19 Aprile 2024
Approfondimenti

Droghe del Nuovo Mondo e mummie di quello vecchio

Articolo di Carl Feagans apparso su Archeological Review

(traduzione e adattamento di Daniela Penna e Roberto Labanti)

Molte affermazioni pseudoarcheologiche si concentrano intorno ai cosiddetti Out Of Place Artifacts (OOPArts) che sono spesso usati come evidenza di un contatto pre-colombiano con le Americhe da parte di una qualsiasi cultura che non vi sia giunta attraverso il ponte di terra del Mare di Bering. Tra queste affermazioni ce n’è una che fa il giro di internet diverse volte all’anno, spesso in meme Facebook: quella che gli antichi Egizi avessero rotte commerciali con le Americhe fin dalla XXI dinastia (circa intorno al 1000 a.C.)

Come l’affermazione ha avuto origine

Nel 1992 Bablanova, Pasche e Pirsig pubblicarono un articolo di una pagina sulla rivista Naturewissenschaften intitolato “First identification of drugs in Egyptian mummies” (“Prima identificazione di droghe nelle mummie egizie).

Quello che descrissero era la scoperta di tracce di THC, cocaina e nicotina tra i resti mummificati di 9 individui, fra cui 7 teste senza corpo, e due mummie: una incompleta e una completa. Erano tutti adulti (tre femmine, sei maschi) e i loro resti risalivano al 1000 a.C. circa. Sostanzialmente, gli autori usarono tecniche di radioimmunologia e gas-cromatografia/spettrometria di massa (GC-MS). Entrambe sono metodologie usate comunemente in tutto il mondo per testare i livelli di droghe in persone “viventi”. Se vi fanno un test delle urine per un colloquio di lavoro, è probabile che uno o entrambi i metodi vengano usati.

Le droghe furono trovate in capelli, tessuti molli e ossa, cosa difficile da spiegare in maniera diversa dal consumo. In altre parole, essere venuti a contatto con cocaina o essere spruzzati con un insetticida non sarebbe stato abbastanza per spiegare perché le ossa contengano firme della cocaina e della nicotina. In effetti, inizialmente non era stata trovata cocaina, ma benzoilecgonina, una molecola che si forma solo dopo che il corpo ha metabolizzato la cocaina. E’ assai probabile che, allo stesso modo, avessero trovato il metabolita della nicotina, la cotinina.

Nel 1995 Parsche e Nerlich scrissero poi un articolo per il Fresenius Journal of Analytical Chemistry intitolato “Presence of drugs in different tissues of an Egyptian mummy” (“Presenza di droghe in diversi tessuti di mummia egizia”), in cui era presentato l’esame di una mummia datata 950 a.C, effettuato con le stesse tecniche che Parsche aveva utilizzato con Balabanova nel 1992. Quello che Parsche e Nerlich scoprirono con questa ricerca fu che mentre il THC era stato molto probabilmente assunto per inalazione, la nicotina e la cocaina erano state ingerite, dal momento che le loro firme furono rinvenute in concentrazione maggiore a livello di fegato e intestino.

Successivamente, Balabanova insieme ad altri cinque nuovi ricercatori (Parsche e Parsig non erano tra loro) ripeterono gli stessi test su altre 71 mummie provenienti dal Sayala cristiano (Nubia egiziana) datate tra il 600 e il 1100 d.C.; ancora molto prima del viaggio di Colombo in America. Trovarono di nuovo la cocaina (nel 79% dei soggetti). Avevano esaminato di nuovo ossa e capelli, quindi le concentrazioni in fegato e intestino non erano note. C’era però una notevole correlazione inversa tra età degli individui e concentrazione di cocaina. In altre parole, le maggiori concentrazioni sono state trovate negli individui più giovani al momento della morte.

Ciò sembra concordare con quanto Parsche e Nerlich avevano trovato, cioè che le sostanze fossero state ingerite invece che fumate o inalate. E’ infatti meno probabile che bambini della fascia di età 1-6 anni abbiano fumato o inalato droghe rispetto ad averle ingerite oralmente. E’ anche interessante sottolineare che Parsche e Nerlich non sembravano così desiderosi di legare la nicotina e la cocaina da loro individuate a origini nel Nuovo Mondo.

Implicazioni e ipotesi

La principale deduzione degli appassionati di scienza di confine (e di Bablanova ed altri) è che quanto fino ad allora era impensabile dovesse essere vero: gli antichi Egizi erano stati nel Nuovo Mondo e avevano importato tabacco in forma di Nicotiana rustica oppure di N. tobacum, e cocaina in quelle di Erythroxylum coca o E. novogranatense.

Sarebbe una scoperta meravigliosa e certamente degna di nota, se vera! Non conosco neanche un archeologo che non sarebbe meno che estasiato nell’apprendere che potrebbe trattarsi di un’eventualità supportata da prove, che è precisamente quanto Balabanova e alcuni altri dei suoi colleghi pensavano sinceramente di avere.

Ma ecco il problema: affinché questa spiegazione sia vera, ci sono alcune ipotesi non troppo insignificanti che devono risultare altrettanto vere. Per accettare che gli antichi Egizi tra il 1000 a.C. e il 1100 d.C. viaggiassero avanti e indietro con il Sud America, riportando tabacco e foglie di coca, dobbiamo assumere che:

1) Gli Egizi possedevano barche in grado di affrontare l’oceano
2) Non hanno considerato il viaggio abbastanza significativo da scriverne
3) Non c’erano fonti di THC, nicotina o cocaina disponibili in Africa, nel Vicino Oriente o in Asia.

Ci sarebbe certamente qualche altra ipotesi che potrebbe essere inserita in questa lista, ma queste sembrano essere le più significative.

Per quanto riguarda la prima assunzione, sappiamo che gli Egizi in effetti conoscevano la navigazione. Facevano continuamente su e giù per il Nilo e probabilmente furono la prima civiltà a fare un uso efficace delle vele, forse da intorno al 3500 a. C. Gli Egizi furono probabilmente anche i primi ad usare assi di legno per gli scafi delle barche. Rappresentazioni murali che ritraggono viaggi verso la Terra di Punt o altrove si trovano in diversi antichi siti egiziani insieme ai resti archeologici delle barche. Per 2000 anni, l’Egitto è stata la principale potenza navale del mondo. Ma la navigazione fluviale o persino la navigazione marittima nel Mediterraneo e nel Mar Rosso è molto diversa dalla navigazione intercontinentale sull’oceano aperto. Molte barche e chiatte egiziane sono state scavate, ma nessuna era in grado di effettuare qualcosa di più di un viaggio fluviale o di brevi escursioni nel Mar Mediterraneo o nel Mar Rosso. Queste barche erano tenute insieme con corda e, nelle più tarde navi destinate al mare, più saldamente costruite con pioli di legno. Insieme alle vele, spesso avevano anche un complemento di vogatori.

Eppure, queste piccole navi non erano pronte per l’oceano aperto. Faticavano nel Mediterraneo, dove seguivano le correnti costiere mentre andavano a est per legname e altri beni, poi trovavano i venti del mare aperto per il viaggio di ritorno. Un ritorno più lento, dovuto in parte al peso aggiunto del carico, e molto più pericoloso a causa dell’incertezza del tempo. Quasi certamente organizzavano le loro spedizioni commerciali in coincidenza con stagioni relativamente tranquille. Queste, molto semplicemente, non erano navi costruite per spedizioni a lungo termine che sarebbero durate mesi in mare (Faulkner 1942, Fagan 2013).

Se, tuttavia, assumiamo che gli antichi Egizi possedessero navi degne del mare – navi che debbono ancora essere scoperte dall’archeologia – allora rimaniamo con questa ipotesi: che gli Egizi erano disposti a commerciare per centinaia di anni con il Sud America senza mettere mai per iscritto l’impresa! Eppure questa è la civiltà che ha così orgogliosamente rappresentato i viaggi verso Punt, che era probabilmente da qualche parte lungo la costa occidentale dell’Africa. Hanno sufficientemente documentato viaggi commerciali in luoghi ora conosciuti come Cipro e Libano per legname e altri beni. Gli Egizi descrissero anche molti viaggi e spedizioni via terra. Hanno annotato i dettagli dei progressi tecnologici in modo che le generazioni future potessero continuare il loro lavoro. Se gli antichi Egizi navigarono verso/da il Sud America, lo tennero segreto. E non solo i viaggi, ma i metodi che usavano per navigare, come costruivano le navi in grado di resistere ad attraversamenti oceanici lunghi mesi e quali altri beni commerciali erano coinvolti. Se facevano viaggi transatlantici, ne furono stranamente poco orgogliosi.

Ma queste prime due assunzioni impallidiscono rispetto all’ultima, che è quella di accettare che gli antichi Egizi non avessero già a disposizione THC, nicotina e cocaina da altre fonti. C’era sicuramente THC a disposizione degli Egizi. La Cannabis sativa trovò la via verso il Medio Oriente almeno già nel 2000 avanti Cristo e potrebbe anche essere stata scambiata lungo la Via della Seta prima di allora. Gli Egizi erano famosi per il loro desiderio di ottenere spezie e erbe di terre lontane, quindi non è nemmeno necessario un piccolo sforzo di immaginazione per credere che la cannabis (e il THC al suo interno) sia stata ottenuta per l’utilizzo durante i periodi in cui queste mummie vivevano e respiravano.

Ma i credenti nell’archeologia di confine, tuttavia, non mancheranno mai di sottolineare con un sonoro “aha!” la presenza di nicotina e cocaina.

Nicotina

Oggi, prendiamo la nicotina per lo più dalla Nicotiana rustica e dalla Nicotiana tobacum. Entrambe sono originarie delle Americhe ed entrambe contengono un pesticida naturale nelle loro foglie, che poi è proprio la nicotina. N. rustica contiene fino al 18% di nicotina e N. tobacum ne ha tra lo 0.5% e il 9% (Froberg, Ibrahim, and Furbee 2007). Entrambe queste piante sono della famiglia delle Solanacee, che include la belladonna, il pomodoro, la patata e la melanzana. Ognuna di queste contiene una piccola quantità di nicotina. Infatti, la melanzana contiene circa 0,1 microgrammi di nicotina per grammo. Una singola sigaretta contiene circa 2 milligrammi di nicotina. Dovresti consumare un intero chilogrammo di melanzane per ingerire la nicotina di una singola sigaretta. E, se volessi ottenere la tua nicotina dalle patate, avresti bisogno di mangiarne 14 chilogrammi (Domino 1993, Domino, Hornbach e Demana 1993).

Anche se 1 kg di melanzane non è terribilmente difficile da immaginare, e la pianta avrebbe potuto essere stata effettivamente disponibile lungo le rotte commerciali usate dall’Egitto,  è improbabile che le persone che sono diventate le mummie utilizzate per questi studi ne abbiano consumato grandi quantità. Quindi, dove potrebbero aver trovato abbastanza nicotina da metabolizzare e da far apparire nei test di Balabanova, se non commerciando o viaggiando verso il Sud America?

La risposta è probabilmente Nicotiana africana, una pianta originaria del continente africano la cui concentrazione di nicotina può raggiungere il 2% (Merxmüller and Buttler 1975). Al giorno d’oggi, questa pianta cresce sulle montagne del nord della Namibia. Nel suo libro del 2017 Ancient Ocean Crossings: Reconsidering the Case for Contacts With the Pre-Columbian Americas, Stephen Jett suggerisce che N. africana “non contiene quasi nicotina” e si trova a troppa distanza. Ma una recente ricerca di Marlin et al. (2014) mostra che la varietà africana di tabacco ha diversi livelli di nicotina nella stessa pianta. In particolare, all’interno delle foglie. Hanno scoperto che mentre la nornicotina e l’anabasina erano gli alcaloidi principali nelle foglie di N. africana (rispettivamente 83% e 15%), la nicotina era presente al 2%.

Un’altra spiegazione per la nicotina potrebbe essere l’applicazione di “acqua al tabacco” come insetticida nel corso del diciannovesimo secolo. Non si tratta di una pratica inusuale ai primordi della conservazione museale. I curatori potrebbero anche aver fumato pesantemente nelle vicinanze dei resti di queste mummie, dopo averle tolte dal terreno. Questa è un’ipotesi che venne originariamente proposta da Buckland e Panagiotakopulu nel 2001, sulla rivista Antiquity (75: 553). Dato che Balabanova e altri hanno trovato prove di ingestione, questa probabilmente non è una fonte verosimile a meno che non ci sia un qualche meccanismo per cui la cotinina possa metabolizzare dalla nicotina nelle applicazioni di insetticida o nel fumo passivo. Non sono a conoscenza di alcun meccanismo del genere e non ne ho trovato nessuno nelle mie letture sull’argomento. Quindi questo, in realtà, lascia come ipotesi solo il consumo di nicotina vegetale.

Personalmente, penso che N. africana sia la probabile spiegazione. I livelli di nicotina non sono estremamente alti, ma possono arrivare ad una concentrazione di circa il 2% in un grammo di foglie. Questo, di per sé, è probabilmente sufficiente per la metabolizzazione nel corpo umano e per essere rilevabile nelle piccole quantità che Balabanova e altri hanno scoperto.

Cocaina

Oggi la cocaina – un alcaloide tropanico – è ottenuta da Erythroxylum coca o dall’Erythroxylum novogranatense, entrambe originarie del Sud America.

Almeno 10 specie conosciute di Erythroxylum esistono in tutto il continente africano, più 9 in Madagascar (nell’Oceano Indiano ma considerata una nazione africana) e diverse specie sulle isole Mauritius, appena ad est del Madagascar (Görlitz 2016; Bieri et al. 2006; Evans 1981). Ad oggi, e delle specie che sono state analizzate chimicamente, nessuna ha evidenziato firme della cocaina, ma nella maggior parte di esse sono stati rinvenuti altri alcaloidi tropanici.

L’ipotesi generale è che l’Erythroxylum sia originario dell’Africa o del Madagascar (Islam 2011; Oltman 1968) e Melissa Islam ha suggerito (2011) che le specie che producono cocaina E. coca ed E. novogranatense siano state selezionate artificialmente da una specie precedente. Gli esseri umani hanno fatto lo stesso con le piante che forniscono cibo e si potrebbe sostenere che il significato culturale della coca in Sud America potrebbe essere sufficiente per influenzarne la coltivazione.

Dominique Görlitz (2016) ha sostenuto che le “differenze morfologiche e fisiologiche delle specie di Erythroxylum” siano sufficienti per concludere che le varietà produttrici di cocaina siano esclusive delle Americhe. Durante la Storia, il disboscamento per colture, legname o pascolo ha rappresentato (e rappresenta) una seria minaccia per “specie endemiche e indigene” di piante, comprese quelle utilizzate sia storicamente sia preistoricamente per scopi medicinali (Suroowan 2019). Il numero di specie di piante da fiore sconosciute nel mondo è stato stimato di essere superiore del 10-20% rispetto a quelle già note (Joppa, Roberts e Pimm 2010), con molte delle quali che vivono in habitat minacciati e fragili.

Dato ciò, è difficile immaginare in quali circostanze Görlitz sia in grado di comprendere le “differenze morfologiche e fisiologiche” all’interno del genere Erythroxylum abbastanza bene da concludere che solo le specie nelle Americhe siano in grado di produrre l’alcaloide tropanico cocaina. O che una specie, estinta di recente, non possa averlo fatto.

Conclusioni e roba caruccia

Il livello di nicotina di Nicotiana africana è alla pari di N. tobacum, quindi la questione del tabacco è facilmente risolvibile. Non è così semplice comprendere la cocaina presente negli organi di queste mummie, ma poiché il genere Erythroxylum è comune, e probabilmente originato, in Africa, ci sono molti posti da controllare facilmente raggiungibili dall’Impero egiziano. Nonostante la conclusione di Görlitz, non ci sono buone ragioni per pensare che uno dei tanti alcaloidi tropanici presenti in queste specie non possa essere stato la cocaina, in passato o in una specie non ancora scoperta.

Anche se non fossimo a conoscenza di altre piante produttrici di nicotina e forse di cocaina prontamente disponibili nel continente africano, la prima ipotesi dovrebbe essere che debbano esserci state una volta o ci siano ancora specie non ancora scoperte di piante che producono queste sostanze chimiche. E questo è quello che è veramente bello della ricerca che Balabanova e Pasche (insieme ad altri) hanno fatto: non solo ci hanno mostrato un modo in cui gli Egizi hanno fatto uso di risorse vegetali, probabilmente nel tentativo di guarire o compensare il dolore, ma ci indirizzano verso la probabilità che almeno uno di questi possa ora essere estinto o almeno così raro da non essere più conosciuto.

La spiegazione più parsimoniosa – quella che richiede il numero minore di nuove supposizioni per essere vera – è che gli antichi Egizi abbiano fatto un buon uso di piante già a portata di mano.

L’idea che abbiano dovuto recarsi in Sud America è una fantasia, ma solo perché avrebbe rappresentato una sfida tecnologica significativa per qualsiasi cultura 2-3000 anni fa. Come archeologo professionista, penso che molti dei miei colleghi si unirebbero a me nel congratularsi e mostrare entusiasmo per la persona o le persone che portassero prove solide, fisiche e testabili in grado di mostrare un legame commerciale tra il Sud America e il continente africano intorno ai periodi in cui queste mummie erano individui viventi e respiranti. Questo tipo di prova potrebbe essere sotto forma di ceramiche indiscutibili, che descrivono dettagliatamente la spedizione, o forse anche qualche residuo di N. tobaccum o E. novogranatense che siano riconoscibili nella forma, o attraverso fitoliti, semi, o forse anche DNA.

Riferimenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *