20 Aprile 2024
Approfondimenti

La nonna della truffa alla nigeriana

“Truffa alla nigeriana, adesso tentano il colpo dalla Spagna”, titolava quest’estate un articolo de Il Giornale del Ticino di Lugano. Molte persone del Cantone svizzero, a quanto pare, si erano viste recapitare mail che contenevano un invito, da parte di un sedicente avvocato, a prendere possesso di una favolosa fortuna lasciata in eredità da un parente trasferitosi nella penisola iberica. Unico ostacolo: occorreva anticipare una certa cifra per far fronte alle spese legali e alla parcella dell’avvocato, bontà sua, e magari anche fornire i propri dati di conto corrente.

Le mail rappresentano una variazione sul tema della cosiddetta “truffa alla nigeriana”, quella in cui l’ex-presidente di uno Stato africano si trova nella triste situazione di avere un conto in banca del valore di svariati milioni di euro, ma a non potervi accedere a causa dei rivolgimenti politici del suo Paese. E allora, fortuna delle fortune, costui è disposto a dividere il malloppo con voi, se solo avrete la compiacenza di fargli da prestanome e anticipargli una piccola somma necessaria per sbloccare il conto. Di questa truffa esistono molte varianti, ma il principio è sempre lo stesso: per usufruire di un’ingente fortuna occorre versare un piccolo contributo. Ovviamente, inutile dirlo, una volta intascato l’anticipo il truffatore scompare col malloppo.

Se il cronista del Corriere del Ticino è stupito che la nuova ondata di raggiri arrivi dalla Spagna, però, è perché ignora il nome con cui questi inganni divennero famosi tra fine Ottocento e inizio Novecento: le “truffe del prigioniero spagnolo” o più semplicemente “alla spagnuola”.

Per capire bene il funzionamento del raggiro, si può ricorrere al Corriere della sera dell’8 settembre 1932, che in relazione a una nuova ondata di lettere fraudolente che aveva investito la Francia spiegava:

Il procedimento dei mistificatori è sempre lo stesso. Una persona danarosa riceve un giorno la lettera di un individuo che si pretende imprigionato in Spagna per grossi furti commessi. La refurtiva, rappresentata da voluminosi pacchi di biglietti da mille, si trova in una valigetta depositata alla stazione di Lyon-Perrache. Intanto il prigioniero è senza un soldo e non può nemmeno pagarsi le sigarette per ingannare le noie del carcere. Se vi recherete a Barcellona e verserete a un guardiano della prigione, che vi attenderà in un luogo indicato, una certa somma da rimettere al prigioniero, riceverete in cambio la bolletta di consegna e la chiave che vi permetterà di aprire la preziosa valigia. In premio della vostra generosità, il prigioniero vi lascerà l’intera proprietà del famoso tesoro.

Di tanto in tanto qualche credulone abbocca. Egli fa il viaggio a Barcellona, versa qualche decina di migliaia di franchi al presunto guardiano, che è il truffatore in persona, e riceve da lui una bolletta falsa e una chiave qualsiasi. Soltanto quando, dopo il suo lungo viaggio, il disgraziato scende finalmente alla stazione di Lyon-Perrache e si precipita al deposito bagagli, apprende di esser stato vittima di un imbroglione. Gli impiegati di questa stazione sono ormai così abituati a tali visite, che riconoscono da lontano le persone gabbate. Quando si vedono presentare la famosa bolletta, essi si affrettano a togliere al malcapitato ogni illusione: “Se venite per il tesoro di Spagna, è tempo perduto”.

Ovviamente, però, le varianti potevano essere molteplici. A volte il denaro era contenuto nel doppiofondo di un baule, o sotterrato da qualche parte. A volte il prigioniero aveva una figlia in collegio, e richiedeva dei soldi per anticiparne la retta. A volte la ragazza era ancora da maritare, e oltre al denaro si offriva anche la mano della virtuosa figliuola. In altri casi l’uomo non era affatto un ladro, bensì un uomo arrestato ingiustamente o in prigione per debiti, o ancora un detenuto politico. Ma l’esito era sempre lo stesso: l’imbroglione scappava con i soldi già anticipati dalla vittima.

Non si sa bene quando siano iniziate queste “truffe alla spagnola”. In un recente saggio, lo storico Jorge Marco (Università di Bath) ha rintracciato possibili esempi medievali del racconto, senza però lo strumento della lettera. C’è chi ha visto dei legami con un episodio descritto dallo scrittore Miguel Cervantes nel 1582. Nel suo racconto una prigioniera ricchissima offriva a un fortunato la sua mano e il suo patrimonio tramite una lettera “segreta”… Ma quella di Cervantes non si rivelava una truffa. Era, all’interno della sua cornice narrativa, una “storia vera”. C’è chi però si è chiesto se lo scrittore spagnolo non fosse venuto a conoscenza di truffe simili, durante gli anni trascorsi in prigionia ad Algeri, fra il 1575 e il 1580; e che non le abbia poi riprese in una luce “positiva”, sia nella commedia Los baños de Argel che nel Don Chisciotte. Altri invece pensano che la truffa esistesse già alla fine del XVI secolo oppure durante la Guerra dei Trent’Anni.

Le prime vere tracce di truffe simili però si trovano solo a partire dalla seconda metà del Settecento, in Francia. In effetti, il primo esempio che conosciamo, proveniva… dall’Italia. Un sedicente Francesco Fiorenzi il 10 aprile 1765 aveva infatti scritto (in italiano!) ai consoli del comune francese di Fréjus, raccontando di essere malato all’ospedale di San Benedetto di Civitavecchia, per punizione dei suoi molti crimini, in particolare il furto di 8000 monete d’oro da un mercante, poi nascoste. Per scrupolo di coscienza, poco prima di morire avrebbe lasciato al suo confessore un pacchetto con le indicazioni per recuperare il tesoro, e che sarebbe stato inviato ai destinatari della lettera se questi avessero risposto (probabilmente a questo punto sarebbe arrivata l’immancabile rischiesta di anticipo).

In assenza di risposta, qualche mese dopo, il truffatore provò in altro modo: i consoli ricevettero un’altra lettera, questa volta da un sedicente sacerdote, Pietro Spada. L’uomo si lamentava di non aver ricevuto risposta ad una comunicazione della morte di Fiorenzi, di cui era il confessore. Lettera nella quale, come richiesto dal defunto, oltre a dettagli sul pacchetto, aveva incluso una somma di denaro di cui richiedeva ora la restituzione con una lettera di cambio pagabile a vista a Roma. I magistrati del comune francese chiesero lumi ad un importante religioso, il padre Vallentin, nativo del luogo e residente a Roma, che spiegò loro che si trattava di un tentativo di truffa dovuto a “bricconi della galera di San Benedetto”: avevano tentato lo stesso con il principe di Condé, un alto magistrato di Montpellier e il console generale di Francia a Roma.

Sempre in Francia, qualche decennio dopo, il fenomeno esplose negli anni successivi alla Rivoluzione, con alcune lettere particolari, chiamate in gergo Lettres de Jérusalem (lettere di Gerusalemme), forse un richiamo alla biblica “Gerusalemme desolata”, nel senso di prigione. Le troviamo menzionate per la prima volta in un avviso pubblico apparso sul Chronique de Paris del 18 marzo 1792 e già all’epoca furono oggetto di indagini di polizia. Ce ne parla estesamente nel 1828  il padre della criminologia francese, Eugène-François Vidocq, nelle sue Memorie (per poi riprenderle anche in un’altra sua opera del 1837, Les voleurs). Chi scriveva si presentava, ad esempio, come l’ex-valletto di un nobile morto in prigione, poi arrestato a sua volta. Lo sventurato chiedeva al destinatario il necessario per sopravvivere in carcere in cambio del denaro o dei gioielli nascosti durante la fuga del suo signore. Secondo  Vidocq questo genere di imbroglio giocava sulla nostalgia di alcuni francesi verso l’ancien régime e circa due persone su dieci cadevano nel tranello, spesso ordito da veri prigionieri incarcerati presso i bagni penali di Tolone o nel penitenziario di Bicêtre, vicino a Parigi.

Ma nel corso dell’Ottocento (a metà del secolo, secondo Marco) l’epicentro della truffa si trasferì in Spagna. Lettere provenienti da questo Paese investirono tutta l’Europa e successivamente anche l’America, facilitate probabilmente anche dallo sviluppo dei sistemi postali nazionali (un fattore che favorirà, a inizio Novecento, anche la diffusione delle catene di sant’Antonio). Il sito StrangeHistory ha documentato, ad esempio, alcune versioni inglesi del 1872 e del 1874. Il 20 marzo 1898 la truffa venne descritta anche sul New York Times.

Nel marzo 1910 lo scrittore Arthur Tran, specializzato in “legal thriller”, pubblicò sul Cosmopolitan Magazine un racconto ispirato alla truffa intitolato Il prigioniero spagnolo. Le lettere nel frattempo si erano modificate per adattarsi al contesto politico dell’epoca: smesso i panni del valletto francese il prigioniero era diventato, ad esempio, un uomo imprigionato durante il tentato golpe del 1886 ad opera di Manuel Villacampa del Castillo per restaurare la Repubblica in Spagna. Furono infatti quattro – secondo Marco – “le trame politiche fondamentali” utilizzate dai truffatori spagnoli: le tre guerre carliste (nelle lettere fra il 1855 e il 1880), la guerra franco-prussiana (1870-1871), la guerra per l’indipendenza di Cuba (fra il 1880 e il 1898) e, appunto, a partire dalla fine del secolo le cospirazioni di segno repubblicano.

La truffa “alla spagnola” ebbe successo anche in Italia. Il 22 agosto 1891 il Corriere della sera metteva in guardia i lettori da una lettera truffaldina a cui in molti avevano abboccato:

In ogni città d’Italia si parla di tentativi di truffa commessi mediante lettere provenienti dalla Spagna, nelle quali si cerca di carpir denaro colla solita esca dei tesori nascosti. Prima si trattava di un ladro il quale diceva di essere riuscito a nascondere il prodotto del suo furto, ma il trucco venne scoperto per cui il truffatore mutò sistema, trasformandosi in un capitano tesoriere di cavalleria, attualmente in carcere per aver preso parte al pronunciamento del 1886.

Il quotidiano milanese pubblicava anche il testo di una di queste lettere nel suo originale italiano zoppicante. La riportiamo in appendice.

Non è l’unico articolo italiano sulla vicenda. Nel nostro Paese i giornali se ne occuparono più volte, per mettere avvertire gli ingenui. Qualche esempio?

Nel 1904 il Corriere della sera raccontava la truffa del “capitano detenuto nelle prigioni di Valladolid” di cui erano stati vittime un sessantenne di Cesano Boscone (Milano) e il figlio, che oltre a mandare il denaro avevano anche intrapreso un viaggio verso la Spagna. E il giornale se la prendeva con il governo spagnolo per

l’impunità di cui sanno godere questi truffatori, che possono ricevere lettere e denari, ma mai una visita della polizia spagnuola.

Sappiamo in realtà che questo non era vero: nel 1897, ad esempio, diversi giornali avevano infatti raccontato di un’operazione di polizia a Barcellona che aveva portato all’individuazione di alcuni degli autori, senza però che questo portasse a porre definitivamente fine alla truffa.

Nel 1925 il tesoro era salito a un milione e mezzo di lire, stava in una valigetta che andava riscattata pagando un terzo del suo valore e proveniva da Luigi Montero, incarcerato a Granata per debiti (Corriere della sera, 26 ottobre 1925).

Nel 1935 l’importo ammontava a un milione e duecentomila franchi e la lettera portava la firma di Ramon Romen Sisto Concos, domiciliato in Avenida del Mar a Barcellona (Corriere della sera, 6 dicembre 1931).

Ancora nel 1953 un torinese fu arrestato a Madrid per aver tentato una truffa alla spagnola da tre milioni e mezzo di lire nei confronti di un industriale modenese (La Stampa, 30 dicembre 1953).

Il resto è storia. Un po’ come per le leggende metropolitane, la truffa ha saputo adattarsi ai nuovi contesti e ai nuovi scenari geopolitici. Ha portato la firma del figlio del presidente dello Zaire Mobutu dopo il colpo di stato del 1996 e quella della moglie di Arafat dopo la Primavera araba del 2011. Le lettere sono diventate prima fax, poi mail. E’ stata rilanciata in mille varianti, da quella della lotteria vinta senza neanche avervi partecipato a quella dell’astronauta africano dimenticato in orbita.

Ma il principio rimane sempre quello del prigioniero spagnolo e le vittime sono sempre le stesse: come li definiva il Corriere della sera l’8 settembre 1932, “gli ingenui sognatori di insperate fortune”. In fondo, se questa truffa è sopravvissuta per almeno duecento anni, significa che di sognatori ne abbiamo ancora in abbondanza.

Appendice: La lettera pubblicata sul Corriere della sera il 22 agosto 1891

Signore, malgrado ch’io non abbia l’onore di Lei conoscere che per lo eccellente rapporto della vostra provità ed onoratezza, vi scrivo per Lei proporre un affare, il quale per essere della più grande importanza, io non aveva immaginato mai rivelare a veruno. Io era Capitano Tesoriere d’un Reggimento di Cavalleria, e per la sollevazione Militare Repubblicana dell’anno 1886, io potei salvarmi nel vostro paese, portandomi tutti i fondi della Cassa del Reggimento, ed altri, per la somma di 840.000 lire, onde somma sono stato obbligato di sotterrare nel contorno della vostra località per motivi e dettagli che vi darò alla vostra risposta. Io ho l’onore d’offrirle la terza parte da detta somma in compensazione del servizio cui spero di Lei accettando queste condizione.

1.Di non tradire mai il segreto che vi confido sulla vostra parola d’onore. 2. Di ricevere da voi la mia cara figlia giovinetta di 17 anni che io ho in un Collegio Pensione alla città di Coruna, ed una signora che debbe accompagnarla per ricercare il mio deposito del quale mia figlia portava il piano. 3. Assicurare l’avvenire di mia figlia e fare continuare i suoi studi in un Collegio alla vostra località, essendo lei come il tutore d’ella. 4. Anticipare le spese ed il viaggio di mia figlia e la signora fino vostra casa, per essermi impossibile alla circostanza ch’io mi trovo per avere spenduto tutto il danaro ch’io aveva nel corso di tempo ad appoggio del mio processo.

Siccome io spero voi accettate queste condizioni, vi prego d’una subita risposta che voi dovete fare, mettendo la vostra lettera sotto due sopracoperta, il primo o inferiore ha il mio nome (Capitan de Caballeria dottor Antonio Colon) ed l’altra che debbe circolare alla Posta con questo indirizzo:

Espana – Sig. dott. Nicomedes Echavarria
Colle de la Rampa Letra G.
San Sebastian

Questo è un veterano servitore di tutta mia confidenza, il quale farà arrivare a me tutta vostra lettera colla massima prudenza e sicurtà. Io prendo queste precauzioni perché sono molto vigilato nella prigione e tutte le lettere che io ricevo sono aperte e intravedute dal capo, e vi prego anche di non firmare che con queste cifre (=19=7=19=) no previsione de qualche traviamento o sorpresa. Alla vostra risposta vi darò tutti dettagli. Intanto ho l’onore di essere il vostro umilissimo servitore.

Antonio Colon y Sanchez
Priggioni Militares di Valladolid, li 14 8 1891

Si ringraziano Roberto Labanti, Davide Ermacora e Jorge Marco per i contributi all’articolo

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

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