19 Aprile 2024
Dal mondo

Storia di un asinello

Forse qualcuno l’avrà ricevuta su Whatsapp; altri l’avranno intravista sulle bacheche di Facebook o di qualche altro social… È la foto in bianco e nero di un asinello portato sulle spalle da un soldato, mentre in lontananza si distinguono altri militari. La didascalia che la accompagna recita:

Questo soldato porta sulle spalle un asino; non lo fa perché ama gli asini, ma perché la zona è minata. Se l’asino andasse in giro liberamente, salterebbero tutti quanti in aria. Tenete buoni gli asini in questo momento. 

La piccola “parabola” con morale finale circola anche in altre lingue, ad esempio in inglese e in francese (all’estero la scena viene per lo più ambientata durante la Seconda guerra mondiale). Al di là di cosa pensiate del messaggio di fondo, però, a qualcuno sarà rimasta la curiosità: cosa ci faceva – davvero! – quell’asinello in groppa a un soldato in quella foto d’epoca?

Anche perché, perfino agli occhi di chi come me è meno esperto di cose militari, appare subito evidente che quello non può essere un campo minato: se lo fosse, perché mandare gli uomini sparsi per il prato, con il rischio di moltiplicare le probabilità di un’esplosione? Perché non farli avanzare, quanto meno, in un’unica fila, e, ovviamente, dotati di congegni cercamine, che nella Seconda guerra mondiale c’erano eccome?

In soccorso ci viene un bell’approfondimento svolto in questi giorni da Fake History Hunter, un sito dedicato al debunking storico e alle false notizie che circolano in quel settore. E la verità dietro quella foto è persino più bella di quanto il meme potrebbe far credere. 

Siamo nel 1958, non durante la Seconda guerra mondiale. Quelli in foto sono uomini della 13a Semibrigata della Legione Straniera francese, in servizio in Algeria. La situazione era tesissima: il Paese era ancora sotto il dominio francese, ed era in pieno svolgimento la guerra d’Algeria, uno degli episodi più tragici della de-colonizzazione.

Daily Mirror, 19 settembre 1958.

Fu in quel frangente che i soldati della Legione Straniera si trovarono davanti un puledrino di asino, abbandonato e sul punto di morire di fame. Decisero di portarlo via con loro, ma l’animale era molto debilitato e non riusciva a camminare sulle sue zampe. Così uno dei presenti se lo caricò in spalle e lo trasportò fino al campo. È in quell’occasione che fu scattata la fotografia, che finì ben presto sui giornali di tutto il mondo (potete vedere, a fianco, il Daily Mirror londinese del 19 settembre 1958). 

All’asinello venne dato il nome di Bambi, in onore del protagonista del lungometraggio Disney del 1942 (a causa dei suoi occhioni, pare). Fu nutrito, si riprese, e diventò subito la mascotte del reggimento di cui facevano parte i militari. Il “salvataggio” ebbe una grandissima eco sui giornali dell’epoca, tanto che ben due associazioni per la tutela degli animali (l’American Society for the Prevention of Cruelty to Animals negli USA e la British Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals in Gran Bretagna) cercarono di identificare l’autore del gesto – ma la Legione sembra aver preferito mantenere il riserbo sul nome del soldato (forse per la tradizionale riservatezza del Corpo militare, forse anche perché – come riferisce il Daily Mirror del 16 febbraio 1959 – l’animale venne portato a turno sulla schiena di molti legionari; per inciso, nell’articolo la cattura era datata al settembre 1958 ed era assegnata alla 6a Compagnia della 13a Semibrigata). L’uomo della foto è a volte identificato come un harki, come venivano chiamati all’epoca gli algerini lealisti che combattevano al fianco dei francesi (e in effetti quell’unità in quel periodo disponeva di un contingente di quel tipo, ma non si può dire molto altro).

Quanto a Bambi, sappiamo che l’anno successivo accompagnò le truppe a Sidi-Bel-Abbes, dopo un inverno passato a cercare quelli che la Francia chiamava “terroristi algerini”. In un libro dello storico Douglas Porch vengono riportate le parole di un portavoce della Legione Straniera alla RSPCA:

Attualmente si sta godendo un destino invidiabile e condivide la sua vita con quella dei nostri legionari e anche… la loro birra (da Snopes).

La storia dietro la fotografia diventata virale come parabola sul coronavirus è quindi, in realtà, l’esatto contrario di quanto raccontato: l’asinello non fu sollevato da terra per “tenerlo a bada”, ma come gesto di compassione verso un altro essere vivente in difficoltà. Se proprio si vuole mantenere l’allegoria, quindi, potremmo anche dire che quella fotografia ci insegna a farci carico di chi in questo momento non riesce ad andare avanti con le proprie forze. Non so a voi, ma a me questo messaggio piace anche più di quello “originale”.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

Un pensiero su “Storia di un asinello

  • Hello, the man carrying it was a harki. but the whole section was taking care of carrying it. The photographer is my dad he was a kepi blanc photographer. The whole story costed the legion the distinction given by the queen mum .

    Rispondi

Rispondi a Franz Heil Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *