25 Aprile 2024
E leggiti 'sto paper

Vichinghi misteriosi – ma senza esagerare

Barbuti e villosi uomini del  Nord che discendono nella civilizzata Europa per devastare e saccheggiare tutto quello che incontrano, antiche civiltà in contatto con la natura e le loro misteriose divinità pagane, valorosi baluardi di un dorato passato ormai perduto: sono i Vichinghi.

Gli antichi Norreni hanno popolato per generazioni il nostro immaginario. Immaginati come barbari bellicosi, sciamani in contatto con le forze della natura o gloriosi antenati, sono comparsi nei libri, nei film, nei fumetti fino alle etichette delle bottiglie di birra. Negli ultimi anni sono tornati sui nostri teleschermi grazie alla serie televisiva Vikings, ormai alla sesta stagione. Più recentemente il termine “sciamano Vikingo” è comparso nei notiziari, associato a “Jake Angeli”, pseudonimo di uno dei complottisti QAnon fra i protagonisti  dell’assalto del 6 gennaio al Congresso degli Stati Uniti.

Ma cosa c’è di vero in quello che crediamo di sapere sugli antichi norreni?

L’abbiamo chiesto a Lorena Cannizzaro (nella foto), archeologa germanista, esperta di valorizzazione dei Beni Culturali e dell’evoluzione della simbologia del potere tra Tardo Antico e Alto Medioevo.

Conseguita la laurea magistrale in Storia del patrimonio archeologico e storico-artistico all’Università di Torino, ha poi ottenuto il diploma di specializzazione in Beni Archeologici presso la Scuola di Specializzazione dell’Università  di Milano. Libera professionista, si occupa di archeologia informatica e virtual heritage, allestimenti museali, grafica 2d e prodotti multimediali applicati ai Beni Culturali. Collabora con diversi enti pubblici e privati nell’ambito di progetti relativi la ricerca, valorizzazione, comunicazione e promozione dei Beni Culturali. Tra i suoi interessi di studio, lo sviluppo di nuove tecniche e mezzi di comunicazione per la valorizzazione dei Beni Culturali.

Lorena, lo studio dei popoli germanici è un ambito molto interessante, ma forse poco noto al grande pubblico. Come mai hai scelto di approfondire proprio questo campo di studi?

Il mio intento originario era specializzarmi in archeologia informatica, poi nel 2004 seguii un corso della compianta professoressa Maria Maddalena Negro Ponzi dal titolo “I popoli dell’Alto Medioevo in Europa” incentrato sull’analisi e l’interpretazione dei dati archeologici a questi riconducibili. Durante la scuola dell’obbligo a popolazioni quali ad esempio Goti, Longobardi e Franchi vengono dedicate solo scarse paginette nei libri di storia, ma in realtà c’è un vero mondo dietro a questi nomi, e scoprirlo, approfondirlo, vederne i resti materiali mi ha affascinata.

E visto che non si può parlare di questi popoli senza ripercorre la storia antecedente all’Alto Medioevo, durante gli anni universitari mi è stato dato modo, attraverso interazioni e programmi concordati, di approfondire questo aspetto in ambito archeologico, storico e filologico. Non abbiamo molte fonti su queste popolazioni, ma i dati materiali giunti fino a noi ci permettono di conoscerli meglio, e ogni nuovo tassello che viene portato alla luce, ogni ultima analisi che viene effettuata sui loro resti, ci permette di conoscere meglio il loro passato.

Per prima cosa ti faccio una domanda fondamentale: come dobbiamo chiamarli? Spesso Vichinghi, Norreni, Normanni vengono usati come sinonimi, invece non è così, vero?

No, infatti. La suddivisione delle cosiddette popolazioni germaniche in Occidentali, Orientali e Settentrionali nasce in ambito filologico. Per quanto riguarda le popolazioni germaniche Settentrionali, queste fecero la loro comparsa nell’Europa continentale tra VIII e IX secolo attraverso incursioni di bande di guerrieri provenienti dai territori scandinavi di Danimarca, Norvegia e Svezia. Nelle fonti questi avventurieri sono ricordati con diversi nomi: norreni, che come il termine “Normanni” sta ad indicare “gli uomini del Nord”; vichinghi, di origine forse norvegese e di etimologia incerta (secondo alcuni da vik, “baia”, o da vig, “battaglia”), dalle fonti che lo menzionano pare avesse significato di pirati, predoni, razziatori, designava una “professione”; varieghi,(Norreni Svedesi) – con il significato di uomini legati ad un patto di sangue, ma anche “mercanti” – usato dai Bizantini; rus, (Norreni Svedesi) – di origine finlandese, con il significato di “coloro che remano”.

Tutti i nomi in realtà sono corretti se contestualizzati in base all’area geografica e al periodo storico: ad esempio, Normanno in origine era un nome collettivo che riuniva in sé varie popolazioni dello Jutland e in parte della Scandinavia, ma che con il tempo andò a identificare i popoli di origine danese e norvegese che si stanziarono in Normandia, regione nel nord-ovest della Francia, dai quali prese poi il nome.

Pensando ad alcune serie televisive e film usciti negli ultimi anni viene da chiedersi come mai per noi sono carichi di questo fascino selvaggio. Da dove nasce la narrazione moderna sui popoli nordici? Ed è sempre stato così?

Le prime pubblicazioni moderne che trattano di quella che oggi viene chiamata “cultura vichinga”, apparvero nel XVI secolo. Ne sono esempi la Historia de gentibus septentrionalibus di Olaus Magnus (1555) e la prima edizione della Gesta Danorum del XIII secolo. di Saxo Grammaticus, edita nel 1514. Le pubblicazioni aumentarono nel XVII secolo con le traduzioni latine dell’Edda. Nel Settecento  l’interesse britannico per l’Islanda e la prima cultura scandinava crebbero notevolmente, ed è a questo periodo che risalgono le tante traduzioni in inglese di testi in antico norvegese e poesie originali che esaltavano le presunte “virtù vichinghe”.

Tuttavia, il termine “vichingo” divenne popolare solo nel XIX secolo grazie alla poesia di Erik Gustaf Geijer, The Viking. Geijer descrisse i vichinghi come un eroico popolo norreno, creando un modello entrato a far parte della cultura popolare e giunto  fino ai giorni nostri. L’opera rappresentò un vero e proprio punto di svolta nella riabilitazione dei Vichinghi fra gli svedesi della generazione romantica, e la Geatish Society, di cui lo stesso Geijer era membro, rese popolare questo mito su larga scala.

Il fascino dei vichinghi raggiunse così l’apice durante il cosiddetto “revival vichingo”, tra la fine del XVIII e il XIX secolo come espressione del nazionalismo romantico. In questo periodo l’idea romanticizzata dei vichinghi, costruita nell’Ottocento e ai primi del Novecento nei circoli accademici e popolari nell’Europa nord-occidentale, si diffuse ulteriormente, fino ad arrivare a essere impiegata come un simbolo di diversi contesti e ideologie politiche dell’epoca.

In tempi recenti, le moderne “ricostruzioni” della mitologia vichinga hanno influenzato la cultura di massa della fine del XX secolo e della prima parte del nostro grazie a fumetti, film, serie televisive, giochi di ruolo, videogames e musica, incluso il metal vichingo, un sottogenere dell’heavy metal.

A ciò si aggiunge anche l’affermarsi di un nuovo movimento religioso, l’etenismo, o paganesimo germanico contemporaneo o neopaganesimo germanico. I suoi praticanti lo hanno elaborato su modelli di credenze pre-cristiane riconducibili agli antichi popoli germanici dell’Età del Ferro e dell’Alto Medioevo. Nel tentativo di ricostruire questi sistemi di credenze del passato, l’etenismo utilizza come base dati acquisiti da fonti storiche e archeologiche ma anche quelli di tipo folklorico.

Se questo è l’immaginario che più o meno tutti condividiamo, come fanno invece storici e archeologi a ricostruire il passato di questi popoli?

Da un lato abbiamo la letteratura romantica che in qualche modo ha reso famose le loro gesta in tutto il mondo e dall’altra probabilmente le fonti scritte che li riguardano e che sono giunte fino a noi (le feroci descrizioni presenti nelle cronache e le saghe islandesi). Le imprese degli antichi Norreni furono riportate da cronisti loro contemporanei: si trattava soprattutto di resoconti di guerre e di saccheggi, che naturalmente hanno contribuirono ad alimentare il mito di un popolo violento e sanguinario. Queste crude narrazioni, tuttavia, presentano solo un aspetto parziale della storia, per lo più sono influenzate dal terrore dei vinti. Contengono scarse informazioni relative la vita quotidiana dei Norreni. Per colmare questa lacuna è entrata in gioco l’archeologia, che grazie gli scavi (ma anche lo scongelamento, lasciamelo dire…) ha acquisito informazioni importanti grazie pure alla particolare umidità del suolo che ha permesso la conservazione di materiali normalmente deperibili, quali legno, cuoio e tessuti.

I dati provenienti dalla ricerca archeologica costituiscono poi un importante termine di confronto con le fonti iconografiche. Tra queste non si può non ricordare l’arazzo di Bayeux, eccezionale fonte di informazioni storiche. Si tratta di un telo di lino, lungo circa settanta metri e alto cinquanta centimetri, ricamato con lane colorate, commissionato dal vescovo di Bayeux nella seconda metà dell’XI secolo per ricordare la conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni, avvenuta nel 1066. L’arazzo fci racconta l’abbigliamento, l’armamento, ma anche come si svolgevano i banchetti: presenta scene con commensali, seduti a semicerchio intorno a un tavolo, rappresentati mentre consumano carne bollita o arrostita e bevono da corni potori.

Da fonti scritte come le saghe norrene e dai ritrovamenti archeologici ricaviamo informazioni sulla loro dieta, che comprendeva zuppe d’orzo, pesce, legumi, frutta e miele; tra le bevande più diffuse vi erano la birra, l’idromele (ottenuto dalla fermentazione del miele), il vino e il bjorr (una sorta di sidro, derivato dalla frutta molto fermentata). Come si può immaginare, l’insieme di tutt questi dati ha permesso di rivalutare l’immagine esclusivamente guerriera degli antichi Norreni, facendo luce anche sulle loro straordinarie abilità tecniche e sulla loro vita in tempo di pace. Non dobbiamo dimenticare l’importanza acquisita durante l’Alto Medioevo dagli empori commerciali del Mare del Nord.

Cerchiamo adesso di sfatare alcuni miti spesso associati alle antiche popolazioni nordiche. Per esempio: erano veramente puzzolenti e poco curati?

Alcuni film, serie televisive e una certa letteratura hanno trasmesso lo stereotipo del “vichingo” sporco, dalla barba incolta e dalla discutibile igiene personale. In realtà, le fonti dell’epoca e i ritrovamenti archeologici ci danno prova di tutt’altro, mostrandoci come i popoli Norreni fossero in media più puliti e attenti alla cura del proprio corpo dei loro contemporanei Franchi e Anglosassoni. Presso quest’ultimi, in particolar modo, venivano considerati come uomini eccessivamente puliti per via della loro abitudine di fare il bagno almeno una volta alla settimana, solitamente al sabato. Per riferirsi al sabato, la lingua norrena parla appunto di laugardagr, ovvero “giorno del bagno o del bucato”; in islandese laug significa ancora “bagno” o “pozza d’acqua”, mentre tuttora il sabato è chiamato in islandese laugardagur.

A dimostrazione della loro pulizia, i ritrovamenti archeologici restituiscono tutta una serie di manufatti che venivano impiegati per la loro igiene personale, quali pettini, pinzette, rasoi o nettaorecchie.

La particolare cura che riservavano alla chioma e alla barba è peraltro anche testimoniata dalle fonti iconografiche giunteci dall’arazzo di Bayeux alle raffigurazioni presenti sulle pietre runiche gotlandesi. Ci appaiono con un aspetto curato, con capelli spesso portati corti, sia per tenere lontani i parassiti, ma probabilmente anche per indossare più comodamente l’elmo in battaglia.

Che cos’è il “fenomeno vichingo”? Erano dediti solo alla guerra, al saccheggio e allo sterminio?

Il “fenomeno vichingo” nasce durante l’Età del Ferro scandinava, un’epoca durante la quale, in alcune aree costiere della Norvegia, Svezia e Danimarca, si formarono alcuni centri di potere piuttosto solidi, gestiti da personaggi appartenenti a dinastie eminenti e sostenuti da una forte aristocrazia guerriera.

In questo quadro, verso la fine dell’Età del Ferro irruppe un elemento destinato a sconvolgere gli equilibri e a dare impulso a profondi cambiamenti: l’ideale di vita dei “Vichinghi”, che esaltava un principio di individualità inteso come tensione verso la realizzazione di obiettivi personali, di carattere tanto economico quanto politico e sociale.

I “Vichinghi” non furono – come la tradizione popolare si ostina a credere . un popolo, bensì degli individui che, in contrasto con la società tradizionale, perseguirono nuovi valori, spinti da aspirazioni di arricchimento e successo, diventando agli occhi del resto del mondo gli unici, temibili e terribili rappresentanti delle popolazioni del Nord. Tuttavia, bisogna precisare che gran parte degli abitanti della Scandinavia non partecipò a tali imprese, restando nelle proprie terre d’origine e continuando a vivere secondo i canoni della società contadina tradizionale.

Tra le cause del movimento vichingo ritenute più probabili c’era la crescita demografica, che sottrasse risorse a buona parte della popolazione, il raggiungimento di una tecnica nautica di livello molto elevato che permise di costruire imbarcazioni in grado di affrontare con notevole sicurezza il mare aperto, una trasformazione e un nuovo sviluppo del commercio tra la Scandinavia e gli altri Paesi, l’indubbia attitudine guerriera di questi uomini, il loro desiderio di affermazioni. Molto probabilmente nessuna di queste ipotesi può offrire da sola una soluzione al problema ed è ragionevole supporre che fattori diversi contribuirono in diversa proporzione al fenomeno. Si trattò comunque di un movimento nato nell’ambito di una aristocrazia rurale che, logorata da tensioni locali, cercò uno sbocco alle proprie ambizioni insoddisfatte al di fuori dalle terre di origine, e che solo in seguito prese la configurazione di spedizioni militari guidate da importanti sovrani scandinavi. 

E gli elmi con le corna? Li avevano veramente? Da dove nasce questo mito?

A parte alcune rappresentazioni di elmi rituali (con protuberanze che assomigliano a corvi stilizzati, serpenti o corna), non vi è stato alcun ritrovamento archeologico riconducibile all’ambito vichingo di elmi muniti di corna. La tipologia di combattimento norrena, in formazione compatta o a bordo delle navi, avrebbe reso poco fattibile l’impiego o il trasporto di tali manufatti. Si esclude pertanto che i guerrieri norreni avessero elmi muniti di corna, tuttavia resta incerto il fatto se ne esistessero per scopi religiosi o rituali.

La nascita del mito degli elmi con le corna è dovuta agli scrittori svedesi del XIX secolo, che con lo scopo di promuovere l’antica mitologia norrena come forma idealizzata di coraggio e orgoglio delle popolazioni scandinave, ricollegarono per sbaglio i contemporanei rinvenimenti di elmi cerimoniali con corna risalenti all’Età del Bronzo (elmi di Bohuslän e Vikso) alle popolazioni vichinghe.

In realtà il tipico elmo vichingo si presentava di forma conica, fatto di cuoio con rinforzi lignei e in metallo per le truppe regolari. L’elmo di ferro con maschera ed eventuale camaglio a protezione della gola era destinato ai capi, e la sua tipologia derivava dai precedenti elmi dell’Età di Vendel, tipica della Svezia centrale del VI-VII secolo.

Nelle serie tv recenti abbiamo visto una profusione di donne guerriere. Nei tuoi studi hai affrontato il tema del potere femminile nell’Alto Medioevo.  Che ruolo ricoprivano le donne nella società norrena?

Come altrove nell’Europa medievale, la maggior parte delle donne nella società vichinga era subordinata a mariti e padri e aveva scarso potere politico. Tuttavia, le fonti scritte descrivono le donne vichinghe come indipendenti e come detentrici di diritti. Da quanto riportato nel codice di leggi islandesi Grágás e in quelle norvegesi di Frostating e di Gulating, pare avessero più libertà di altre donne loro contemporanee.

La loro posizione sociale era assai legata a quella della propria famiglia prima e del consorte poi. Il matrimonio permetteva alle donne di acquisire il titolo di húsfreyja (signora della casa), cosa che assicurava sicurezza economica ed elevazione della posizione sociale. Oltre a governare all’interno delle loro dimore, le donne avevano anche un ruolo importante nella gestione delle risorse della fattoria, nella conduzione degli affari (soprattutto a causa delle frequenti assenze dei mariti) e nell’allevare i figli.

Rispetto ad altre donne ad esse contemporanee potevano divorziare dal marito e risposarsi. Inoltre, in caso di vedovanza, le mogli avevano il diritto di ereditare parte della proprietà del marito. Una donna nubile, invece, priva di figli o parenti maschi, ereditava alla morte del padre o del fratello non solo le loro proprietà, ma anche la posizione di capofamiglia, ruolo che avrebbero rivestito fino al momento di un ulteriore eventuale matrimonio, dopo il quale tali diritti venivano trasferiti al marito. 

Rivestivano anche ruoli religiosi, sia come sacerdotesse (gydja), sia come oracoli (sejdkvinna). Potevano essere attive nell’arte poetica (skalder), ma anche come maestre di rune, come mercanti e donne di medicina. Secondo alcuni studiosi, alcune ebbero addirittura ruoli militari: i racconto sulle shieldmaidens ad oggi non sono confermati, tuttavia il dibattuto ritrovamento, nella seconda metà del XIX secolo, di una sepoltura femminile di rango, completa di elementi di corredo riconducibili al mondo guerriero, rinvenuta a Birka e datata al X secolo, lascerebbe supporre che alcune donne appartenenti alle élites abbiano rivestito davvero ruoli di comando (non sappiamo se anche militari) e che il loro gruppo familiare dopo la loro morte volesse enfatizzare questo loro aspetto inumandole con elementi di corredo propri delle sepolture maschili di pregio. 

Queste libertà concesse alle donne andarono gradualmente a scomparire solo dopo l’introduzione del Cristianesimo, e a partire dalla fine del XIII secolo non si ha più alcuna menzione al riguardo. 

Quali armi usavano per combattere? L’ascia era veramente l’arma più comune?

Ciò che sappiamo dell’armamento di epoca vichinga è basato su ritrovamenti archeologici, su rappresentazioni su pietre runiche, racconti delle saghe norrene, e su norme del diritto norreno scritte nel XIII secolo. Sappiamo che a tutti i Norreni di condizione libera veniva richiesto di possedere armi, così come era permesso loro di indossarle, e che costituivano un simbolo distintivo di status sociale. Una persona ricca avrebbe posseduto un set di armi completo formato da elmo, scudo, se possibile una maglia di ferro e da varie armi da offesa. Un contadino medio, invece, avrebbe brandito lancia, scudo e forse uno scramasax (un coltellaccio ad un taglio).

Tra le armi da lancio, c’era l’uso di archi e frecce, di lance e asce da combattimento (impiegate sia per il combattimento corpo a corpo o da lancio). A queste potevano accompagnarsi armi da taglio come i sax/scramasax e le pregiate spathae. Quali armi da difesa figuravano gli scudi circolari con umbone centrale in metallo, cotte di cuoio o di tessuto, mentre più rari risultano gli elmi, le maglie di ferro (un singolo frammento è stato rinvenuto in una necropoli norvegese) e le armature lamellari.

Nel nostro immaginario i popoli norreni sono spesso legati a navi con le quali si spostavano lungo le coste per attaccare i villaggi. Ma i Norreni sono arrivati anche nell’odierno Canada e sulle coste del mediterraneo. Che sistema utilizzavano per navigare?

Le navi impiegate dai Norreni erano sicuramente il risultato di una tecnica di costruzione affinata nel corso dei secoli, grazie alla quale si arrivò a realizzare imbarcazioni destinate a usi diversi (militari, commerciali, per la pesca o anche, semplicemente, per brevi traghettamenti all’interno dei fiordi). Le fonti scritte non offrono molte informazioni al riguardo, a differenza delle informazioni ben più precise provenienti da fortunati ritrovamenti archeologici come quelli delle navi funerarie norvegesi di Oseberg, di Gokstad (ritrovate sotto tumuli nella regione di Vestfold), di Tune e di quella rinvenuta di recente a Gjellestad (in Østfold), oltre a quelle danesi di Skuldelev (nel fiordo di Roskilde: in questa località sono state rinvenute cinque diverse imbarcazioni, tre mercantili e due da guerra). Dapprima, l’assenza di bussole, carte nautiche e mappe favorì lo sviluppo di una navigazione di piccolo-medio cabotaggio, lungo le coste e i fiumi del Baltico settentrionale. A partire dall’XI secolo i viaggi si fecero sempre più ambiziosi, fino ad arrivare alle prime esplorazioni oceaniche a all’approdo sulle coste islandesi, groenlandesi e canadesi.

Secondo alcuni studiosi, accanto alle loro capacità data dall’esperienza e dalla familiarità con le maree, i tempi di navigazione o i punti di riferimento di percorsi noti, svilupparono anche sistemi di navigazione più avanzati che comprendevano l’utilizzo di una sorta di astrolabio primitivo, una meridiana tascabile in grado di riprodurre il percorso del Sole durante il giorno, fornendo così ai naviganti la possibilità di riconoscere il nord anche in giornate di scarsa visibilità. In varie saghe islandesi collocabili fra il XIII e il XIV secolo e in alcuni inventari di chiese e monasteri del medesimo periodo, vengono menzionate le cosiddette sólarsteinn, o “pietre del sole”. Nel Rauðúlfs þáttr, un breve poema allegorico islandese sulla vita di Sant’Olaf (Olav Haraldsson II, re di Norvegia, 995-1030), forse risalente al XII-XIII secolo, ne troviamo citato l’utilizzo durante la navigazione in condizioni di tempo nuvoloso. Alcuni ricercatori ipotizzano si trattasse di cristalli come lo spato d’Islanda, una varietà trasparente di calcite, tuttavia non abbiamo ritrovamenti che ne testimonino l’impiego reale. 

Il dibattito relativo all’esistenza di queste pietre è ancora aperto. In nessuna delle navi vichinghe rinvenute ne è mai stata ritrovata una, neanche tra gli elementi dei corredi funerari. Dall’altro lato,  però, si tratta di un materiale facilmente deteriorabile, che raramente si conserva. Nel 2018, alcuni ricercatori hanno svolto simulazioni al computer per verificare la fattibilità dell’utilizzo delle sólarsteinn in condizione nuvolose. Ebbene, i risultati ottenuti parrebbero mostrare che la navigazione polarimetrica del cielo sarebbe stata fattibile durante i giorni dell’equinozio di primavera e del solstizio d’estate, se il navigatore avesse determinato la direzione nord almeno una volta ogni tre ore,  e questo indipendentemente dal tipo di pietra solare utilizzata per l’analisi della polarizzazione del cielo. 

Questo spiega perché i gli antichi Norreni poterono governare l’Oceano Atlantico per trecento anni e poterono raggiungere l’America settentrionale senza una bussola magnetica

Grazie, Lorena, per le informazioni interessantissime che ci hai dato. Un’ultima domanda: ci consigli qualche libro per approfondire la storia e la cultura degli antichi popoli norreni?

Certo! Consiglierei Exploring the word of the Vikings, di Richard Hall, che ci dà un primo ma assai interessante approccio archeologico. In Italiano, invece, non si può fare a meno dei libri della filologa Gianna Chiesa Isnardi: I miti nordici (1991) e Storia e cultura della Scandinavia (2015).

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