20 Aprile 2024
E leggiti 'sto paper

La mappa più antica d’Europa?

A metà aprile sono stata colpita da una notizia comparsa su molti giornali e siti internet. Come spesso accade, non avendo una formazione archeologica, i giornalisti si limitano a copiare le informazioni, modificando leggermente i titoli della fonte italiana più autorevole, senza approfondire o verificare quelle notizie. Ma è altrettanto vero che la scoperta spesso è più complessa di come viene raccontata e questa complessità viene persa, appiattendosi su trovata la mappa 3D più antica d’Europa.

Ma sarà vero? Hanno detto davvero questo gli archeologi? Oppure c’è di più?

Come sanno quelli che seguono questa rubrica mensile, io sono sempre molto attenta alle sopra-interpretazioni, soprattutto a quelle che riguardano epoche per le quali non abbiamo fonti scritte, come in questo caso. Sopra-interpretare vuol dire formulare teorie che non hanno basi abbastanza solide nei dati oggettivi. Queste, anche se sono plausibili e provengono da esperti del settore, spesso non sono verificabili o pienamente condivisibili dalla comunità scientifica. Capita perché anche agli scienziati a volte non basta rendersi conto che “non lo sapremo mai perché le informazioni sono andate perdute e non abbiamo assistito in prima persona”. Vogliamo invece saperne di più. Per esempio. alla domanda sul perché nel Paleolitico è stato disegnato questo animale sulla parete di una caverna. ci sono molte risposte plausibili: è per propiziare la caccia di quell’animale, fa parte di un rito religioso, lo veneravano come divinità, si annoiavano e hanno fatto un disegno di una cosa che conoscevano bene…

Ma la verità è che non lo sapremo mai, perché nessuno lo ha scritto e noi non possiamo tornare indietro per chiederglielo. Quando leggo titoli come quelli della mappa 3D più antica d’Europa, dunque, il mio sensore per sovra-interpretazione inizia a suonare.

Cosa fare, quindi? L’unica soluzione è cercare l’articolo scientifico originale e provare a vedere se, prima di tutto, il titolo sensazionalistico della stampa generalista corrisponde alla sostanza della teoria formulata dagli archeologi, e poi verificare se la teoria ha basi abbastanza solide. o se almeno è interessante e plausibile ma necessita di ulteriori conferme.

In questo caso l’articolo originale è La carte et le territoire : la dalle gravée du Bronze ancien de Saint-Bélec (Leuhan, Finistère), uscito il 6 aprile sul Bulletin de la Société préhistorique française (1).

Per cominciare, la lastra di Saint-Bélec (la vedete nell’immagine in evidenza) ha una storia complessa. È stata scoperta tra l’Ottocento e il Novecento da Paul du Chatellier, un archeologo che percorreva la Bretagna, e in particolare la zona del Finistère, alla ricerca di tumuli funerari. Quando ne scopriva uno, apriva uno scavo alla sua sommità, in modo da trovare la tomba principale (una tecnica d’indagine che oggi non sarebbe ben vista, ma che all’epoca invece era consuetudine). Così fece anche per il tumulo di Saint-Bélec. La sepoltura era formata da una cassa realizzata con lastre di pietra, dentro la quale veniva deposto il defunto, poi chiusa con un’altra lastra e ricoperta di terra. A Saint-Bélec uno dei lati della cassa era stato realizzato con la nostra lastra incisa. La pietra era rotta nella parte superiore e si era anche staccata una scheggia proprio dalla parte centrale. L’archeologo tuttavia recuperò tutti i pezzi e li portò nella sua casa di Kernuz, dove aveva allestito un piccolo museo personale. Alla sua morte, nel 1911, gli eredi donarono tutti i reperti al museo di Saint-Germain-en-Laye, dove si trovano ancora oggi. Qui i reperti vennero inventariati per la prima volta, ma non c’è traccia della lastra incisa nei cataloghi.

Fu Renan Pollès che in un articolo si chiese se la stele non fosse ancora conservata nel museo. A quel punto gli archeologi Yvan Paillier e Claurent Nicolas, firmatari dello studio, iniziarono la ricerca nei magazzini. Finalmente trovarono la lastra in questione in una cantina, dove forse era stata portata per essere riparata. I pezzi però non erano tutti presenti. Alcuni sono stati ritrovati in altre parti del museo, mente altri, che erano probabilmente stati ritrovati da du Chatellier, sono ad oggi perduti.

Pailler e Nicolas ipotizzano che la stele sia stata incisa nell’età del Bronzo Antico e poi reimpiegata dopo poco tempo come parte della cassa di sepoltura del tumulo di Saint-Bélec. Non è chiaro se la parte superiore della lastra sia stata rotta intenzionalmente per adattarla alla tomba, oppure se si sia spezzata in seguito alla caduta del soffitto del tumulo.

I due archeologi non sono stati i primi a pensare che questa lastra incisa potesse rappresentare una carta geografica. Lo aveva ipotizzato già Jacques Briard nel 1994, ma, non potendo vedere la stele originale, si era basato unicamente sugli appunti di du Chatellier.

Quali sono, quindi, le prove a sostegno di questa tesi?

Per prima cosa, lo studio delle incisioni ha dimostrato che non vi sono sovrapposizioni di linee; dunque, tutti gli elementi sono stati realizzati in modo organico, secondo un progetto preciso. Fanno eccezioni alcuni particolari che sono stati aggiunti in seguito, ma che non cambiano il quadro generale. Scrive Yvan Pailler: “crediamo di essere di fronte ad una mappa quando gli schemi si ripetono e sono collegati tra loro da linee per formare una rete, in un insieme coerente”. In questo caso “vengono soddisfatti i criteri per riconoscere una mappa, o piuttosto una rappresentazione di tipo cartografico”.

Altra cosa importante da capire è quali metodologie sono state utilizzate per lo studio della stele. Pailler spiega che il primo metodo è stato quello dell’osservazione ad occhio nudo. Successivamente la lastra è stata fotografata con luce radente, un metodo molto utilizzato da quanti studiano le incisioni litiche, perché mette in risalto anche i solchi meno marcati. Un altro metodo utilizzato è stato la fotogrammetria, che ha permesso di realizzare un modello 3D della roccia incisa. Infine, grazie allo scanner 3D è stato possibile ottenere una risoluzione tale da poter studiare le tracce lasciate dalla lavorazione della pietra. È stato così possibile ricostruire in parte alcune incisioni presenti in un’area della lastra dove lo strato superiore si era staccato, portandosi via i segni più superficiali, ma conservando quelli incisi più in profondità.

Grazie a queste metodologie gli archeologi hanno evidenziato anche alcune parti realizzate a rilievo.

Manca però ancora un elemento. Se veramente la lastra di Saint-Bélec è una mappa, cosa rappresenta? Si possono riscontrare somiglianze con la zona nella quale è stata trovata?

Secondo i ricercatori nelle incisioni della stele si rinvengono diversi elementi geografici presenti nella geografia della zona circostante al tumulo. Ad esempio, un triangolo allungato e incavato rispetto al resto della lastra potrebbe rappresentare la valle dell’Odet, chiusa da un lato dalle colline di Coadri e dall’altro dalle Montagnes noires, che formano una linea. Proseguendo si nota il massiccio di Landudal, che potrebbe corrispondere ad un piccolo triangolo in bassorilievo scavato nella parte più ampia del triangolo. Seguendo questa logica, la parte superiore della lastra dovrebbe rappresentare il fiume Aulne, ma quella è anche la parte più danneggiata.

Segnala Pailler: “alcuni simboli a “U” rovesciata che erano raffigurati in alto ci sembravano bizzarri. Osservando l’Aulne con tutti i suoi meandri, abbiamo constatato una certa somiglianza con la lastra”. Questa parte però, anche a causa del danneggiamento della lastra cui abbiamo accennato, sembra associabile alla geografia del posto in maniera meno puntuale: gli archeologi hanno riscontrato analogie anche con i fiumi Isole e Ster Laer.

A questo punto però si pone un ostacolo. Queste somiglianze tra la geografia reale della zona e le incisioni sulla lastra sono state rilevate ad occhio nudo dai due archeologi.

Molti studi amatoriali si fermano qui, al livello soggettivo. Ma Pailler invece si chiede: “possiamo dimostrare da un punto di vista geomatico, statistico, matematico, che ciò che vede il nostro occhio corrisponde al soggetto osservato? Può la tecnologia confermare ciò che si pensa di vedere?”

Per questo, è stata coinvolta nella ricerca Juliette Pierson, esperta di geomatica presso il LETG, un laboratorio del CNRS francese sorto per studiare la geografia ambientale. Si è potuto così constatare che effettivamente è presente una somiglianza, riscontrabile oggettivamente, tra il disegno inciso sulla roccia e l’ambiente circostante.

Gli studiosi però non si sono fermati qui. Per il loro articolo, sulla mappa non sono rappresentati solamente elementi fisici, ma anche antropici e politici. La rappresentazione organica e pianificata di una mappa mentale, sottolineano gli autori, è un’azione precisa che sottintende uno scopo. Questo scopo potrebbe essere collegato alla forte gerarchizzazione e alla volontà di controllo del territorio che si riscontra nell’età del Bronzo. In più, il motivo centrale della mappa, quello nella posizione più importante, secondo i due archeologi non trova riscontri nella geografia fisica della zona. Potrebbe quindi rappresentare un elemento antropico. Le evidenze archeologiche dimostrano che questa zona in effetti era divisa in piccoli principati – entità politiche che compaiono all’inizio dell’età del Bronzo e che durano qualche secolo.

Anche se non è possibile stabilire se la rottura della lastra sia stata intenzionale o meno, secondo Pailler e Nicolas il fatto che ad un certo punto questa sia stata utilizzata in una tomba e dunque sottratta all’uso pubblico che se ne poteva fare, potrebbe indicare la caduta del sistema geografico e di potere che l’aveva prodotta.

Insomme, quello che si può dire al vaglio dell’evidenza presentata da Pailler e Nicolas è che si è davanti a una prospettiva interessante e ben documentata per quanto riguarda la rappresentazione degli elementi naturali del territorio. Per ciò che concerne gli elementi antropici, invece, l’ipotesi è ancora tutta da confermare. Se seguendo le indicazioni della supposta mappa in futuro verranno ritrovati insediamenti, tumuli o alterazioni umane del paesaggio naturale in posizioni confrontabili con le incisioni della pietra, allora avremo altri elementi a favore della tesi. Per ora dobbiamo aspettare ulteriori conferme.

Note:

(1) L’articolo non è stato reso disponibile gratuitamente, ma se ne trova un riassunto scientificamente accurato sul sito dell’INRAP (Institut national des recherches archéologiques préventives) che ha intervistato gli autori dello studio in un articolo dal titolo La plus ancienne carte d’Europe?

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