere (pur spettando poi alla magistratura e alle perizie stabilirlo).

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    • Caro Aldo,
      come ti ha detto già Rodolfo l’autrice sono sempre io, non credo di aver cambiato stile sinceramente, forse ti risulta più asciutto perché non ho messo l’introduzione, dato che questo articolo è inteso come la seconda parte sui serial pedofili dopo quello di Giulio Collalto, dove si parla delle parafilie e della pedofilia nell’ambito del delitto seriale. Ti assicuro che attenta ai fatti, quasi a livello maniacale in questo ambito, lo sono sempre stata. Sono d’accordo con te, Chiatti è pericoloso, e su sua stessa ammissione è bene per tutti che abbia sempre qualche forma di limitazione della libertà.
      Se vuoi un dettaglio poco distaccato: mi ha commosso l’atteggiamento dignitoso e fiero del padre di Lorenzo Paolucci al processo: ha detto di aver provato, nel vedere Chiatti, pena e compassione, mentre pensava di essere pervaso solo dall’odio.
      Un saluto, Marianna.

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  • Grazie. Direi che, come al solito, la convinzione di trovarmi di fronte ad un articolo di Rolando, che non è certo la prima volta che leggo, mi ha fatto trovare delle differenze che, magari, non esistono. Potenza della suggestione! O è effetto placebo? Studieremo, studieremo…

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  • Sicuramente interessante ma davvero non capisco cosa c’entra con il CICAP

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    • Buongiorno Piergiorgio,
      come vede su Query si fa divulgazione su una grande varietà di argomenti e per fortuna non ci sono confini così stretti. Inoltre, l’argomento serial killer e omicidi in generale è spesso banalizzato, semplificato: la stampa poco attenta fornisce spiegazioni riduzioniste riguardo delitti molto complessi (pensi a frasi come “ha ucciso i genitori perchè gli hanno tolto il cellulare”). Anche temi come il “delinquente nato” possono rientrare a pieno titolo nelle pseudoscienze.
      Sono felice comunque che lei trovi interessante il mio lavoro.
      Un saluto,
      Marianna

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    • Buon Giorno, Piergiorgio. Sei parente del grande Giornalista Giovanni? Per rispondere alla Tua domanda, invece, beh, se leggi i miei commenti vedrai che i Serial Killer si studiano scientificamente (ovvero con il Metodo Scientifico) ma alimentano una corposa corrente di Paranormalista. Giusto è, quindi, che il CICAP faccia una delle sue battaglie sull’ argomento.

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