16 Aprile 2024
Approfondimenti

Il Galileo Project: astrofisici a caccia di Ufo 

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Oh! Finalmente un sogno si avvera: parte un programma scientifico di registrazione strumentale di una possibile presenza aliena nell’atmosfera terrestre o nei suoi pressi, e tutto questo sotto gli auspici dell’Università di Harvard!

Dopo aver strabuzzato gli occhi per la novità, cerchiamo di approfondire le notizie degli ultimi giorni. In questa vicenda ci sono cose interessanti, ma anche altre che mettono sul chi va là gli scettici, e forse persino chiunque pensa che i metodi della scienza siano quelli più utili in questo tipo di ricerca.

Il 26 luglio, con una conferenza stampa, il fisico teorico e astrofisico americano di origine israeliana Avi Loeb ha annunciato in maniera ufficiale la partenza del Galileo Project, di cui peraltro si sapeva già qualcosa da diverso tempo. 

Cominciamo col dire che a 59 anni Loeb è uno scienziato con un curriculum notevolissimo, non un personaggio di frangia o che salta fuori dal calderone delle pseudoscienze. Docente all’Università di Harvard, è stato per quasi un decennio decano del Dipartimento di astronomia di quell’ateneo. Oggi ad Harvard dirige l’Institute for Theory and Computation. Ha all’attivo una lunghissima serie di pubblicazioni scientifiche (ad esempio, sulla ricerca degli esopianeti attraverso il metodo delle microlenti gravitazionali), di premi e di incarichi.

Il Galileo Project ha uno scopo inequivoco

 portare la ricerca dei segni (signatures) di Civiltà tecnologiche extraterrestri (ETC) dal pianodelle osservazioni aneddotiche e casuali e delle leggende al mainstream della ricerca scientifica sistematica trasparente e validata. Questo progetto di osservazione da terra è complementare al SETI tradizionale, nel senso che cerca oggetti fisici e non segnali elettromagnetici, che siano associati ad apparati tecnologici extraterrestri.

Anche se il Galileo Project potrebbe non scoprire evidenze  ulteriori e nemmeno evidenze straordinarie delle ETC, come minimo raccoglierà ricche serie di dati che potrebbero annunciare la scoperta di nuovi oggetti interstellari con proprietà anomale o potenziali nuovi fenomeni atmosferici naturali, o in certi casi produrre spiegazioni tecnologiche di origine terrestre per gli UAP attualmente non spiegabili. 

In questi due capoversi si dicono davvero tante cose. Per capire meglio, proviamo a smontarne il contenuto.

Il primo annuncio è che si cercherà di passare dall’aneddotica testimoniale degli avvistamenti a una “ricerca sistematica validata e trasparente”. L’assunto – che Loeb e il team in via di formazione sembrano dare per assodato – è che la casistica Ufo “interessante” sia sufficiente a fo

Il prof. Avi Loeb (By Aloeb – Own work, CC BY-SA 4.0).

rnire la base del razionale per una ricerca come quella in partenza. 

Che si voglia cercare proprio l’evidenza della presenza di Ufo alieni vicini o vicinissimi alla Terra è confermato dalla distinzione fatta con la storica iniziativa SETI: ben venga la raccolta di segnali elettromagnetici – è detto – ma il Galileo Project si concentrerà sulla ricerca di “oggetti”, nel senso più stretto del termine.

Il Galileo Project non è una novità assoluta, in ufologia

Cominciamo a dissipare un possibile equivoco. La ricerca delle “prove degli Ufo” con mezzi strumentali, quella che pretende di lasciarsi alle spalle gli avvistamenti casuali con tutta la loro ambiguità testimoniale, è una linea che esiste dagli inizi dell’era ufologica, cioè dagli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale.

La lista dei tentativi più o meno ingenui e finiti in un nulla di fatto sarebbe lunga. Facciamo soltanto tre esempi.

Il Project Twinkle fu un’iniziativa promossa dall’Aeronautica militare USA al culmine di una serie di avvistamenti di “bolidi verdi” che fra il 1948 e il 1951 sembravano particolarmente interessati ad alcune aree militari del Nuovo Messico e del Texas. Vide l’utilizzo di macchine fotografiche speciali, di cinefototeodoliti e di altre attrezzature ottiche impegnate in un programma di sorveglianza del cielo. Anche in questo caso la spinta fondamentale venne da un astronomo che si era convinto non trattarsi di “normali” meteore più o meno vistose: forse “ordigni spia sovietici”, forse altro… Si chiamava Lincoln La Paz (1897-1985): alla fine, nel 1951, si scontrò con le conclusioni largamente negative (anche se qualche margine di dubbio era conservato) tratte dai militari e da altri ricercatori che avevano esaminato l’evidenza raccolta. Con la fine del Project Twinkle, i presunti “bolidi verdi” passarono alla storia dell’ufologia. Questa vicenda è ricostruita in una monografia che uno di noi (GS) realizzò nel 1998 per il Centro Italiano Studi Ufologici. 

Il Project Magnet fu un’idea assai più spinta, di carattere pseudoscientifico, ma che operò per quasi quattro anni nell’ambito del Dipartimento dei trasporti canadese. Ne fu anima un ingegnere delle radiocomunicazioni, Wilbert Smith, che nel dicembre 1950 convinse i suoi superiori che i dischi volanti potevano essere velivoli che usavano il campo magnetico terrestre come mezzo di propulsione (sic). Per questo, riuscì a installare nell’Ontario una stazione di rilevazione di segnali elettromagnetici che secondo lui potevano venire da “dischi” in transito sulla zona. Inutile dire che le conclusioni del Dipartimento dei trasporti furono oltremodo negative. Nel dicembre 1954 il Project Magnet fu chiuso. Per la cronaca: Smith era in contatto telepatico con gli extraterrestri. Morì nel 1962.

Il Fenomeno di Hessdalen. La vicenda dei presunti fenomeni luminosi che si sarebbero manifestati a ripetizione in una valle isolata della Norvegia centrale, quella di Hessdalen, a partire dal 1981 richiederebbe, per l’interesse della storia, ben altra trattazione. Qui basti dire che per tutti gli anni ‘80 e ‘90 costituì una delle principali speranze da parte degli ufologi di trovare conferme strumentali solide per la presenza di un fenomeno naturale atmosferico che in qualche modo legittimasse la loro pluridecennale passione. Per la loro presunta alta localizzazione e ripetitività, le “luci di Hessdalen” furono a lungo oggetto di tentativi di analisi sistematiche con strumenti operanti nel campo dello spettro ottico e non. Nel 1998 a Hessdalen fu installata una stazione di rilevamento automatico che risulta tuttora attiva. Nel complesso, dopo ormai quarant’anni, è possibile dire che anche in questa occasione gli appassionati non sono riuscita a trovare un’evidenza certa di un fenomeno sconosciuto. Oggi l’interesse della comunità scientifica intorno alla vicenda, un tempo particolarmente vivo proprio in Italia, è prossimo a zero.

Le linee di fondo del Project Galileo: qualcosa di promettente?

Ci sarebbe dunque da essere pessimisti. Perché nel caso del Project Galileo le cose dovrebbero andare meglio?

Certo, la caratura di Loeb è notevole. Ma non è solo questo. Almeno sulla carta, il programma presenta alcune caratteristiche apprezzabili, che – almeno in teoria – sembrerebbero voler rompere i legami con la pseudoscienza ufologica.

Prima di tutto, Loeb ha annunciato che la cosa più importante per la sua squadra dovrebbe essere la creazione di una base open data, in cui è possibile valutare non solo i dati in quanto tali, ma il modo in cui sono stati costruiti. Una buona pratica scientifica: potrebbe far emergere più rapidamente limiti e carenze nella raccolta. 

Allo stesso modo, il Project Galileo pare non essere interessato a una delle vere ossessioni del mondo ufologico: il “rilascio dei dati ufficiali” e le attività di valutazione condotte dai militari. Ecco cosa ha dichiarato il 27 luglio Loeb a USA Today

I militari e i politici che parlano di questi Fenomeni aerei non identificati (UAP) non sono stati addestrati da scienziati, ed è un po’ come se si volesse chiedere a un idraulico di cucinarci una torta. Non dobbiamo pensare di chiedergli che cosa sono gli oggetti che si vedono in cielo. Quello è il lavoro degli scienziati. 

Infine, la ricerca sembra voler escludere episodi indagati in passato da altri, con standard più o meno diversi fra loro, e comunque distanti nel tempo. Loeb e i suoi sembrano essere ben coscienti che una delle malattie mortali del guazzabuglio ufologico è la sua estrema disomogeneità casistica e, anche a prenderne il meglio, la sua quasi totale inutilità dal punto di vista dell’indagine scientifica. Il gruppo sembra avere molte riserve circa la possibilità che i militari siano in grado di ottenere dati utili sugli Ufo. 

Insieme a Loeb, co-fondatore del Galileo Project è un imprenditore (e miliardario) del Massachusetts, Frank Laukien, CEO della Bruker Corporation, che costruisce apparecchiature importanti per la ricerca scientifica. Laukien, di origine olandese, è lui stesso un fisico e ha insegnato all’Istituto per la spettrometria di massa dell’Università di Amsterdam. Il 27 luglio Laukien ha dichiarato al Guardian:

Vogliamo dissipare la nebbia grazie un’analisi scientifica trasparente, assemblando noi stessi i nostri dati, senza basarci su dati provenienti da sensori di enti governativi, perché la maggior parte di quei dati è classificata. 

Nessun problema, dunque?

C’è una cosa che è impossibile trascurare. Da sola non basta certo a esser prevenuti circa gli eventuali risultati che il Galileo Project produrrà. La cosa migliore dell’atteggiamento scientifico è la disponibilità a cambiare idea sulla base di un’evidenza. In questo, il nome “Progetto Galileo” è calzante.

Tuttavia, il professor Loeb sembra aver sviluppato l’idea del Galileo Project sulla base di una questione in cui, a partire dal 2017, è stato particolarmente coinvolto: le polemiche e il dibattito sulla “vera natura” di Oumuamua.

Riepiloghiamo la vicenda: nell’ottobre 2017 Robert J. Weryk, un astronomo che lavora nel team del progetto Pan-STARSS (una serie di telescopi e fotocamere installate alle Hawaii) annuncia la scoperta di un corpo celeste. A stupire è la sua traiettoria, che a differenza di quanto avviene di solito è iperbolica: in pratica, percorre un’iperbole intorno al sistema solare, una cosa tipica delle comete aperiodiche. È il primo asteroide mai osservato di questo tipo, tanto che per Oumuamua gli astronomi creano una categoria a sé stante di oggetto celeste. Non è la sua unica stranezza: nel passaggio al perielio, l’oggetto ha subito un’accelerazione non spiegabile con la sola forza gravitazionale. Ad ogni modo, è un asteroide interstellare, cosa che già da sola lo rende di estremo interesse.

Fin dall’inizio Loeb, che da tempo è interessato alla ricerca della vita nello spazio e in particolare alla sua presenza nelle fasi iniziali dell’universo (è un forte sostenitore della panspermia, cioè dell’idea che la vita sia approdata sulla Terra dallo spazio, ed ha ipotizzato diverse classi di possibili oggetti artificiali che potrebbero essere identificati con telescopi), si fa un’opinione diversa da quelle della gran parte dei suoi colleghi. Sospetta che Oumuamua non abbia origine naturale, ma che sia un manufatto tecnologico extraterrestre. Pensa possa trattarsi di una vela solare, ossia di un’astronave spinta dal vento solare (un tipo di propulsione che anche gli ingegneri aerospaziali, e lo stesso Loeb, teorizzano ormai da tempo.) 

Insieme a un collega, nel 2018 pubblica un lavoro su Oumuamua su Astrophysics che riceve parecchie critiche. Le anomalie dell’oggetto sono state spiegate in termini più convenzionali da parecchi suoi colleghi; nonostante ciò, Loeb è rimasto fermo nella sua ipotesi anche in tempi recenti. Dunque, è lecito supporre che Loeb sia arrivato al Galileo Project con un forte background di speranze e con precisi orientamenti. Una delle tre linee di ricerca ipotizzate è proprio l’esplorazione dello spazio (tramite telescopi, e forse anche una missione spaziale, se si troveranno partner interessati) di oggetti del “tipo Oumuamua”. Va tenuto presente. 

Sul sito del Progetto, poi, ci sono già due elenchi di altri ricercatori coinvolti (a parte quello dei componenti il Comitato scientifico). Il primo è quello del vero e proprio Reseach Team, il secondo quello degli Affiliates. Il team di ricerca conta al momento su quattordici persone oltre a Loeb. Molti sono astrofisici di vario rilievo, ma ci sono anche antropologi e informatici (e gli obiettivi della ricerca indicano la volontà di sviluppare una discriminazione fra cause di equivoci e veri ETC/Ufo con l’uso dell’AI, del deep learning e degli approcci algoritmici).

Il secondo nucleo, assai più numeroso, vede anche un astrofisico italiano: Massimo Teodorani. 

Teodorani è stato già coinvolto nella vicenda dei fenomeni di Hessdalen e in tentativi di costruire una rete di stazioni automatiche per la registrazione di presunti fenomeni aerei anomali. Una polemica lo contrappose a Matteo Leone, un fisico membro del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU). Teodorani sosteneva che un fenomeno luminoso ripreso a Hessdalen era un’evidenza della natura anomala di quanto accadeva lì. Leone rispose sostenendo che quella luce poteva benissimo avere carattere del tutto convenzionale (fari di automobile); Teodorani controreplicò in modo ampio così. Un’intervista a Leone a riguardo comparve anche sul n. 60 di Scienza & Paranormale, la rivista del CICAP prima che si trasformasse in Query. Comunque sia, per il futuro sarà interessante capire quanto l’eventuale coinvolgimento di un connazionale contribuirà ad accrescere l’attenzione dell’opinione pubblica del nostro Paese per il nascente progetto di Loeb.

Ancora fra gli Affiliates figura un ufologo in senso stretto: Robert Powell, un chimico industriale già membro dell’associazione americana MUFON (assolutamente convinta degli alieni), ma fuoriuscito da essa per creare la SCU (Scientific Coalition for UAP): l’ennesimo, nuovo, gruppo ufologico, come tanti altri del passato, di annunciato orientamento “scientifico”.

Sul piano pratico, infine e non ultimo, il progetto necessita di strumentazioni importanti. I telescopi proposti, da installare in ogni singola stazione della rete osservativa, sono del modello Planewave PW1000. Ognuno di questi, da solo, costa mezzo milione di dollari. Il Progetto sembra avere al momento a sua disposizione meno di due milioni di dollari, anche se Loeb si dice fiducioso di poter decuplicare ben presto la cifra disponibile. In effetti, nel Comitato di consulenza filantropico del progetto spicca la presenza della Laukien Science Foundation. Pare probabile che l’ente del miliardario svolgerà un ruolo rilevante dal punto di vista finanziario. Lo stesso sembra potersi dire per un’importantissima impresa attiva nel campo delle biotecnologie, la Promega Corporation.

È anche previsto un ampio uso di radar doppler e ad apertura sintetica ad alta risoluzione. Per cose di questo tipo, o c’è il denaro, oppure si naviga nel mondo dei sogni. 

Dopo una lettera di Loeb pubblicata sullo Scientific American il 26 luglio, in si cui annunciava alla comunità scientifica l’inizio del progetto, la stessa testata ha controbilanciato la comunicazione con un articolo nel quale pubblicava i commenti, fra il prudente e l’imbarazzato, emessi al riguardo da alcuni astrofisici americani. Fra questi Jonathan McDowell, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics:

È davvero difficile capire come si potrebbe stabilire una strategia di ricerca che possa avere qualche capacità di successo. Sospetto che ci siano progetti SETI ben argomentati, oppure anche progetti di ricerca sugli UFO, che potrebbero essere finanziati con meno soldi. 

Vedremo nei prossimi anni quali risultati – ammesso si realizzi – porterà il progetto, se sarà all’altezza delle aspettative e se riuscirà davvero, dopo 75 anni, a costruire evidenze scientifiche della presenza di velivoli o altri manufatti artificiali non terrestri. Nel frattempo, gli ufologi stanno a guardare. 

Si ringraziano Gianni Comoretto e Roberto Labanti per i contributi all’articolo. Immagine in evidenza: Un telescopio ausiliario dell’Osservatorio cileno del Cerro Paranal (Cile). Credit: Iztok Boncina/ESO, https://www.eso.org/public/images/ib-paranal10/.

7 pensieri riguardo “Il Galileo Project: astrofisici a caccia di Ufo 

  • Personalmente sono rimasto a dir poco perplesso dall’atteggiamento di Loeb, che ha continuato a proporre l’ipotesi aliena per Oumuamua anche dopo l’uscita di studi che formulavano ipotesi molto più convincenti. Devo dire che ho pensato anche male dopo aver saputo che ha scritto un libro sull’argomento. Spero che lui e gli altri collaboratori mettano da parte i propri bias, se il progetto dovesse davvero realizzarsi.

    Rispondi
  • Solite perdite di tempo, e di denaro. Come i tentativi di studi policentrici randomizzati perché la piantiate di scrivere che l’Omepatia, come la Sindone, non esistono

    Rispondi
  • Perché definite, con piglio denigratorio, lo SCU (Scientific Coalition for UAP): “l’ennesimo, nuovo, gruppo ufologico, come tanti altri del passato, di annunciato orientamento “scientifico”” ? Nato nel 2017, fa tutt’altro che inondare la rete con testi discutibili. Tant’è che ha prodotto solo una manciata di documenti, alquanto meditati. Ad esempio, le 270 pagine dello studio dedicato ai fatti della Nimitz, che mi sembrano, per quel che posso capirne, degne di interesse e solidamente argomentate, dal punto di vista scientifico, intendo.. Nella certezza che il Cicap ne sia a piena conoscenza, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa.

    Rispondi
    • Altissimo sarebbe Attivissimo? No, perché, se il CICAP avesse veramente l’ Altissimo tra i suoi, allora getterei la spugna anche io .

      Rispondi
      • Ahimè, che lapsus. Spero non freudiano, perché a livello conscio trovo il personaggio alquanto repellente, mentre Polidoro mi dà solo un gran fastidio.

        Rispondi
  • Mettere alla pari l’ipotesi inconsistente di Leone con gli studi e le pubblicazioni di Teodorani sui fenomeni di Hessdalen, senza evidenziarne le differenze sostanziali in termini di credibiltà e valore scientifico, dimostra (questo si) dei bias di partenza pressochè invalidanti, di chi ha scritto e pubblicato questo articolo.
    Quand’è che inizierete a fare informazione anzichè propaganda?

    Rispondi
    • Ma cosa vuoi, questi hanno come frontmen Polidoro e Altissimo, che pur essendo privi di qualsiasi preparazione scientifica e quindi incapaci di distinguere un logaritmo da una banana, pretendono di insegnare ai piloti militari Usa come interpretare i dati delle loro strumentazioni. Ecco allora che i tic-tac diventano errori dei radar, uccelli, apparecchi civili, lanterne cinesi ecc. Asserire che le luci di Hessdalen .sono fari di automobili è quindi il minimo che ci si può aspettare da costoro.

      Rispondi

Rispondi a Werner Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *