24 Aprile 2024
Approfondimenti

FBI e Protocolli antisemiti

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Che cosa ci fa il più famigerato dei falsi documenti antisemiti, i Protocolli dei Savi anziani di Sion, su un sito legato all’FBI, l’agenzia degli Stati Uniti che si occupa di terrorismo e di altre minacce interne? La domanda è lecita, perché uno strano episodio  – con il suo strascico di polemiche – si è verificato il 19 agosto. 

L’account Twitter ufficiale dell’agenzia che si occupa di gestione delle documentazioni (@FBIRecordsVault), ha infatti lanciato il link a un fascicolo declassificato, accompagnandolo soltanto con la laconica dicitura Protocolli dei Savi anziani di Sion. La cosa non è passata inosservata: numerosissimi i commenti, le proteste, le richieste di chiarimenti. I Protocolli, come ben noto, sono un falso storico che nel corso del Ventesimo secolo è stato usato per giustificare le persecuzioni contro gli ebrei e che li accusa di cospirare ai danni del resto del mondo per sottometterlo. Alcune persone, erroneamente, hanno visto nel tweet dell’FBI una conferma “autorevole” della veridicità del documento.

Emblematico al riguardo un articolo di DatabaseItalia.it, ormai diventato uno dei maggiori veicoli di tematiche cospirazionistiche nel nostro Paese:

Oggi è apparso sull’account ufficiale del Dipartimento dell’FBI sulla Gestione delle Informazioni e Comunicazioni il famigerato Protocollo (sic) dei Savi di Sion, con tanto di link che riporta al sito dell’FBI in cui si pubblicano tutti i Protocolli Declassificati risalenti all’indagine richiesta da Edgar Hoover nel 1949, perché già all’epoca ritenuti pericolosi per la Libertà e la Sovranità degli Stati Uniti D’America. […] Siamo stati per anni tacciati di Complottismo, mi ricordo anche l’attacco ad Elio Lannutti per averne parlato, che venne deriso in tanti articoli e giornaletti. Ora lo pubblica l’FBI e dichiara in un Twitt (sic) successivo che “L’FBI deve elaborare i file storici raccolti in passato, alcuni dei quali possono essere considerati offensivi” e che “il materiale è stato pubblicato tramite un processo automatizzato senza delineare ulteriormente il contesto dei documenti. Ci rammarichiamo che questo rilascio possa aver causato inavvertitamente angoscia tra le comunità che serviamo.” L’importanza di questo evento è epocale e il messaggio sotto inteso ben chiaro e forte.

Beh, l’evidenza spinge a concludere una cosa sola: definire quel tweet un “evento epocale” ci sembra – diciamo – un pochino esagerato. 

A conferma del fatto che l’agenzia non intendesse in alcun modo sostenere nemmeno per un nanosecondo l’autenticità dei Protocolli, il giorno successivo al suo invio, il 20 agosto, l’account FBI Records Vault ha cancellato il tweet e ha spiegato (qui e qui) che si era trattato di un post inviato in modo automatico. Come ha fatto notare Open, la cosa è del tutto plausibile, visto che il link è stato postato tramite un’app gestionale denominata GovTweetManager

Il problema è che l’utente medio di Twitter non ha un’idea chiara di cosa sia FBI Records Vault e che tipo di documenti pubblichi via via, e sulla base di quali pluridecennali disposizioni di legge lo faccia. L’altro, forse più insidioso, è che ben pochi (sia tra chi si è scagliato contro il tweet, sia tra chi vi ha visto una conferma della veridicità degli pseudo-documenti) si sono presi la briga di leggere tutte le 139 pagine del pdf linkato. Ecco, quindi, un po’ di contesto per capire meglio perché quei documenti si trovano lì e che cosa dicono, una volta che li si guardi con l’occhio della razionalità dello storico. 

Che cos’è “The Vault”

Diciamolo subito: The Vault è un archivio storico in rete, una biblioteca digitale dei documenti raccolti nel tempo dall’FBI e poi desecretati grazie alla Legge sulla libertà d’informazione, più nota come FOIA (Freedom of Information Act). 

The Vault (“La cripta”, come ironicamente la stessa FBI l’ha chiamata) è dunque parte degli effetti di una legge storica, dalle conseguenze stavolta sì davvero epocali, quella voluta dal presidente Lyndon Johnson nel 1966, legge che sancì il diritto dei cittadini alla trasparenza della pubblica amministrazione e che aprì gli archivi di innumerevoli enti pubblici statunitensi a storici, cronisti e semplici curiosi (ad esempio, è in questo modo che nel 1976 furono resi accessibili gli incartamenti del Project Blue Book dell’Aeronautica sugli UFO, che era cessato nel 1969). 

The Vault contiene attualmente circa 7000 file digitalizzati, ricercabili tramite OCR (anche se, come accade sempre in questi casi, non sempre le parole vengono interpretate in modo corretto e i risultati restituiti lasciano un po’ a desiderare). 

Una gran parte di quell’archivio, comunque, è rappresentata dalla corrispondenza: le lettere che gli “informatori” (cioè contatti, agenti, funzionari pubblici, semplici cittadini) scrivevano all’FBI o a J. Edgar Hoover, che ne fu dispotico direttore per 48 anni (dal 1924 al 1972). Il dossier che ci interessa, quello sui Protocolli, è proprio di questo tipo: si tratta infatti in gran parte di un collage di missive arrivate all’agenzia in anni compresi fra il 1941 e il 1971.

Tra i documenti più consultati su The Vault, ovviamente, ci sono quelli legati a misteri e fatti controversi, come quelli sulle leggende sulla sopravvivenza di Adolf Hitler dopo il 1945 (l’FBI e la CIA indagarono attivamente su alcuni di questi rumors, concludendo che si trattava di fantasie) e quelli sugli UFO. Anzi, proprio in Italia è comparso uno dei libri più completi sui dossier ufologici rilasciati dall’FBI grazie al FOIA, quello dell’ufologo del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU) Paolo Toselli (FBI Dossier UFO, Armenia, Milano, 1996). 

Nonostante quei documenti siano online almeno dal 1998 (per non dire che erano comunque pubblici da molto prima), ciclicamente gli appassionati di UFO riscoprono i “nuovi documenti desecretati” su The Vault e se ne entusiasmano: è il caso del Memo Hottel (una delle pietre miliari del mito dei dischi volanti precipitati, ma in realtà frutto dell’invenzione di due truffatori che per un po’ frequentarono alcuni giornalisti della rivista di spettacolo Variety, intorno alla quale ruotava il jet set  Usa), o di Round Robin (in realtà, una rivistina californiana di esoterismo, piena di idee rielaborate dalla Teosofia). E così, questi appassionati si lanciano per l’ennesima volta in dichiarazioni roboanti secondo cui “l’FBI ammette l’esistenza degli UFO”. Non è così. Quei memorandum ci dicono pochissimo su cosa fossero davvero i dischi volanti, ammesso siano mai esistiti. Ci dicono molto, invece, su come erano percepiti dal pubblico, quali ipotesi fiorissero intorno alla loro natura, quali documenti fossero raccolti dalle autorità americane, e – in misura ancora maggiore  – quale logica le muoveva, nel periodo fra la seconda metà degli anni ‘40 e la fine degli anni ‘60 del Novecento.

Che cosa sono i Protocolli

Dunque, abbiamo detto che il file linkato dall’account @FBIRecordsVault contiene alcune lettere spedite all’FBI (spesso indirizzate senza intermediari al direttore Hoover). Per capire perché venissero segnalati di tanto in tanto all’agenzia, occorre però spiegarne il contenuto – e anche l’immensa popolarità di cui malauguratamente godettero.

I Protocolli dei Savi anziani di Sion furono creati negli ultimi anni del Diciannovesimo secolo, probabilmente dai servizi segreti zaristi, l’Ochrana. Nella loro prima diffusione pubblica, avvenuta nel 1903 ad opera del giornale reazionario Znamya, avrebbe avuto un ruolo fondamentale un “mistico” ortodosso che aveva in odio gli ebrei, Sergei Nilus. Pare tuttavia certo che  alcune versioni dei Protocolli esistessero in circoli antisemiti parigini già da qualche anno: proprio a Parigi, del resto, l’Ochrana aveva uno dei suoi principali gruppi di agenti di propaganda. Dopo la presa del potere dei bolscevichi nel 1917, gli esuli zaristi russi diffusero il testo (originariamente in cirillico) in quasi tutte le lingue del continente europeo e negli Stati Uniti. Alla fine degli anni ‘20 i Protocolli erano diventati un must per chiunque avesse in odio il popolo d’Israele. 

In sostanza, i Protocolli mimano dei veri documenti, come accaduto mille volte nella storia dei falsi archivistici. Pretendono di riprodurre i verbali, o meglio, minute di verbali, di una riunione segretissima dei capi di una fantomatica rete internazionale ebraica, gli “Anziani di Sion”, che si sarebbe tenuta a fine Ottocento. Questi “capi” avrebbero elaborato una serie di 24 istruzioni – i protocolli, appunto – il cui scopo era impadronirsi del potere mondiale suscitando guerre, riducendo in miseria i non ebrei, distruggendo la fede cristiana e infiltrando i propri adepti in ogni ganglio della società (istruzione, stampa, governi, eserciti, chiese). Lo strumento principale per raggiungere questi turpi obiettivi era rappresentato dal sistema bancario internazionale (il cui controllo ebraico è argomento ossessivo, nei Protocolli) e dalla Massoneria, vista come un’emanazione diretta degli ebrei. Una guerra mondiale sarebbe stato il culmine di questo periodo – deciso a tavolino – di caos e di sconvolgimenti. 

In Italia questi deliri arrivarono nel 1921, quando il fascista e razzista Giovanni Preziosi (che sarebbe poi diventato Ispettore generale per la demografia e la razza sotto la Repubblica Sociale) ne curò la traduzione da una versione inglese per le edizioni Vita italiana. Non importava che già quello stesso anno i Protocolli fossero stati identificati dai giornalisti del Times per quello che erano: un falso costruito facendo un collage di romanzi e di opere satiriche basate sui più vieti stereotipi. In seguito, in specie con la seconda edizione, curata ancora da Preziosi sedici anni dopo, nel 1937, e subito ristampata più volte, la loro triste fama giunse all’acme. Il testo cadeva a fagiolo per la propaganda antiebraica, che ormai anche in Italia stava diventando martellante. Essa sfocerà l’anno successivo, il 1938, nell’abisso delle leggi razziali.

Il colmo fu raggiunto da colui che scrisse l’introduzione dell’edizione 1937, l’esoterista e maître à penser di intere generazioni della destra radicale, Julius Evola. Evola, che si voleva filologo raffinato, in sostanza scriveva che sì, i Protocolli erano un falso, ma precisando che, anche senza quelli, gli ebrei, con le loro trame malvagie, rimanevano la maggior minaccia per la mitica civiltà “tradizionale” di cui Evola era uno degli araldi più estremi. Per lui i documenti erano falsi, ma dicevano la Verità.

Naturalmente, una Verità con la “V” maiuscola, per Evola.

Perché quel fascicolo è sul sito dell’FBI?

I Protocolli furono, quindi, un prodotto dell’odio antiebraico diffuso in Russia, ma fra le due guerre mondiali incredibilmente popolari e utilizzati a fini di propaganda in ogni angolo del mondo. È proprio per questo che li troviamo ogni tanto segnalati al Bureau a partire dagli anni del secondo conflitto mondiale e nei decenni successivi. La prima menzione da parte del pubblico presente nel fascicolo è del 1941, quando il mondo (ma non ancora l’America) viveva già la tragedia bellica. Le fonti fanno sospettare che qualche funzionario dell’FBI fosse incline a ritenere attendibili i Protocolli. Il 4 novembre 1941 il vice-direttore dell’FBI, Percy E. Foxworth (1906-1943), scrisse a Hoover mandandogliene una copia e affermando che secondo un informatore un esemplare dei Protocolli era in mano al magnate dell’industria automobilistica, Henry Ford. Per inciso: Ford era un antisemita sfegatato. I libelli da lui fatti diffondere nel 1920, The International Jew, costituirono una delle maggiori fonti d’ispirazione per Hitler nella stesura del Mein Kampf. 

Nel dopoguerra, alla paura degli ebrei si sovrappose e in parte si sostituì, fondendosi al timore per l’espansionismo sovietico e per un assai più improbabile “complotto interno”, un’altra psicosi. Ci riferiamo a quella che fra il 1950 e il 1953 ammorbò la vita sociale degli Stati Uniti a causa della mentalità paranoica del senatore McCarthy e della sua Commissione senatoriale d’indagine sulle “attività comuniste in America”. Per alcuni tra coloro che zelantemente contattavano l’FBI, gli ebrei ora congiuravano per instaurare un governo comunista negli Stati Uniti (così come un tempo avevano cospirato insieme alla Massoneria, spauracchio reazionario di inizio Ventesimo secolo). Nel dossier, va detto, ci sono anche documenti che dimostrano che l’FBI conosceva bene la natura dei Protocolli e che non la mise mai in discussione. A pagina 113 del file di The Vault, ad esempio, troviamo uno studio del 1964 prodotto da una sottocommissione del Senato USA intitolato senza possibilità di equivoci“Protocols of the elders of Zion”, a fabricated “historic” document (“I Protocolli degli anziani di Sion”, un falso documento “storico”).

Alcuni dei mittenti delle lettere, invece, sembravano genuinamente in dubbio, e chiedevano a Hoover di fornire qualche informazione in più. È il caso di una lettera scritta probabilmente da un pastore e inviata il 9 dicembre 1964. Il mittente faceva parte della congregazione di Elmira (New York) di una chiesa protestante, la Church of Christ.

Ritengo che la minaccia del comunismo sia assolutamente concreta, ma ho ricevuto un po’ di scritti da gruppi che sostengono che vi sarebbe una cospirazione ebraica internazionale che muoverebbe il complotto comunista attraverso i “Protocolli dei Savi anziani di Sion” e il ritorno dei cazari russi. La cosa mi sembra piuttosto fantasiosa, ma molti fra i miei fratelli di chiesa l’accolgono come verità e alcuni la propagandano attivamente. L’FBI ha notizie sul sionismo internazionale? È stato investigato il legame fra il complotto comunista e gli ebrei, e, se sì, quali sono i risultati? […] Mi può aiutare? Forse mi dirà che è tutto vero. Comunque sia, apprezzerò l’aiuto che potrà darmi, perché mi sarebbe di grande aiuto essere aggiornato sulla questione, per rispondere al meglio… 

Ma, a chi scriveva, che cosa rispondeva l’FBI? Replicava ringraziando, senza compromettersi troppo, lodando lo zelo del cittadino medio americano, così attento alla tenuta della società e al suo buon andamento. Quel che interessava ai funzionari addetti a vagliare quelle “notizie” non era spiegare agli interlocutori che si trattava di invenzioni antisemite. La priorità era che un flusso di notiziole, pettegolezzi, ripicche sul vicino, dettagli sulla vita privata altrui arrivasse in quei colossali archivi sui quali Edgar Hoover poteva, a ogni istante, mettere le mani. Nel dicembre del 1965, all’ennesimo invio dei Protocolli, veniva risposto – vero o meno che fosse – che il direttore Hoover in persona aveva apprezzato la cosa, come si può leggere qui.

Un po’ come avveniva per le segnalazioni di dischi volanti, le missive strampalate di inventori di “dischi”, la gente che diceva di aver visto extraterrestri sbarcare dalle astronavi nelle campagne americane o che invocava “indagini ufficiali” sul fenomeno, le ricevute di riscontro erano assai diplomatiche. I mittenti non erano pericolosi, non minacciavano l’ordine pubblico e non valeva la pena maltrattarli per lettera, magari col rischio di attirarsi le lamentele dei rappresentanti alla Camera di questo o di quell’elettore convinto della realtà dei “dischi”. 

Un articolo sui Protocolli uscito proprio in questi giorni a firma dello studioso americano Yari Rosenberg, mostra che la corrispondenza da parte del pubblico era infarcita di mitologia antisemita e di denunce del “complotto contro la civiltà”. Anche a fronte delle più aperte oscenità razziste, nel complesso le repliche dei funzionari dell’FBI si mantenevano assai misurate, pure quando, stando a una lettera datata 20 gennaio 1964, un cittadino di Columbia (South Carolina) affermò che i Protocolli erano una prova che 

il comunismo è un complotto mondiale ebraico per rendere schiavi i Gentili creando guerre e rivoluzioni. 

Ecco, quindi, perché quei documenti si trovano negli archivi dell’FBI. Ci sono perché effettivamente alcune persone, purtroppo, li ritenevano autentici, e perché, arrivando a fare un’equivalenza fra ebrei e comunismo, pensavano di segnalare una minaccia a chi poteva provvedere. 

Più che darci informazioni su un inesistente piano di dominio del mondo, il dossier dell’FBI ci fornisce uno scorcio sulla storia del pensiero antisemita in America. E di come un palese falso fosse arrivato a sedurre anche diversi informatori dell’FBI – che, pare di capire – era ben conscia della sua falsità, ma ringraziava con condiscendenza. Un atteggiamento che, pur al netto delle spiegazioni che oggi si possono avanzare, era forse eccessivo, e anche irresponsabile.

Gli autori ringraziano Daniela Rana, studiosa di storia dell’antisemitismo e volontaria del gruppo CICAP Piemonte, per la rilettura della bozza e per le osservazioni e consigli.

Un pensiero su “FBI e Protocolli antisemiti

  • Ottimo articolo, ne auspicherei uno dello stesso livello su QAnon.

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