25 Aprile 2024
Misteri vintage

La rivolta dei vaccini di Rio de Janeiro

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Il vaccino contro il vaiolo, introdotto da Edward Jenner nel 1798, fu una grandissima conquista. Per la prima volta si avevano le armi per contrastare una malattia dalla letalità altissima, che, quando non uccideva, lasciava spesso ciechi o sfigurati. Eppure questa innovazione non suscitò solo plausi, ma anche dubbi, opposizioni e – in qualche caso – vere e proprie rivolte.

Tra queste, particolarmente violenta fu la Revolta da Vacina, che scosse Rio de Janeiro tra il 10 e il 18 novembre 1904. I manifestanti si opponevano a una nuova legge che stabiliva l’obbligatorietà dell’antivaiolosa, fortemente voluta dal Direttore Generale della Salute Pubblica del grande paese sudamericano. Al termine degli scontri, la città fu totalmente devastata. Si registrarono saccheggi, morti e feriti; parecchi tram furono dati alle fiamme. Capire come sia potuto succedere – e perché si arrivò a quel punto – è interessante e forse anche istruttivo.

La Revolta è stata ampiamente studiata dai sudamericanisti e dagli storici sociali. È il caso di Thomas E. Skidmore, che ha ricostruito gli episodi più violenti e il loro contesto in alcune pagine del suo Brazil: Five Centuries of Change (Oxford University Press, II ed., 2009), mentre particolarmente completa è la voce di Wikipedia in portoghese.

Verso una nuova Rio

La Rio de Janeiro di inizio Novecento non era un gran posto per vivere. I poveri erano stipati in quartieri malsani, dove spesso scoppiavano epidemie di tubercolosi, morbillo, tifo, peste bubbonica, febbre gialla. Quest’ultima era forse la più temuta: tra il 1850 e il 1950 si portò via circa 60.000 abitanti. 

I primi anni del Ventesimo secolo coincisero con un notevole aumento della popolazione: gli ex schiavi (quella forma di servitù era stata abolita nel 1888), affluiti in città dalle campagne, si sommarono ai migranti in arrivo da Spagna, Italia e Portogallo. Tra il 1890 e il 1920, Rio de Janeiro passò da circa 500.000 abitanti a quasi un milione. La gran parte dei nuovi arrivati andava a formare una nuova classe di poveri, disposta a lavorare a prezzi più bassi di quelli correnti e a vivere ammassata in cortiços e estalagens: quartieri proletari sovrappopolati, con scarsi servizi e condizioni igieniche precarie.

Nel 1902, il presidente Rodrigues Alves lanciò un programma di modernizzazione della città, con l’idea di renderla più attraente per le élites economiche internazionali. Il suo progetto si ispirava alle grandi capitali europee: la nuova Rio avrebbe dovuto diventare la Parigi del Sudamerica, quella dei boulevards di Haussmann. Alves proibì l’allevamento di mucche e bestiame entro i confini cittadini, introdusse il divieto di sputare in pubblico e scoraggiò i mendicanti con arresti e ammende. 

Gli artefici del nuovo sogno brasiliano furono principalmente due: l’ingegner Francisco Pereira Passos (1836-1913, nella foto qui sotto), sindaco di Rio de Janeiro, e Oswaldo Cruz, (1872-1917), igienista, direttore generale della Salute Pubblica (in sostanza, un equivalente del nostro ministro della Sanità).

Pereira Passos lanciò una campagna soprannominata Bota abaixo, che letteralmente significa “butta giù”. Il fulcro degli interventi consisteva infatti nella demolizione sistematica delle casupole malsane in cui abitavano i più poveri. Al loro posto, edifici moderni, industrie, case di lusso e viali alberati. I meno fortunati – diseredati, ma anche la classe operaia – furono allontanati dal centro di Rio, dove gli affitti diventarono insostenibili, e obbligati a spostarsi in massa nelle periferie. In un lasso di tempo di quattro anni – tra il 1902 e il 1906 – circa 20.000 persone, in gran parte afrobrasiliani, furono costretti a lasciare le loro abitazioni. 

Fu proprio nel bel mezzo di queste trasformazioni sociali che scoppiò la Revolta da Vacina.

Una legge controversa

Quanto alla sanità pubblica, le riforme furono affidate a Oswaldo Cruz – un uomo che, dal punto di vista scientifico, sapeva il fatto suo. Pur giovanissimo, era uno dei più promettenti scienziati brasiliani, esperto in microbiologia e seguace di Pasteur; si era distinto, alcuni anni prima, nel contrasto all’epidemia di peste che aveva colpito il porto di Santos. I suoi primi interventi consistettero nell’eliminazione delle possibili fonti di contagio: la lotta alla peste venne condotta con la distribuzione di veleno per topi e con una gestione più oculata del trattamento dei rifiuti, mensa per i roditori; quella contro la febbre gialla, tramite le Brigadas Mata Mosquitos, che prosciugarono le pozze stagnanti e combatterono le zanzare casa per casa. Non è solo un modo di dire; le squadre sanitarie avevano facoltà di ispezionare, pulire, riparare e perfino demolire le case giudicate anti-igieniche: un sistema efficacissimo, ma fonte di risentimento tra la popolazione. 

Rimaneva il vaiolo: per eradicarlo, Cruz convinse il governo a varare la legge che rendeva obbligatorie le vaccinazioni. Il Congresso la approvò il 31 ottobre 1904, e subito montò la protesta. Al centro del dibattito, c’era in particolare la clausola che prevedeva l’uso della forza: gli ufficiali sanitari, accompagnati dalla polizia, avevano la possibilità di entrare nelle case e di vaccinare chi vi trovavano, volenti o nolenti. 

I giornali cavalcarono la protesta, paventando possibili rischi derivanti dai vaccini e alimentando la polarizzazione. Anche alcune associazioni mediche si schierarono contro la nuova legge. Ma allo scoppio della rabbia delle classi meno abbienti contribuirono anche una serie di voci, dicerie, supposizioni. Si diceva infatti che il vaccino dovesse essere somministrato nelle parti intime, o che quanto meno ci si dovesse spogliare. Non era vero, ovviamente: la puntura veniva eseguita sul braccio, e i pazienti avrebbero dovuto al massimo tirarsi su la manica. La nuova legge, però, garantiva davvero agli ufficiali sanitari la possibilità di entrare nelle case, anche in assenza del capofamiglia: le donne, magari lasciate sole dai mariti al lavoro, sarebbero rimaste in loro balìa? Avrebbero dovuto rimanere nude di fronte a loro, senza l’occhio vigile di un parente? La cosa non era considerata accettabile: era questione di onore, prima che sanitaria. 

Le voci più estreme, tuttavia, sono quelle che il 22 ottobre scorso ha ricordato il quotidiano brasiliano O Estado de S. Paulo. I politici contrari alla vaccinazione non esitavano a riprenderle un po’ tutte, da quelle secondo cui il siero avrebbe provocato meningite, epilessia, cancrene, sino a quelle secondo le quali avrebbe fatto assumere caratteristiche da bovino: pelame, zoccoli, crescita di corni! Gli effetti dell’obbligo e della reazione collettiva furono rilevanti: per diversi mesi il numero delle nuove vaccinazioni decrebbe in maniera significativa. Come si vede dall’immagine in evidenza, i quotidiani satireggiavano sulla situazione: l’obbligo vaccinale era come una bomba pronta ad esplodere. La miccia era accesa. 

L’inizio delle rivolte

Il 5 novembre 1904, le voci di opposizione si coagularono nella formazione della Liga contra a Vacina obrigatória: un eterogeneo gruppo composto da politici di destra – che non vedevano di buon occhio l’intrusione del governo nelle vite e nelle case dei cittadini – insieme a operai, studenti, giornalisti, militari, sindacalisti. In comune, avevano solo la contrarietà alla nuova legge, che vedevano come una violazione dei diritti dell’individuo: una dittatura sanitaria, qualcuno direbbe oggi. 

L’escalation fu rapida: all’uscita di un raduno della nuova Liga, alcuni giovani si misero a discutere con un agente di polizia. Furono arrestati. La folla si radunò intorno al commissariato presso il quale erano stati condotti, e più di una volta si dovette disperderla con la cavalleria.

Il 10 novembre, alla vigilia dell’entrata in vigore della nuova legge, iniziarono le rivolte vere e proprie: barricate, negozi saccheggiati, attacchi alle forze dell’ordine con pietre e bastoni. I più poveri si lanciarono alla riconquista del centro cittadino, da cui erano stati scacciati, accanendosi contro i simboli della modernizzazione: i pali della luce vennero abbattuti, le rotaie dei tram divelte, le vetture rovesciate e date alle fiamme (una foto dalla stampa del tempo, qui sotto). Furono tagliate le linee del gas e dell’acqua. La città era nel caos.

Secondo gli storici, la rivolta fu in parte pilotata da un politico, Lauro Sodré – un senatore del Congresso federale dello Stato di Pará, di orientamento positivista, che cercò di approfittare del caos per innescare un colpo di stato. Il culmine si ebbe il 15 novembre, con l’ammutinamento dei cadetti della Scuola militare di Praia Vermelha. 

La repressione dei moti

La risposta delle autorità centrali fu energica: venne proclamato lo stato di assedio, le forze dell’ordine scesero in campo in maniera massiccia su ordine del presidente. Ma soprattutto, al contempo, Alves annunciò la sospensione della controversa legge sulle vaccinazioni. 

I manifestanti furono scacciati dalle loro roccaforti dopo una serie di scontri. Alla fine, verso il 18 novembre, tornò la calma. Il bilancio fu di decine di vittime (secondo alcune stime, ci furono 30 morti e un centinaio di feriti); gli arrestati furono 945. Alcuni dei rivoltosi furono condannati a lunghe detenzioni, ma con forti differenze tra le classi sociali. I cadetti della Scuola militare se la cavarono con un’amnistia. I più poveri finirono nelle prigioni dell’Isola das Cobras. Circa cinquecento furono deportati nella regione dell’Acre, al centro del Paese, a quel tempo semi-disabitata. 

Le vaccinazioni, non più obbligatorie, andarono comunque avanti, anche se a rilento – ma soprattutto non si fermò il rinnovamento architettonico di Rio. Anzi, in un certo senso, le rivolte accelerarono il processo. Nel 1908-09 ricomparve il vaiolo e circa 9000 persone ne morirono. Venne organizzata una nuova campagna vaccinale, ma questa volta non si ebbero rivolte: l’immunizzazione non era più legata al processo di modernizzazione della città, ma soltanto alla tutela della salute pubblica.

La rivolta fu raccontata, da parte della stampa e da Alves stesso, come una dimostrazione dell’ignoranza in cui giacevano le classi più derelitte – una sommossa organizzata da barbari, residui viventi del Medioevo. Ma la Revolta non fu quello, o almeno non solo: dietro c’erano complesse motivazioni sociali e il disagio per la trasformazione forzata di Rio de Janeiro, che presto sarebbe diventata una delle maggiori metropoli del continente. 

Se le rivolte avvenute nel 1904 possono insegnarci qualcosa è che difficilmente l’opposizione ai vaccini è solo una questione di incomprensione della scienza – di efficacia, sicurezza, costi e benefici di un farmaco. Nel caso brasiliano, c’era dietro la rabbia per l’interferenza del governo nelle vite dei singoli, la frustrazione per l’impoverimento della classe operaia e per quel piano di modernizzazione – la nuova Rio a misura di ricco, destinata ad espellere una parte della sua popolazione. Così ha ricostruito quel periodo di voci, paure, ribellismo, superstizioni e paure di ogni tipo lo storico brasiliano Nicolau Sevcenko nel suo A revolta da vacina: mentes insanas em corpos rebeldes (Scipione, San Paolo, 1993).

L’obbligatorietà del vaccino brasiliano era una questione politica, molto più che un problema medico: un’imposizione contro cui convergevano legittime paure e rivendicazioni sociali. La Revolta da Vacina è stata più volte raccontata soltanto come una guerra tra i fautori delle vaccinazioni e una congrega di retrogradi no-vax, tra la scienza e l’ignoranza. La realtà storica, come spesso accade, è più complicata.

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