19 Aprile 2024
Interviste

Scienza senza maiuscola: cos’è l’etica della ricerca? Il nuovo libro di Daniela Ovadia e Fabio Turone

Daniela Ovadia e Fabio Turone sono studiosi di etica della scienza, della sua comunicazione ed anche giornalisti scientifici. Di recente Codice edizioni ha pubblicato il loro volume Scienza senza maiuscola: l’etica della ricerca per una cittadinanza scientifica. Giuseppe Stilo li ha intervistati per Query Online.

 

Il vostro è un libro che si presenta come un manuale informale di prassi dell’etica della ricerca scientifica. A volte si potrebbe pensare, scorrendolo, che sia un libro di etica tout court! Quanta parte hanno, nel vostro modo di vedere le cose, le teorie tradizionali dell’etica?

Daniela Ovadia

Daniela Ovadia: L’etica teorica è una disciplina ben precisa, un settore della filosofia studia gli aspetti morali dell’agire umano. Nessuno di noi due ha una competenza specifica: io ho studiato bioetica e neuroetica, due discipline che ovviamente si basano su alcuni aspetti dell’etica classica ma la “calano” nel mondo reale. In particolare, io ho studiato questi temi negli Stati Uniti, dove l’approccio più comune alla valutazione dei valori insiti nella ricerca scientifica è quello dell’etica pratica: si tratta di trovare criteri condivisi, codici, norme, strumenti di valutazione dell’operato degli scienziati oppure delle ricadute sociali della ricerca scientifica. Trovo questo approccio molto utile per chi, come me, non ha un ruolo accademico, non produce riflessione originale su questi temi, ma ha un compito pratico, ovvero quello di aiutare gli scienziati a produrre scienza che sia più giusta, più utile alla società e più corretta nella sua prassi quotidiana.

Fabio Turone: Secondo me la scelta dell’informalità, che rinuncia in parte alla sistematicità per raccontare storie affascinanti, con uno stile giornalistico e un approccio da cronisti, è utile a rispondere all’esigenza di interessare una platea di lettori che non appartengono necessariamente al mondo della ricerca. Al tempo stesso è anche un modo per prendere atto del fatto che le importanti dichiarazioni di principio su molti aspetti dell’etica e dell’integrità, che elenchiamo e descriviamo nel libro, sono ancora in gran parte ignorate, e le loro raccomandazioni in larga parte inapplicate.

Esiste davvero tra gli studiosi un’idea generale di etica scientifica condivisa oppure ci sono differenze basilari di vedute? Ci fate qualche esempio?

DO: No, direi proprio di no altrimenti avremmo risolto il problema alla radice. Anche perché ogni disciplina scientifica (e tra le discipline scientifiche includo anche quelle umanistiche e sociologiche) ha i propri criteri di impatto, la propria metodologia e anche il proprio contesto culturale. Tra l’altro, questa assenza di una visione condivisa è confermata dal fatto che la Commissione Europea, che nel precedente programma quadro ha finanziato un filone di ricerca proprio sull’etica della ricerca, ha cercato con grande sforzo di armonizzare e standardizzare le norme etiche della scienza, senza grande successo. Io stessa ho partecipato a uno di questi progetti di ricerca e alla fine siamo riusciti a standardizzare solo un settore molto specifico dell’etica della ricerca, ovvero la misurazione dell’impatto di nuove scoperte con ricadute tecnologiche. D’altronde basta pensare alla bioetica: a nessuno verrebbe in mente di dire che esiste una bioetica condivisa da tutti gli scienziati!

FT: Io mi domando a chi ci riferiamo quando parliamo di “studiosi”: in un certo senso la convinzione che ci ha spinto a scrivere questo libro è che ci sono certo dei passaggi tecnici che aiutano a valutare se una ricerca scientifica è condotta con tutti i crismi, ma in fondo il giudizio etico dipende sempre molto anche dalla comunità dei “non tecnici”, dagli esperti di discipline diverse, e in fondo anche dai cittadini che si interessano attivamente di questi temi.

Pare di capire che abbiate molti dubbi sull’opportunità di norme giuridiche che puniscano i ricercatori per gli inganni che commettono volontariamente. Del resto, i percorsi formativi dei futuri scienziati non sembrano includere una “formazione all’etica” come passaggio obbligatorio. Come vedete il futuro (e il presente), al riguardo, in specie in Italia?

Fabio Turone

FT: Per mostrare quanto è delicata e complessa la questione del ricorso ai tribunali ordinari, nel libro raccontiamo la storia di una giovane ricercatrice italiana, che abbiamo ribattezzato Sofia pensando alla Sapienza greca (salvo fare caso più tardi che è anche il nome della piattaforma ministeriale per la formazione e l’aggiornamento dei docenti). Ebbene Sofia ha confessato di aver commesso una frode scientifica dopo aver subito pressioni, anche violente, da parte del direttore del suo laboratorio, e ha dichiarato pubblicamente di voler rimediare ritrattando il suo studio. Quando la sua istituzione si è attivata, il tribunale è stato evocato dal suo rettore, che l’ha minacciata di denuncia per diffamazione e danno d’immagine. A distanza di anni, lo studio che Sofia stessa ci ha detto essere frutto di falsificazione è ancora presente nella letteratura scientifica (e lei si è trovata un altro lavoro). C’è chi pensa che se si introducesse il reato di frode scientifica casi come questo sarebbero puniti più facilmente, ma a noi pare che la storia di Sofia debba invitare a riflettere sul rischio concreto che a rimetterci sia solo l’anello debole della catena, che avrebbe ancor più motivi per restare in silenzio. Almeno finché la comunità scientifica continuerà a tollerare certi comportamenti da parte dei suoi membri, e ad accettare che rimangano impuniti. Per questo crediamo che la formazione e un maggiore controllo sia da parte dei pari, sia da parte della società, siano la soluzione più efficace.

DO: In realtà la questione è sottile. Quando si commette un illecito (per esempio si usano i soldi di un progetto di ricerca per andare alle Maldive) ovviamente si incorre in un comportamento legalmente perseguibile. Non c’è bisogno di una legge apposta. Se un ricercatore molesta sessualmente una propria collega o studentessa, se tale molestia assume contorni legalmente perseguibili, bisogna ovviamente procedere e denunciare. Il problema si pone per “delitti” nei confronti della scienza in sé, per esempio inventare dati o manipolare statisticamente i risultati per renderli significativi. In quel caso il danno viene fatto soprattutto alla comunità scientifica stessa, ed è questa che deve prendere in mano la situazione. Forse l’unico ambito in cui sarebbe utile un cambiamento normativo è quello del diritto del lavoro: purtroppo, in Italia, alcuni scienziati che hanno commesso frodi e falsificazioni più e più volte, in modo inequivocabile, non possono essere inibiti dall’insegnamento se sono dipendenti pubblici, e questo non è positivo per gli studenti.

Come si può fare per far diventare più consapevole il pubblico delle questioni della qualità della ricerca? La grande complessità di passaggi come quelli della revisione fra pari, o le astrusità degli indici bibliometrici che poi finiscono per diventare “voti” sull’importanza delle pubblicazioni non sembrano aiutare nel compito…

DO: È necessario cominciare a parlare della scienza come una delle tante attività umane, con ricadute sociali e politiche, quindi con un impatto sulla vita di tutti noi. Quando i cittadini capiranno che ciò che la scienza ricerca e scopre può cambiare la loro vita di tutti i giorni (e di fatto lo abbiamo sperimentato con la pandemia), cominceranno a interessarsene per forza (e, di nuovo, ne abbiamo avuto un assaggio nell’ultimo anno). La sfida è riuscire a portare il dibattito sulla scienza nell’arena pubblica senza trasformarlo in uno scontro ideologico e senza aprire le porte alle posizioni antiscientifiche.

FT: È un tema molto complesso, e c’è sempre il rischio che le critiche che noi elenchiamo nel libro vengano usate strumentalmente per criticare la scienza nel suo insieme. Una delle poche certezze che abbiamo, e su cui insistiamo nel libro, è che la scienza non produce certezze, ma risultati che sono sempre accompagnati da margini di incertezza più o meno ampi, e che quasi sempre richiedono poi di essere valutati anche alla luce del contesto più ampio, in cui occorre tenere conto anche di molti elementi su cui la scienza ha ben poco da dire, e spetta alla politica trovare un equilibrio. Secondo noi il danno peggiore alla scienza lo causa chi trasforma il dato scientifico – per definizione soggetto a revisione e affinamento – in un precetto scolpito nella pietra. A me piace parafrasare il motto di Churchill sulla democrazia: la scienza è la peggior forma di conoscenza, se si eccettuano tutte le altre forme che sono state provate.

Pensate sia etico mettere a disposizione di tutti i cosidetti pre-print, ossia risultati che potrebbero essere giudicati sostanzialmente sbagliati dai revisori dei lavori?

FT e DO: La nascita degli archivi aperti è un classico esempio di arma a doppio taglio: è apprezzabile perché mette a disposizione più rapidamente le scoperte, ma diffonde anche porcherie immonde. Se ci fosse davvero, come auspicavano i pionieri, un attento e tempestivo controllo da parte di revisori informali, in piena trasparenza, non ci sarebbe più bisogno delle riviste scientifiche. Purtroppo oggi sono una importante fonte di confusione e manipolazione, perché il controllo è limitato a pochi ambiti, e le critiche anche feroci non vengono quasi mai riprese da chi aveva interesse – per motivi extrascientifici – a diffondere quelle conclusioni. D’altra parte questo vale anche per il lavoro delle riviste scientifiche con peer-review: non solo non sono neanche lontanamente impeccabili nella valutazione, ma quando ritrattano uno studio se ne accorgono in pochi. Come scriviamo nel libro, molti articoli continuano a essere citati per anni dopo essere stati formalmente ritrattati, senza menzione della ritrattazione: è capitato e probabilmente continua a capitare con i due famosi studi di New England Journal of Medicine e Lancet sulla presunta efficacia contro il COVID-19 della idrossiclorichina.

Nel caso di frodi sostanziali commesse nella ricerca, come ben spiegate la tradizione anglosassone è quella di proteggere e valorizzare l’anonimato di chi le denuncia. Partendo dal presupposto che le frodi volte contro l’etica scientifica e la legge potrebbero essere assai più numerose di quelle emerse, che cosa pensate delle linee guida adottate dal CNR nel 2019, che escludono in modo esplicito le segnalazioni anonime?

FT e DO: È una soluzione di compromesso, pragmatica. La spiegazione plausibile sta nel timore che nel contesto italiano attuale ci possa essere un uso strumentale dell’anonimato per denunce pretestuose e infondate, che rischierebbero anche di sovrassaturare la piccola struttura che oggi si occupa di valutare le segnalazioni. Noi siamo a favore dell’anonimato delle segnalazioni e della piena trasparenza su andamento ed esito delle procedure, ma siamo consapevoli del fatto che questo richiede anche un senso di responsabilità da parte dei mass media e dell’opinione pubblica assai maggiore di quello che si vede all’opera oggi in Italia.

A questo punto, vi dichiarereste ottimisti sul futuro dell’etica della ricerca? In particolare, il trauma psicosociale della pandemia, che ha messo in grave difficoltà anche la comunicazione della scienza e i meccanismi di pubblicazione dei lavori scientifici, che cosa fa intravedere, dal vostro osservatorio?

FT e DO: Come scriviamo nel libro, la pandemia di COVID-19 ha reso visibili a tutti, aggravandoli, numerosi aspetti critici legati alla produzione e alla diffusione delle conoscenze scientifiche, e a una generale disattenzione verso l’integrità della ricerca, sacrificata all’altare della produttività e del meccanismo perverso del “publish or perish” che incoraggia chi persegue una carriera nella ricerca ad andare contro lo spirito della scienza, e ad adottare trucchi e trucchetti poco nobili, quando non addirittura illeciti. D’altra parte è nelle situazioni di crisi che spesso si creano le condizioni per cambiamenti profondi, per cui ci auguriamo che l’importanza assoluta della posta in palio – la credibilità della scienza e quindi la fiducia che la società ripone in essa – favoriscano l’adozione di misure sempre efficaci. Per punire i furbi e i disonesti, ma soprattutto per premiare i molti ricercatori che non accettano le scorciatoie, e che in questi anni sono spesso penalizzati.

In chiusura del libro, ci ha colpiti la creazione di un sito nato dal libro, http://www.scienzasenzamaiuscola.it, in cui – fra l’altro – segnalare eventuali errori e omissioni presenti nel testo. Ci dite qualcosa di più su questa idea?

FT: Nel libro raccontiamo un episodio in cui a una domanda sul potenziale rischio associato a una innovazione ottenuta con le nanotecnologie, un autorevolissimo scienziato del MIT ha risposto in modo rassicurante con la formula “to the best of my knowledge” (al meglio delle mie conoscenze), venendo smentito poco dopo da un’esperta di nanotossicologia di Harvard. La risposta era sbagliata, ma la formula almeno riconosceva la possibilità che qualcosa, anche importante, fosse sfuggito. Noi non pensiamo di paragonarci a quello scienziato del MIT: più semplicemente mettiamo in conto che sui temi affrontati nel libro ci siano anche punti di vista che abbiamo trascurato, e probabilmente anche studi e analisi che abbiamo interpretato in modo che ad alcuni può apparire sbagliato o superficiale – anche in virtù del taglio giornalistico e alle volte dissacrante. Siccome il nostro obiettivo è quello di discutere e far discutere su questi argomenti, abbiamo pensato di creare e mettere a disposizione uno spazio apposito.

DO: Nel libro abbiamo raccolto centinaia di aneddoti e fonti. Abbiamo fatto un fact checking il più attento possibile, ma i passaggi redazionali tra due autori e un editor possono a loro volta introdurre errori. È successo anche a noi esattamente nel primo capitolo: un errore di stampa ha modificato la data di pubblicazione de “L’origine della specie di Darwin” e c’è di peggio. Il naturalista scozzese Charles Lyell è diventato, per un errore di fact checking, il naturalista australiano George Lyell. Queste cose possono accadere nei libri scritti a più mani, anche se non dovrebbe succedere: noi ci siamo rimasti male (in primo luogo per il nostro errore), ma almeno esiste un posto dove possiamo elencare gli errata corrige.

Un pensiero su “Scienza senza maiuscola: cos’è l’etica della ricerca? Il nuovo libro di Daniela Ovadia e Fabio Turone

  • La soluzione ci sarebbe: pagare in Nobels gli Scienziati che hanno avuto una carriera etica e quelli che denunciano le frodi, se il tribunale dà loro ragione. Grazie, comunque, per l, articolo.

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