19 Aprile 2024
Dal mondo

Le abominevoli impronte delle nevi

Come un fulmine a ciel sereno il più famoso abitante dell’Himalaya è tornato a fare parlare di sé sui media di tutto il mondo.

Il 29 aprile scorso, infatti, l’esercito indiano, attraverso i propri account social (Twitter, Instagram, Facebook) ha dichiarato che i membri della First Indian Army Mountaineering Expedition stanziati presso il famoso campo base del Makalu, sul confine tra Nepal e Tibet, si sarebbero imbattuti niente meno che nelle impronte dello yeti! (Fig 1)

Fig. 1

L’esercito indiano non è stato certo il primo a segnalare, nel corso degli anni, la presenza di misteriose impronte sulla neve attribuite alla leggendaria creatura, ma in questo caso si tratta sicuramente di quelle tra le più ragguardevoli per quanto concerne le dimensioni: il tweet riporta infatti la presenza di “piedi” lunghi 81(!) cm e larghi 38(!). Ma prima di cercare di capire se è possibile trovare una spiegazione più realistica, si rende d’obbligo un piccolo viaggio indietro nel tempo che sarà utile a farci comprendere che quando si parla di impronte, la neve è in grado di giocare brutti scherzi…

Chi è passato da qui?

Le prime informazioni scritte giunte in occidente relative alle tracce lasciate dal passaggio di strane creature sul manto nevoso delle cime himalayane, risalgono al 1885 (1), ma l’opinione pubblica iniziò a interessarsi seriamente al caso soltanto con l’arrivo delle prime fotografie. Tra queste, quelle hanno contribuito maggiormente a radicare la figura dell’abominevole uomo delle nevi nell’immaginario collettivo sono senza dubbio quelle scattate dallo scalatore Eric Shipton.

Fig. 2

Alle quattro del pomeriggio dell’8 novembre 1951 Shipton, assieme al medico Michael Ward e allo sherpa Sen Tensing, stava esplorando l’area del Gauri Sankar (montagna al confine tra Nepal e Tibet), alla ricerca di un possibile passaggio idoneo a permettere la scalata dell’Everest, all’epoca dei fatti non ancora conquistato da nessuna spedizione. All’improvviso il gruppo si trovò di fronte a una lunga pista di grandi impronte lunghe circa 30 cm e simili a grossi piedi umani scalzi. Le seguirono per circa 1600 metri, ma impossibilitati a proseguire per via della presenza di un crepaccio, decisero di scattare delle fotografie. Le orme, più lunghe e più larghe di quelle impresse dagli scarponi da montagna degli esploratori, mostravano un alluce ben distinto e la più nitida tra queste, fotografata con a fianco una piccozza (Fig. 2), fece ben presto il giro del mondo dando vita a una vera e propria “febbre dello yeti”.

Fig. 3

Quattro anni dopo il geologo Pierre Bordet, facente parte di una spedizione francese sul monte Makalu, segnalò una lunga serie di impronte sulla neve, che seguì per circa 1 km contandone quasi 3.000.

Simili a un piede umano, ma apparentemente dotate di solo quattro dita quasi circolari, non presentavano segni di artigli e il dito più grosso era rivolto verso l’interno (come negli esseri umani). Le impronte, lunghe circa 20 cm, alternavano per tutto il tragitto il piede destro a quello sinistro e sembravano essere state lasciate da una creatura bipede (Fig. 3).

Come neve al sole…

Sebbene quelli sopra elencati siano probabilmente i più famosi casi di ritrovamento di presunte impronte di yeti e quelli che vantano le foto più nitide a testimonianza della loro scoperta, sono molti gli elementi che inducono alla cautela.

Il problema principale della pista scoperta da Shipton e Ward è che sembra non esistere una foto che ritrae quest’ultima, ma solo il particolare di una singola impronta. A dire il vero inizialmente fu diffusa assieme alla foto dell’impronta con la piccozza, anche quella della presunta pista (Fig. 4), ma confrontando le immagini è palese che non ritraggono lo stesso tipo di impronte..

Fig. 4

Quando ciò gli fu fatto notare, Shipton e Ward cambiarono la loro versione dei fatti, aggiungendo che le piste trovate erano due: quelle dello yeti e quelle di una capra di montagna; la foto della pista immortalava quest’ultima. L’ipotesi che da più parti si è fatta strada nel corso degli anni, specialmente perché nessun altro membro della spedizione ricorda che le piste ritrovate erano due, vuole che Shipton e Ward, imbattendosi nella serie di impronte, ne abbiano volontariamente modificata una per imprimerle una forma compatibile con un piede “umanoide” (3).

Fig. 5
Fig. 6

Anche le impronte di Bordet non sono meno problematiche, in quanto le immagini giunte sino a noi sembrano non combaciare perfettamente con quanto da lui riportato. Infatti alcuni scatti mostrano una sovraimpressione (l’appoggio del piede posteriore sull’impronta lasciata da quello anteriore, tipico dei quadrupedi) ben visibile (Fig. 5). Inoltre l’apparente mancanza di artigli, i cui segni possono però essere scorti, seppur leggermente, in Fig. 6,  può essere facilmente spiegata col fenomeno del rigelo. Secondo questo principio della fisica, il ghiaccio fonde nei punti in cui risulta compresso, tornando a gelare quando non è più sottoposto a pressione. Esempio tipico è quello di un filo di nylon che attraversa un blocco di neve senza però tagliarlo in due. Quando un animale cammina su un terreno ghiacciato, i suoi artigli possono comportarsi proprio come un filo, lasciando così una traccia meno definita rispetto a quella che sono soliti imprimere su altri substrati come ad esempio terra e fango.

Al netto di questo effetto,  l’aspetto generale delle orme e le loro dimensioni ricordano quelle dell’orso tibetano (Ursus thibetanus), una specie alquanto abbondante nei pressi del Makalu.

Molte meno informazioni possono essere invece deducibili dalle fotografie dell’esercito indiano a oggi fatte circolare. Elementi su cui è possibile riflettere sono comunque l’esagerazione delle misure dichiarate (anche il più speranzoso sognatore dell’esistenza dello yeti potrebbe a fatica immaginare un ominide con un piede lungo 81 cm) e l’aspetto generale delle impronte (Fig. 7), che mostrano i tipici segni che un’orma sulla neve riporta in seguito al parziale scioglimento e ricongelamento delle impronte durante le diverse ore della giornata e dell’azione del vento.

Fig. 7

Un’altra caratteristica visibile dalle immagini è l’andamento della pista (Fig. 8), che sembra alternare un piede destro e un piede sinistro, disposti in linea retta come quelli di  un funambolo mentre cammina su una corda.  

Fig. 8

Ma anche se una simile disposizione farebbe immediatamente pensare a un bipede, chi conosce le tracce degli animali sa che quelle dei quadrupedi possono presentarsi sotto vari aspetti in base all’andatura di quest’ultimi.

Una disposizione simile a quella delle fotografie dell’esercito indiano ricorda ad esempio il trotto su neve di canidi e felidi, ma considerando le imponenti dimensioni delle impronte, e la distanza l’una dall’altra, potrebbero essere più compatibili con un’andatura a balzi in cui lo scioglimento della neve ha fuso assieme l’appoggio delle quattro zampe sul terreno dopo ogni salto.

Considerando il pochissimo materiale disponibile, si è comunque costretti a restare nel reame delle congetture: ad esempio secondo il naturalista Daniel Taylor-Ide, che vanta in Nepal una lunga esperienza, potrebbe trattarsi di impronte di una mamma orsa seguita dai cuccioli.

Note

  1. Macaulay, C. 1885. Report of a mission to Sikkim and the Tibetan frontier : with a memorandum on our relations with Tibet. Calcutta : Bengal Secretariat Press, p. 36.
  2. Bordet, P. 1955. Traces de Yeti dans l’Himalaya. Bulletin du Muséum national d’histoire naturelle [Paris], vol. 27, n. 6, pp. 433-439.
  3. Gilman, P. 1989. The most abominable hoaxer? Sunday Times Magazine, 10 December.

Un pensiero su “Le abominevoli impronte delle nevi

  • 1) Tanto, fin che non ne rintracciamo uno disposto a fermarsi qualche minuto per farsi intervistare, nessuno crederà che esistano. E, soprattutto, a che servono? Gli indiani, ad esempio, sono pessimisti nella possibilità di utilizzarli contro i Pakistani del Kashmir.
    2) Studiare foto di impronte sulla neve non rende quanto l’ osservarle direttamente. Ad esempio, come faccio io a esser sicuro che una volta un lupo mi attraversò il sentiero dopo che c’ ero passato? Semplice: quel giorno, sulla neve, caduta abbondante il giorno prima, camminai da solo. All’ andata il sentiero era libero da qualunque impronta. Al ritorno c’ erano le impronte di un canide che mi aveva attraversato il sentiero, passando sulle mie impronte, emergendo dal bosco e rientrando nel bosco dall’ altra parte. Era possibile seguire le sue impronte nel bosco sia da un lato che dall’ altro. E non c’ erano altre impronte di uomini o animali intorno. Ed erano troppo grosse per esser le impronte di una volpe. . Sì, ma se vi avessi scattato e mostrato una foto, voi avreste visto le mie impronte assieme a quelle del lupo. Quindi avreste sostenuto che mi ero portato un cane appresso per farvi uno scherzo e per rendermi interessante all’ uditorio.

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