La plasmaterapia e il dott. De Donno: un discutibile incontro a Collepasso

È stata chiamata “infodemia”: si tratta della diffusa e incontrollata epidemia di false notizie che rappresenta un problema reale per quanto riguarda la pandemia di CoViD-19, perché la prima condizione per stimolare comportamenti corretti è proprio quella di fornire informazioni accurate.

Quando ho saputo che poco distante da casa mia, a Collepasso, in provincia di Lecce, era stato organizzato un incontro con uno dei protagonisti del dibattito sul coronavirus, il dott. Giuseppe De Donno, ho pensato che partecipare avrebbe potuto offrirmi lo spunto per interessanti riflessioni su questo argomento. Primario di Pneumologia all’Ospedale “Carlo Poma” di Mantova, De Donno è stato recentemente oggetto di grande attenzione mediatica per il suo ruolo nella sperimentazione della plasmaterapia nella cura di alcuni pazienti affetti dalla CoViD-19. La terapia prevede che al paziente trattato venga infuso il plasma di un convalescente che contenga una quantità elevata di anticorpi contro la malattia (e per questo detto “iperimmune”), allo scopo di migliorarne le condizioni cliniche e agevolarne la guarigione.

A questo proposito, è bene precisare che argomento di questa disamina non è la sperimentazione della terapia con il plasma iperimmune, che ha dato alcuni promettenti risultati e che è oggetto di una serie di studi da parte di diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo, tra cui uno italiano, recentemente autorizzato dal Ministero della Salute, dall’Istituto superiore di sanità e dall’Agenzia italiana del farmaco, che vede come capofila l’ospedale “Cisanello” di Pisa. I tempi, purtroppo sempre piuttosto lunghi, della scienza permetteranno di chiarire potenzialità, limiti e campi di applicazione di questa terapia, che si spera rappresenti una buona strategia nel contrasto della malattia provocata dal nuovo coronavirus. Questa, però, è una riflessione sulle modalità con cui si decide di fare comunicazione della scienza con il patrocinio di enti pubblici, che conferisce all’evento una veste di ufficialità.

L’evento al quale ho preso parte era intitolato “Etica e solidarietà” e, oltre all’ospite d’onore, il dott. Giuseppe De Donno, prevedeva la partecipazione del sindaco del comune di Collepasso e di due noti medici in servizio in strutture ospedaliere salentine. Al patrocinio del comune si affiancava quello di ben 24 associazioni, tra cui Fidas, AIDO, Protezione Civile e molte altre. Il primo pensiero che mi è venuto in mente, all’atto di leggere dell’incontro, è stato che la focalizzazione sull’etica sembrava in contrasto con la scelta dell’ospite principale. Recentemente il dott. De Donno è stato, infatti, coinvolto in una serie di vicende non ancora perfettamente chiarite e che riguardano, appunto, la sfera dell’etica. Senza addentrarci eccessivamente nei particolari, recenti inchieste giornalistiche hanno puntato il dito su alcuni atteggiamenti del dottore che farebbero pensare a un eccessivo desiderio di protagonismo e a un inopportuno indulgere all’autocelebrazione e al vittimismo. Tra i risvolti più surreali, vi è la creazione di un finto account Facebook attribuito a un ricercatore statunitense, i cui post prendevano le difese e tessevano le lodi di De Donno. Colto in fallo da un’inchiesta giornalistica, il dottore ha, infine, dovuto ammettere che il profilo era un account fake gestito da lui, in violazione delle norme di utilizzo di Facebook. Le giustificazioni accampate sono apparse molto fragili. Accanto a questi aspetti involontariamente comici, sono emersi particolari ben più seri, tutti da appurare e verificare naturalmente, ma che probabilmente avrebbero dovuto indurre il comune di Collepasso a maggiore riflessione prima di conferire il patrocinio all’iniziativa. Attendere che tutto venisse chiarito avrebbe probabilmente impedito di sfruttare l’attuale esposizione mediatica dell’ospite, ma avrebbe rappresentato un atto di maggiore considerazione verso la comunità, senza per questo aver alcuna intenzione di ritenere aprioristicamente fondati i rilievi mossi al dottore. D’altra parte, nel corso della serata veniamo a sapere che l’incontro ha avuto come promotore un gruppo Facebook che conta quasi 128mila iscritti, dal nome “Io sto con il dott. De Donno”. Si tratta, quindi, di un’iniziativa sostenuta da un gruppo di fan, che probabilmente l’amministrazione comunale non avrebbe dovuto ratificare acriticamente concedendo il “marchio di qualità” del proprio patrocinio, considerato soprattutto il tono fortemente celebrativo, ai limiti della venerazione, di molti post presenti nella pagina in questione, che ospita anche diversi interventi di natura antiscientifica e complottista. Lo stesso discorso può valere almeno per le più prestigiose associazioni coinvolte. A onor del vero, bisogna dire che anche altri enti pubblici salentini non sembrano essersi posti il problema di attendere che tutti i dubbi siano chiariti: per esempio, De Donno è stato invitato a parlare con gli studenti del liceo scientifico “Leonardo Da Vinci” di Maglie e gli è addirittura stata conferita la cittadinanza onoraria del Comune di Lequile, quando già erano state sollevate tutte le questioni cui prima si accennava.

Venendo al contenuto degli interventi, devo purtroppo confermare che gli standard della buona comunicazione della scienza non sono stati rispettati. L’impressione che ne ho ricavato è che la celebrazione e l’autocelebrazione abbiano avuto un ruolo preponderante rispetto all’esposizione dei fatti e al desiderio di informare. Per esempio, sono stata negativamente colpita dal fatto che da parte dei medici intervenuti, oltre che da De Donno, le lodi tributate alla terapia con il plasma iperimmune siano state incondizionate e non si sia cercato in alcun modo di sottolineare le tante incertezze ancora collegate al suo impiego contro la CoViD-19. Allo stesso modo, sia il dottore sia gli altri medici hanno presentato la plasmaterapia come pressoché l’unica strada percorribile, dato il misero fallimento delle altre terapie. «Affermare questo significa dire una cosa scorretta», sottolinea Enrico Bucci, biologo, adjunct professor presso la Temple University di Philadelphia e studioso di etica della ricerca scientifica. «Basta, infatti, partire dai trial clinici che hanno dimostrato l’efficacia di remdesivir, tocilizumab e desametasone. Peraltro, l’ultima revisione Cochrane di 20 studi clinici sull’uso del plasma iperimmune conclude che i benefici sono dubbi», aggiunge. La situazione qui illustrata è chiaramente relativa al momento in cui si scrive. Sono ancora molte le incertezze sul nuovo coronavirus e le sperimentazioni sulle possibili terapie sono, per lo più, nella fase iniziale. Via via che si accumulano i dati, l’idea che abbiamo sulla malattia e sulle sue cure va gradualmente precisandosi, quindi ogni affermazione troppo perentoria e che dia l’impressione di provenire da un quadro di certezze è da considerarsi inopportuna. I tempi della scienza sono lenti e le prime impressioni sono sempre suscettibili di revisioni o totali capovolgimenti. Un’espressione come “proiettile magico”, usata da De Donno e riferita al plasma iperimmune e alla sua efficacia contro la CoViD-19 appare, a mio avviso, fuori luogo.

Mi ha anche colpito in negativo il fatto che si sia deliberatamente sorvolato sui rischi connessi all’uso della plasmaterapia, dal momento che gli effetti avversi si ridurrebbero al massimo, nelle parole del dottor De Donno, a una lievissima orticaria, che si può avere anche con il paracetamolo. Ora, io non ho problemi ad accettare il fatto che questi possano essere stati gli unici piccolissimi problemi riscontrati nei pazienti direttamente trattati dal dottore, né ho elementi di alcun tipo per affermare il contrario, ma i dati che emergono in letteratura non confermano questo assunto:

«Si sono, infatti, avuti casi di shock anafilattico fin dal suo uso in Cina», sottolinea Bucci, che aggiunge: «nessuna terapia è priva di rischi, e certamente alcuni rischi devono essere considerati nell’uso dei plasmaderivati, che sono infatti monitorati e tenuti sotto controllo. Il bilancio rischi/benefici in questo momento non ha senso, perché, come visto dalla citata revisione Cochrane, non è ancora provato il beneficio».

I plasmaderivati, in Italia, hanno oggi elevati standard di sicurezza, questo è vero, ma negare i rischi sulla base della propria esperienza non è un atteggiamento corretto sul piano scientifico e comunicativo. Si può, inoltre, notare come la presenza di gravi effetti avversi, collegati, con diversi gradi di probabilità, al trattamento, sia stata segnalata proprio in uno studio presentato da ricercatori di Pavia e Mantova, che ha anche De Donno tra gli autori.

In generale, si può dire che il discorso rientri nella antiscientifica confusione tra aneddotica e medicina basata sulle prove (derivanti da una grande quantità di dati, provenienti da studi di buona qualità), che dovrebbe essere ben presente a chi si occupa di scienza.

Senza chiaramente voler negare i meriti del dott. De Donno, sui quali non ho elementi per esprimermi, ho trovato particolarmente fastidioso il sottolineare primati che non sembra possano essergli attribuiti, come il parlare di “scoperta”, con riferimento alla plasmaterapia per la CoViD, o usare espressioni di significato simile, da parte di alcuni degli intervenuti: sicuramente si tratta di banali errori, che però possono far passare un messaggio scorretto. Lo stesso De Donno, nel proprio intervento, sottolinea il primato, visto che, a suo dire, i ricercatori cinesi, pur avendo avuto l’idea, avrebbero sbagliato nell’arruolamento dei pazienti, tanto che i risultati ottenuti li avrebbero portati a sospendere i trattamenti dopo cinque pazienti. Se questo è il parere di De Donno (o anche di altri, di cui non abbiamo notizia), si tratta comunque di una valutazione soggettiva. Il dato dei cinque pazienti deriva probabilmente da questo editoriale pubblicato su JAMA, ma l’affermazione sull’erroneo arruolamento risulta poco chiara. Chiosa Enrico Bucci:

«Non risulta che i cinesi abbiano “sbagliato l’arruolamento”. Per esempio, l’articolo di aprile pubblicato su PNAS, non pare sia stato ritrattato o corretto. Le critiche di De Donno, per essere valutate nel merito, dovrebbero essere meglio specificate». Allo stesso modo, almeno esagerate o imprecise sembrano essere le affermazioni sul primato nel trattamento con il plasma iperimmune su pazienti gravide, con risultati positivi sulla madre e sul feto. Aggiunge Bucci: «Se ci si sta riferendo all’articolo di De Donno del 3 luglio, si può notare come vi siano articoli molto precedenti; per esempio in questo lavoro si rimanda a uno studio precedentemente pubblicato su una paziente trentunenne incinta con grave insufficienza respiratoria, trattata con plasma».

Capisco che un evento divulgativo e aperto al pubblico debba per forza comportare delle semplificazioni, ma è sempre importante, soprattutto quando si parla di medicina, evitare che passino informazioni palesemente false, che potrebbero portare a valutazioni scorrette.

Al di là dei dati scientifici, ho anche trovato inopportuno il tono di alcuni passaggi, per esempio l’enfasi con la quale il dottore ha sottolineato il fatto che i suoi ematologi sono rassegnati a non avere il premio Nobel, perché già assegnato con la pandemia della spagnola. A parte l’errore nell’indicare le cause del Nobel del 1901 (d’altra parte, l’epidemia di spagnola è successiva), in realtà legato soprattutto all’uso del plasma contro la difterite, non si vede il motivo di rimarcare in modo così enfatico, quasi fosse un’ingiustizia, il fatto che non sia possibile assegnare il premio per una terapia già da tempo entrata nella pratica clinica per diverse malattie. Così come altri passaggi, sembra che il discorso mirasse solo ad accattivarsi l’uditorio.

A tratti vengono anche lanciate allusioni a presunti complotti: la terapia con il plasma iperimmune sarebbe stata boicottata perché non si sarebbe voluto far passare il concetto della sua efficacia; le case farmaceutiche hanno manifestato tardivamente interesse per la terapia e solo ora si vedrebbero segnali positivi etc. Qua e là alcune affermazioni sembrano mirare a dipingere l’immagine di un eroe del bene, che non esita a fare “più di uno strappo” alle regole pur di offrire il proprio aiuto ai pazienti: si tratta di discorsi estremamente scivolosi che potrebbero portare il pubblico a deduzioni lontane dal metodo scientifico.

Nella serata non sono mancati certamente momenti positivi, come il richiamo all’importanza della donazione del sangue e della solidarietà, che ho molto apprezzato. In generale mi è sembrato, però, che si sia sprecata l’occasione di fare corretta comunicazione della scienza.

Anna Rita Longo

Insegnante, dottoressa di ricerca e science writer. Membro del board di SWIM - Science Writers in Italy e socia effettiva del CICAP

2 thoughts on “La plasmaterapia e il dott. De Donno: un discutibile incontro a Collepasso

  • 29 Luglio 2020 in 11:06
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    D’ accordo con Te, sulla non corretta comunicazione Scientifica. Ma in una situazione del genere è impossibile. Ci siamo trovati in un Cul De Sac dove, lo devo ammettere, sarebbe stato impossibile fare diversamente da quello che è stato fatto nel Mondo ed in Italia, comprese tutte le contraddizioni che sono emerse e che ancora emergeranno. Vorrei solo esprimere l’ opinione mia sulla “pretesa” di trovare una cura per questa pandemia in corso d’ opera, mentre uccide. E’ una pretesa che, comunque, non è possibile frenare, anche se la “Comunità Scientifica” non può non sapere che le cure vere ed efficaci si trovano, salvo rari casi fortunati, “a bocce ferme” e non pressati da urgenze che, il più delle volte, sono politiche, economiche o altro. Ma tutte non scientifiche. sarebbe un po’ come pretendere di fare previsioni sull’ esito di uno sciame sismico mentre fa tremare le case.

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  • 29 Ottobre 2020 in 14:36
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    Cosa ci sarebbe di non scientifico nell’illustrare i risultati di una terapia che ha funzionato? Illustrati poi da un medico che l’ha applicata, non da un ciarlatano. Inoltre al momento è evidente che ogni cura è un tentativo di cura. Non vedo come si possa parlare di fake, il dottore ha illustrato la cura che ha somministrato lui stesso.
    Onore a chi è riuscito a salvare vite.

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