25 Aprile 2024
Interviste

Inesorabilmente scettico: intervista a Fabio Pagan

Articolo di Serena Fabbrini

Nel bellissimo Caffè San Marco di Trieste abbiamo incontrato Fabio Pagan, neo socio emerito del CICAP. Si è chiacchierato del più e del meno, sorseggiando una tazza di tè caldo e uno spritz bianco, rivangando nei ricordi degli ultimi trent’anni (e più) della sua carriera nel giornalismo scientifico nazionale a fianco del nostro Comitato.

Prendendo a prestito la metafora di un “emerito” ben più illustre, Fabio si è definito «un artigiano nella vigna del giornalismo scientifico», avendolo praticato come redattore de Il Piccolo di Trieste e come conduttore di programmi alla Rai, come addetto stampa al Centro Internazionale di Fisica Teorica (ICTP) e come docente alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) e organizzatore d’incontri ed eventi. Oltre alle soddisfazioni professionali, Fabio va molto orgoglioso di aver indirizzato – sia pure inconsapevolmente – la carriera di due futuri astrofisici che da ragazzini avevano letto i suoi due fascicoli Dentro l’atomo, scritti nel 1983 per una collana enciclopedica da edicola pubblicata dai Fratelli Fabbri e diretta da Piero Angela: si tratta di Giovanna Tinetti, ora brillante full professor all’University College London e notissima studiosa di atmosfere di pianeti extrasolari, e di Andrea Bernagozzi, che oggi lavora all’Osservatorio della Valle d’Aosta e si occupa anche di divulgazione e fantascienza (e che è stato studente di Fabio al Master in comunicazione della scienza della SISSA). Furono proprio le pagine di Dentro l’atomo ad accendere la loro vocazione per la fisica e l’astrofisica.

Fabio, com’è nato il tuo rapporto con il CICAP?

Credo che l’idea del CICAP sia maturata in un caffè a Torino, trent’anni fa, ma io quella volta non c’ero [era il 9 ottobre 1988, al ristorante “Il Mattarello” di Torino, ndr]. Poi si decise di vedersi a Cormons, poco lontano da Gorizia, dove viveva Steno Ferluga, astrofisico dell’Osservatorio di Trieste, consulente per Quark e che poi diventerà il primo presidente del CICAP, mantenendo l’incarico fino al 2012. Io lo conoscevo attraverso Margherita Hack, di cui era stato studente.

Steno mi telefonò e mi chiese di partecipare all’incontro che stavano organizzando al Palasport di Cormons. «Magari fai un paio di domande provocatorie», mi disse. Ricordo che eravamo seduti dietro a un lungo tavolo: Piero Angela, Margherita Hack, Steno Ferluga, Riccardo Luccio [allora professore di psicologia all’Università di Trieste, ndr] e due giovanissimi Massimo Polidoro e Lorenzo Montali, oltre al sottoscritto. E intanto davanti a noi il Palasport continuava a riempirsi, più di mille persone richiamate soprattutto dalla presenza di Piero Angela e Margherita Hack, tra i quali c’era grande stima e amicizia reciproca. Ricordo che Piero venne accolto da un’ovazione enorme. Era la prima volta che lo vedevo in un evento pubblico, prima di Cormons ci eravamo incontrati in occasione di eventi per giornalisti scientifici oppure nel suo ufficio alla Rai. Il tema della serata era naturalmente il paranormale e la necessità di affrontare certi fenomeni con l’arma della razionalità. Fu un successone. È lì che è nato il CICAP.

Cosa ti ha intrigato di più del CICAP?

Soprattutto il fatto che si parlasse di paranormale in termini scientifici. Da ragazzo ero anch’io, come Polidoro, appassionato di misteri e di fantascienza, oltre che di scienza. E quindi mi ero interessato a questi presunti fenomeni, anche se allora c’era ben poco materiale in circolazione per documentarsi e approfondire. Poi, quando nel 1968 cominciai a collaborare con il quotidiano di Trieste Il Piccolo (dove ho lavorato come redattore per venticinque anni) scrissi anche alcuni articoli filo-paranormali e in favore dell’esistenza dei dischi volanti, altro argomento allora assai in voga. Due temi che mi affascinavano molto sia come studente di Biologia sia come appassionato delle cose dello spazio. D’altra parte, molti scienziati e medici erano convinti che ci fosse una realtà scientifica dietro certi fenomeni. Non dico come nell’Ottocento, quando abilissimi falsi medium come la celebre Eusapia Palladino riuscirono a ingannare anche premi Nobel. Ma negli anni Settanta c’era chi sosteneva che conoscevamo ancora molto poco il nostro cervello, che potevano esserci effettivamente dei “poteri nascosti” della mente tutti ancora da scoprire. Erano i tempi, per intenderci, in cui si credeva fermamente che noi utilizziamo solo il 10% del nostro cervello.

Cosa ne pensi oggi del paranormale?

Cinquant’anni fa era possibilista, oggi sono inesorabilmente scettico. Anche per merito di Piero Angela e del CICAP. Come giornalista, avevo cercato di indagare un po’ per conto mio. Ero andato a Bologna a intervistare Massimo Inardi, un medico studioso di fenomeni paranormali che in quegli anni aveva assunto grande notorietà per la sua vittoria al Rischiatutto. Lo ricordo come una persona assai amabile e cortese, onestamente convinto che lo studio della parapsicologia potesse davvero aprirci una porta su un altro mondo. Ho incontrato molti presunti veggenti e medium, ho partecipato a convegni di ufologia. In uno di questi [si trattava del 6° Congresso Nazionale dei Gruppi di Ricerca del Giornale dei Misteri, tenutosi a Firenze fra il 19 e il 21 maggio 1978, ndr] ricordo che c’era Allen Hynek, l’astrofisico della Northwestern University molto aperto verso le ipotesi di visite aliene sulla Terra – tanto da apparire in un cameo alla fine di Incontri ravvicinati del terzo tipo, il celebre film di Spielberg. Ma dopo questi incontri non mi rimaneva in mano nulla di concreto. Ecco perché mi sono ritrovato scettico. Un po’ mi dispiace, se devo essere sincero. Sarebbe stato bello trovare una nuova dimensione del reale. Ma se ci fosse qualcosa di totalmente nuovo da sapere l’avremmo ormai scoperto. Sono d’accordo con l’amico Steno Ferluga dicendo – un po’ per scherzo, ma non troppo! – che il successo più grande del CICAP sarebbe quello di dimostrare l’esistenza di almeno un fenomeno paranormale. Ma non è mai successo, almeno fino a ora.

Secondo te, qual è stato il più grande merito del Comitato?

Prima del CICAP non c’era nessuno che avesse indagato seriamente sul paranormale. In televisione venivano spacciati per certezze i casi di Uri Geller che piegava chiavi e cucchiai, e di Ted Serios che impressionava con il pensiero una lastra fotografica. Senza mai prendere in considerazione che potesse trattarsi di trucchi alla portata di un bravo illusionista. Piero fu il primo, con le sei puntate di Indagine sulla parapsicologia, nel 1978, poi trasformate in un libro di grande successo, che cominciò smontare le cose, andando a verificare di persona la veridicità o meno dei conclamati fenomeni paranormali, smascherando anche autentici impostori, come i cosiddetti guaritori filippini. Quel suo programma fu un macigno gettato nello stagno che a tanti, me compreso, aprì gli occhi sull’importanza della prudenza e della verifica delle fonti nell’affrontare certi temi.

Perché, da giornalista scientifico, hai preferito per tanti anni affiancare il Comitato dietro le quinte invece che iscriverti al CICAP?

Ho sempre avuto una grandissima stima per il lavoro del Comitato, ma in quanto giornalista preferivo mantenere la mia autonomia di giudizio. E mi sembrava che ci fosse a volte un eccesso di scientismo. Ciò non toglie che ho preso parte ogni volta che ho potuto ai convegni del CICAP, sempre disponibile a presentare e a moderare alcuni eventi. Al Master in comunicazione della scienza, quando ne ero responsabile assieme a Pietro Greco, ho invitato Polidoro, Ferluga, Montali, Bagnasco, Attivissimo. Qualche anno fa, con il passaggio da “paranormale” a “pseudoscienze”, le cose sono cambiate. Ai convegni del CICAP c’è sempre, come è giusto, lo zoccolo duro e storico del paranormale, ma ora si parla molto di fake news e le bufale, ci si concentra sulla scienza e sulla comunicazione della scienza. E allora, oggi che da giornalista in pensione (ma sempre attivo) ho un po’ di tempo libero, nel trentennale del CICAP ho deciso di iscrivermi al Comitato. Quando l’ho detto a Piero, lui mi ha risposto ridendo: «Lo sai che nemmeno io sono iscritto?» E subito, prima ancora di iscrivermi, mi sono ritrovato socio emerito per la mia lunga militanza. Sono i miracoli del CICAP!

Il paranormale oggi non è più di moda come un tempo. Ma credi che ci sia un fil rouge che lega la società che credeva nei poteri paranormali e in quella di oggi che si affida alle pseudoscienze?

Sono aspetti della realtà molto diversi. Ma forse ci sono davvero elementi in comune. Oggi non si crede (quasi) più nel paranormale tradizionale ma se crede invece la pseudoscienza, ai ciarlatani, magari in buona fede, della medicina. Fa parte di quei bias cognitivi della nostra mente. Il debunking credo sia prezioso, ma serve a convincere solo chi è indeciso o chi vuole stare ad ascoltare. Prendi quelli che non credono che siamo andati sulla Luna. Bene: io sono convinto che chi non crede agli allunaggi non ci crederà neppure se lo portassimo sul Mare della Tranquillità e gli facessimo vedere le impronte degli astronauti e la sezione del LEM che è rimasta lassù!

Qual è stato il cambiamento più profondo in questi trent’anni di CICAP?

Il CICAP ha saputo inserirsi in maniera continua e capillare all’interno dei dibattiti sul paranormale prima e sulle pseudoscienze poi. La sua presenza mediatica ora è costante, ha una grande capacità di penetrazione nella società e nella cultura. Se pensi che tutto è partito da quell’evento pubblico del 1989 a Cormons… nessuno allora immaginava che il CICAP potesse raggiungere queste dimensioni! Se devo trovare un momento in cui ho capito che la situazione stava cambiando, penso sia stato al convegno di Volterra del 2012. Quella volta c’era più scienza che paranormale e soprattutto erano presenti molti giornalisti e comunicatori scientifici della nuova generazione che venivano soprattutto dal nostro master della SISSA. E mi piace ricordare che al convegno del 2001, a Reggio Emilia, il Master ha ricevuto dal CICAP il premio “In difesa della ragione”, che allora era dedicato al giornalista Alberto Bertuzzi.

L’intenzione del Comitato di coinvolgere sempre più, accanto agli scienziati, anche i giornalisti scientifici e chi si occupa di comunicazione della scienza è stata quindi una scelta vincente arrivata al momento giusto.

Direi proprio di sì! Da una parte appoggiandosi ai giornalisti della mia generazione (Piero Bianucci, Pietro Greco e Lorenzo Pinna, ma anche Marco Ferrari, Roberta Villa…solo per citarne alcuni) ma dando molto spazio alla nuova generazione (Margherita Fronte, Silvia Bencivelli, Beatrice Mautino, Anna Rita Longo e altri ancora più giovani) e a divulgatori di successo sui social come Luca Perri e Adrian Fartade. E merito del CICAP, soprattutto, è stato quello di aver sempre mantenuto stretti rapporti con la comunità scientifica.

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