19 Aprile 2024
E leggiti 'sto paper

Un foro di proiettile nell’antica Grecia?

Sull’isola di Thasos, nella parte settentrionale del mar Egeo greco, nel 2012 gli archeologi scavano una necropoli. Una tomba però, attira sin da subito l’attenzione: contiene uno scheletro, in posizione supina, deposto all’interno di una cista di pietra. Fin qui nulla di strano: anche gli altri scheletri della necropoli presentano caratteristiche analoghe. Questo però ha uno strano foro sullo sterno, di forma circolare, netto, sembra quasi un foro di proiettile.

Qualcuno esulta: finalmente abbiamo trovato la prova inconfutabile di un’anomalia storica, i viaggi nel tempo sono possibili, tanto che anche gli archeologi brancolano nel buio e non sanno spiegare questo ritrovamento, che rimane un mistero. Ma è davvero così?

Il modo migliore di scoprirlo è leggere l’articolo scientifico pubblicato dagli archeologi che hanno lavorato nel sito e dai paleoantropologi che hanno studiato i resti ossei. Si tratta di un lavoro uscito in aprile sulla rivista Access Archaeology a firma del professor Anagnostis P. Agelarakis, che ha partecipato agli scavi e che insegna antropologia presso la Adelphi University, nello Stato di New York.

Prima di tutto, analizzando i manufatti trovati insieme ai resti e deposti come corredo nella tomba, gli archeologi possono affermare che la sepoltura appartiene al periodo ellenistico.

Manubrio sternale, corpo sternale e processo xifoide del corpo trovato sull’isola di Thasos (dall’articolo di Anagnostis P. Agelarakis apparso su “Access Archaeology”).

Grazie alle analisi paleoantropologiche, si è potuto capire che lo scheletro appartiene ad un uomo di circa 50-55 anni. Pur avendo avuto tre periodi di stress alimentare in età infantile, tra i 4 e i 5 anni, l’uomo ha poi proseguito la sua vita con un buon sviluppo in età adulta, acquisendo un corpo robusto. Dalle ossa si può inoltre capire che si era sottoposto per tutta la vita ad una intensa attività fisica, in particolare sviluppando una forte presa della mano sinistra (la parte destra dello scheletro non si è conservata) e si era esercitato molto nel lanciare e nel brandire, per esempio una lancia e una spada. Si possono capire molte altre cose, come il fatto che il nostro uomo assumeva spesso una posizione accovacciata. Tutte queste caratteristiche sono tipiche dei soldati appartenenti alle coorti antiche.

Ma veniamo ora alla caratteristica che ci interessa: il foro (che gli esperti chiamano forame) sullo sterno. Ad una prima analisi macroscopica, i ricercatori ipotizzano che possa trattarsi di un’anomalia congenita della crescita. In questi casi, le due metà dello sterno non si saldano correttamente tra loro, creando un foro circolare al centro, proprio come in questo caso.

Successivamente però, dopo un’attenta pulitura dell’osso presso il laboratorio del Museo Archeologico di Thasos, i paleoantropologi hanno scartato questa ipotesi, poiché hanno potuto appurare che il forame era stato causato da una pressione meccanica di un oggetto appuntito sullo sterno.

Ma quale oggetto può lasciare un’impronta circolare così netta e proprio in corrispondenza dello sterno?

Basandosi sulle misurazioni effettuate sul forame e sulle caratteristiche che questo presenta (per esempio la particolare enfasi messa nel perforare completamente lo sterno), è possibile ricostruire in modo preciso l’arma utilizzata: uno styrax, una lancia tipica dell’epoca ellenistica. Anche l’angolazione del foro d’entrata conferma questa ipotesi.

Inoltre, sempre basandosi sulla forma del forame, si può escludere che il trauma sia stato inferto da un proiettile, come una freccia o un giavellotto. Infatti questi avrebbero lasciato le tracce di una qualche inclinazione, dovuta alla direzione e alla traiettoria dell’arma, che invece non compare nel foro in questione.

La quarta vertebra sternale di un modello balistico usato dagli archeologi per testare l’ipotesi della penetrazione ad opera di una punta affilata di styrax (dall’articolo di Anagnostis P. Agelarakis apparso su “Access Archaeology”).

Lo scenario più probabile dunque, è quello di una lancia, lo styrax appunto, spinto a forza attraverso lo sterno dell’uomo, che probabilmente era immobilizzato in piedi contro un superficie dura, oppure in ginocchio con le mani legate dietro la schiena, oppure ancora in posizione supina, in modo da ricevere un colpo accurato, in una precisa e fatale posizione anatomica.

I ricercatori hanno ricostruito l’arma e hanno provato l’effetto delle proprie teorie su un manichino balistico, confermandole.

Dunque, grazie all’analisi antropologica, a quella archeologica e alle prove sperimentali, possiamo affermare che l’uomo della sepoltura 138 non è stato vittima di un evento casuale, come una ferita di guerra, ma di una ben calcolata esecuzione, con un colpo preciso e fatale. Questo infatti provocò un’immediata dispnea e un’insufficienza polmonare, che non consentì all’uomo di gridare, e il conseguente arresto cardiaco.

Dunque, non solo si è potuto ricostruire con precisione l’arma utilizzata (lo styrax), perfettamente compatibile con il periodo storico, ma gli studiosi hanno anche notato come il foro non poteva essere stato provocato da un’arma da lancio o da un proiettile, proprio per le caratteristiche del forame stesso.

Rimane però una domanda: perché il nostro uomo è stato giustiziato? sicuramente non era un criminale o un traditore, visto che la sua tomba non solo si trova nella necropoli della città (onore rifiutato a chi si era macchiato di un crimine), ma è anche stato deposto in una cista di pietra, con l’offerta di uno strigile di bronzo (uno strumento metallico per la pulizia personale), indicazione di una condizione agiata che sarebbe stata persa in caso per esempio di tradimento.

Come ben sa chi si occupa di archeologia o di paleoantropologia, le domande aperte rimangono molte: chi era il nostro uomo? Come si chiamava? Perché è stato giustiziato? era un uomo importante dell’isola?

Una cosa però è certa: la sua morte non è stata provocata da un colpo di pistola.

In evidenza: La cavità sternale con la posizione approssimativa in cui di solito si trova il forame pervio (illustrazione tratta dall’articolo di Access Archaeology).

 

Agnese Picco è laureata in Archeologia presso l’Università di Torino. Potete seguirla su Instagram (archeofriendly), o sul suo canale Youtube.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *