17 Aprile 2024
Dal mondo

Un UFO sul Tamigi nel 1860?

Negli ultimi giorni, una curiosa fotografia ha fatto il giro di diversi account social dedicati all’ufologia. Rappresentava, secondo alcune delle didascalie,

qualcosa di strano rimorchiato sul Tamigi a Londra. Circa 1860. 

L’immagine, in effetti, è molto intrigante: un pallozzo di grandi dimensioni dotato di oblò, trainato su una chiatta. Ma non risale al 1860, né si tratta di un disco volante. La storia che dietro a quella fotografia è abbastanza curiosa, e ci porta dritti dritti alla fine degli anni Cinquanta.

Come si “indaga” su una fotografia?

In questi casi, una tecnica indispensabile è rappresentata dalla Ricerca per immagini. Questo strumento ci permette di cercare sul web fotografie simili a quella che stiamo analizzando (utilissima quando la nostra immagine è un crop, cioè un ritaglio, di una più grande), ma anche pagine web che la contengono e qualche tentativo “automatico” di identificazione del soggetto. Ci sono diversi portali che forniscono questo servizio: Google Images, Tin Eye, Bing Immagini, oltre a diverse app per cellulari. Gli algoritmi sono diversi, quindi può valer la pena di fare più di un tentativo se non si trova subito quello che si sta cercando. 

Nel caso del nostro pallozzo, la ricerca fornisce subito una fotografia molto più nitida della scena, risalente al 1958. Forse la sfocatura è stata aggiunta per far apparire il documento più antico di quanto non sia, forse è semplicemente frutto di diverse ricondivisioni (alcune app di messaggistica degradano automaticamente la qualità delle immagini, per renderle più “leggere”). 

Ad ogni modo, tutto punta verso un curioso progetto di case trasportabili ideato dall’ingegnere tedesco Johann Wilhelm Ludowici (1896-1983).

Le Fornaci Ludowici  

Siamo nel 1958, in piena Guerra Fredda. Appena l’anno prima, nell’ottobre 1957, l’Unione Sovietica aveva lanciato in orbita lo Sputnik-1, il primo satellite artificiale: un evento che ebbe un impatto fortissimo sull’opinione pubblica di tutto il mondo. All’epoca, Johann Ludowici era proprietario di una fabbrica di mattoni e tegole a Jockgrim, vicino a Karlsruhe.

Era stato il nonno Carl a fondare, nel 1857, le Fornaci Ludowici. Wilhelm, padre di Johann, aveva poi brevettato un innovativo tipo di piastrella a incastro e la “pressa a revolver”, due tecnologie che avevano permesso alla fabbrica di diventare una delle più importanti della Germania. Nel 1936, l’azienda ebbe un grande ritorno di pubblicità quando fu incaricata di fornire le tegole per il Villaggio Olimpico dei Giochi di Berlino.

Johann Lodowici, del resto, era ben introdotto nell’élite culturale e politica del tempo. Fin dal 1923 aveva aderito al NSDAP, il partito nazionalsocialista tedesco. Durante il Terzo Reich ebbe diversi incarichi pubblici, soprattutto nel campo della pianificazione e dell’urbanistica; per un certo periodo fu anche il vice di Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista tristemente noto per i suoi deliri pseudoscientifici sulla superiorità ariana. 

Fu proprio con la Seconda Guerra Mondiale che iniziò il declino delle Fornaci Ludowici: i bombardamenti del 14 febbraio 1945 distrussero circa il 70% della fabbrica di Jockgrim. Al termine del conflitto Johann si lanciò nel boom edilizio della ricostruzione. Ma con gli anni anche questa spinta venne a mancare, e l’ingegnere si trovò a fare i conti con la concorrenza, rappresentata da due nuovi tipi di coperture per i tetti, l’eternit e la lamiera. La Kugelhaus (“casa-sfera”) risale a questo periodo: un ultimo tentativo per risollevare l’azienda di famiglia e lanciarla nel business delle nuove “case trasportabili”. 

Dentro una Kugelhaus

Le Kugelhaus comparvero alla fine degli anni Cinquanta: erano futuristiche, adattabili, facilmente trasportabili. Nel 1958, era impossibile non paragonarle a un satellite o a un disco volante. In quegli anni la grafica, soprattutto in Unione Sovietica, sovrapponeva le due cose: i dischi potevano essere nuove tecnologie di potenze nemiche, prodotti della nuova era spaziale. 

Johann Ludowici, per le sue “sfere”, sperimentò diversi materiali, dal cemento al metallo (compreso uno che era ancora ancora considerato abbastanza avveniristico, l’alluminio). I risultati furono esposti in molte fiere, tra cui una a Londra: le foto della Kugelhaus rimorchiata sul Tamigi si riferiscono probabilmente a quell’occasione.

Nel gennaio 1961 la rivista Science and Mechanics dedicò all’invenzione un articolo, grazie al quale possiamo conoscere qualche dettaglio in più del progetto: potete leggerlo interamente qui. Le case erano pensate per essere trasportate facilmente per mare o via aria; avevano un diametro di circa 4,5 metri, e l’interno poteva essere sistemato secondo diverse modalità. C’era una cucina (con fornello a bombola, lavandino, ripiani), un bagno (curiosamente, con la vasca, non la doccia), un ripostiglio per tubi e fili elettrici e un divano-letto che si snodava lungo le pareti circolari dell’abitacolo. Base e tetto potevano essere usati come serbatoi d’acqua e depositi. Spiegava la rivista:

Il dott. Ludowici […] ha basato il suo progetto sul principio, noto a tutti gli studenti di geometria, che una sfera contiene il più grande volume a parità di superficie – un principio poco usato nell’edilizia fino a questo momento, ad eccezione degli Eschimesi e dei loro igloo. 

Certo, lo spazio a disposizione non era molto: poteva ospitare al massimo una persona. La Kugelhaus era pensata come riparo militare o come abitazione per gli operai che lavoravano in Africa, con l’unico incomodo del dover fare un piccolo scavo per gli scarichi. Ma all’occorrenza – segno dei tempi – poteva anche essere interrata completamente e diventare un pratico rifugio di emergenza. Erano pur sempre gli anni del terrore per una guerra nucleare imminente: presto sarebbe arrivato, in America, il boom delle case con rifugio familiare annesso in giardino. 

La casa venuta dal futuro (o dal passato?)

Ironia della sorte: la Kugelhaus non era certo il primo progetto tedesco di abitazione sferica. Nel 1928, a Dresda, un edificio ben più grande faceva mostra di sé nel Großer Garten, opera visionaria dell’architetto Peter Birkenholz. Aveva 24 metri di diametro e al suo interno si trovavano diverse sale espositive, un ristorante e una sala da ballo. Durò ben poco: venne demolito nel 1938, in parte per motivi economici (non si erano trovati acquirenti e le spese di gestione erano alte); ma alla sua fine contribuirono anche i numerosi attacchi della stampa nazista, che vedeva nell’opera una testimonianza di arte “degenerata”, decisamente poco tradizionale e “non germanica”. 

Curioso che la rinascita delle case sferiche sia stata poi guidata, vent’anni dopo, da un ex aderente al partito nazista. Ma forse al progetto di Ludowici aveva contribuito la nuova estetica del periodo: le “case del 2000” dovevano essere piccole, trasportabili, come l’abitacolo di un astronauta o un rifugio antinucleare. Negli stessi anni in cui fiorirono le Kugelhaus, videro la luce anche le Futuro, prefabbricati a forma di navicella spaziale firmate dall’architetto finlandese Matti Suuronen. Né loro né la Kugelhaus, però, riuscirono a raggiungere il pubblico di massa.

Le pallozze di Johann Ludowici non furono mai veramente commercializzate, e si rivelarono un’inutile emorragia di fondi per l’azienda di famiglia; le Fornaci, schiacciate dalla recessione e semidistrutte da un grave incendio negli anni ‘70, furono dichiarate fallite nel 1995. 

Science and Mechanics aveva stimato per la Kugelhaus un costo tra i 1500 e i 4500 dollari (tra i 12.000 e i 35.000 euro, al cambio attuale) e un avvenire roseo. Ne sopravvivono, invece, pochissimi esemplari, come quello restaurato a Jockgrim e quello ormai in rovina a Neupotz. Sono prodotti di un’estetica che ormai ci appare lontana, distante, quasi aliena: non stupisce che qualcuno possa scambiarli per navicelle extraterrestri, quando si imbatte in quelle fotografie. 

In un certo senso, gli avvistamenti UFO degli anni Cinquanta e le case sferiche di Ludowici sono frutto dello stesso immaginario – con i suoi gusti e le sue aspettative su un futuro mai realizzatosi.  

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

2 pensieri riguardo “Un UFO sul Tamigi nel 1860?

  • Interessante. Certo a vedere quella foto senza saperne nulla avrei pensato a una sorta di batisfera, non capisco come possa suscitare l’attenzione di ufologi.

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    • “Ci sono più cose bizzarre in cielo e in terra di quante non ce ne siano nella fantasia dei fissati con gli UFO”.

      In effetti per i credenti nei dischi volanti, qualsiasi cosa curiosa in cui si imbattano ha una sola ed unica spiegazione: gli extraterrestri.

      PS: una astronave aliena sul Tamigi fa pensare tanto ad un qualsiasi episodio del Dr. Who.

      Rispondi

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