19 Aprile 2024
Vero o Falso?

“I cadaveri oggi si decompongono molto lentamente a causa dei conservanti alimentari”. Sarà vero?

I conservanti sono prodotti estremamente diffusi nei prodotti alimentari in commercio oggi; mentre molta attenzione è data alla loro sicurezza (della quale sono note numerose bufale e leggende metropolitane) poco si dice di cosa succede al nostro corpo dopo la nostra morte, “considerata l’abbondanza di conservanti che abbiamo mangiato nel corso della vita” (sic). Sarà vero, come dicono alcuni, che i cadaveri oggi si decompongono molto lentamente rispetto al passato (restando perfettamente integri anche per decenni!), a causa dei conservanti alimentari?

IL CONTESTO

Ciascun alimento ha differenti esigenze di conservazione, anche in relazione al tempo tra la produzione e il consumo.

I conservanti. La conservazione degli alimenti richiede un intervento di non semplice soluzione; è necessario utilizzare sostanze e tecnologie efficaci a ritardare la degradazione dei cibi, preservandone tanto le caratteristiche organolettiche (gusto, colore, odore…) quanto la commestibilità e la sicurezza. I conservanti, oltre a ritardare o prevenire il deperimento, mantengono la freschezza e l’aspetto attraente degli alimenti. In particolare, i conservanti chimici sono classificati in due gruppi principali: gli antiossidanti e gli antimicrobici. I primi evitano effetti quali, ad esempio, l’imbrunimento della polpa delle mele esposte all’aria; i secondi bloccano o rallentano la proliferazione di organismi patogeni. Ciascun alimento ha differenti esigenze di conservazione; per esempio, nei prodotti quali i succhi di frutta, i formaggi, il pane o la frutta disidratata, è necessario prevenire lo sviluppo di muffe, utilizzando sostanze quali l’acido sorbico (E200), il propionato di sodio (E282) o il propionato di calcio (E283). Negli insaccati e nelle altre carni lavorate, sono invece molto utilizzati nitrito di potassio (E249), nitrito di sodio (E250) e nitrato di potassio (E252), necessari per evitare la germinazione delle spore del Clostridium Botulinum. Alcune sostanze classificate come conservanti alimentari possono accumularsi nel corpo o degradarsi in sostanze tossiche (ad altissime dosi); per questo motivo hanno limiti più stretti al loro utilizzo. La conservazione degli alimenti, tuttavia, non si ottiene solo per mezzo di agenti chimici, ma anche attraverso l’abbattimento della temperatura, la bollitura e altri processi di lavorazione o stoccaggio (affumicatura, conservazione sottovuoto, ecc.).

La decomposizione dei cadaveri. Successivamente al decesso, il corpo umano comincia un processo di disgregazione dovuto a molteplici fattori ed influenzato anche grandemente dalle condizioni dell’ambiente circostante (presenza o assenza di ossigeno, temperatura, umidità, terreno, ecc.). All’aperto, in condizioni di temperatura e umidità normali (20-25° umidità media, assenza di venti consistenti, un cadavere inizia già a pochi minuti dal decesso una serie di processi che rappresentano gli indicatori iniziali del decadimento del corpo. Il primo a manifestarsi è il “pallor mortis”, il pallore della pelle dovuto all’assenza di circolazione sanguigna nei capillari; il colore della pelle sarà poi influenzato dal livor mortis nel momento in cui il sangue, per gravità, filtrerà verso il basso. Intanto, il corpo lentamente avvicina la propria temperatura quella dell’ambiente circostante (“algor mortis”), mentre un processo chimico, il rigor mortis, iniziato a poche ore dalla morte e completatosi nell’arco di mezza giornata – causa l’irrigidimento dei tessuti muscolari, che resteranno in questo stato per le successive 24-36 ore.

Già nel corso di queste fasi, le cellule sono private dell’ossigeno, causando l’accumulo di tossine e materiale di scarto nel citoplasma, l’innalzamento di anidride carbonica nel sangue e l’abbassamento del pH. I tessuti più carichi di enzimi (come il fegato) e con abbondante quantità di acqua (come il cervello) subiscono per primi la rottura delle membrane cellulari. Nel frattempo, i batteri intestinali cominciano a diffondersi lentamente attraverso l’organismo. A circa 4 giorni dal decesso, sono numerosi i microorganismi che disgregano i tessuti e le cellule riducendoli a gas, liquidi e molecole più semplici: ha inizio la putrefazione vera e propria. Il sangue, per emolisi causata da batteri, diviene verdastro (“fanerizzazione”); la temperatura corporea sale leggermente per effetto delle reazioni chimiche in corso. A circa 10 giorni dal decesso, il corpo prende una colorazione nerastra, e i muscoli – per opera dei batteri – si sfaldano ulteriormente, rilasciando varie sostanze – fra cui composti fenolici, indolo e gliceroli. Infine, passati circa 20 giorni, il corpo comincia a disseccarsi, e se esposto all’aria, si disgrega fino alle ossa nei mesi successivi.

“I CADAVERI OGGI SI DECOMPONGONO MOLTO LENTAMENTE A CAUSA DEI CONSERVANTI ALIMENTARI”. SARÀ VERO?

Non esiste, ad oggi, un riscontro scientifico del rallentamento dei tempi di decomposizione a causa dei conservanti accumulati nel corpo.

Falso – almeno secondo le attuali conoscenze scientifiche. La decomposizione di un cadavere è formata da una serie di processi molto complessi; mentre i conservanti sono strutturati per ottenere un obiettivo a breve termine, con una limitata quantità di materia in condizioni ottimali, la disgregazione di un corpo umano rappresenta un contesto diametralmente opposto. L’enorme abbondanza di batteri e microorganismi interni e superficiali, e temperatura e umidità favorevoli alla loro proliferazione, contrastano la funzionalità chimica di eventuali sostanze conservanti accumulate nel corpo. E, ben più importante, questi conservanti – per ottenere un risultato vicino alla credenza in oggetto, dovrebbero: A) mantenere inalterata la loro composizione chimica successivamente all’assimilazione nel corpo; B) accumularsi uniformemente nei tessuti senza intossicare l’organismo; e C) mantenere la propria efficacia conservante per un periodo estremamente lungo (i.e. anni). Ad oggi, non esiste documentazione scientifica che riporti un ritardo quantificabile della decomposizione causato dall’eventuale accumulo di conservanti; in particolare, il fenomeno non è mai stato osservato dalle “fattorie di corpi” (in inglese, “Body Farms”), strutture specializzate nello studio della decomposizione di cadaveri umani.
Sono però conosciute differenti cause che provochino un ritardo nella decomposizione, quali la mummificazione naturale, o la “saponificazione” dei cadaveri. Quest’ultima è particolarmente interessante, dovuta alla trasformazione dei grassi in una sostanza biancastra e più o meno compatta chiamata “adipocera“, un sapone di calcio insolubile; questo protegge il cadavere da ulteriore degradazione, rendendolo tuttavia ben diverso dalla credenza popolare di corpo “perfettamente conservato“. Sono poi noti ulteriori casi estremamente interessanti, quale ad esempio la conservazione in un orcio dei resti di un neonato della metà del XIX secolo. Trovato nel cimitero di una cittadina ungherese, il vaso di argilla conteneva in particolare la mano e l’avambraccio destro ancora dotati degli strati muscolari, completamente essiccati; nel pugno, infatti, era stata stretta una moneta di rame, dal blando potere antisettico, che – insieme a delle condizioni atmosferiche favorevoli interne al vaso – hanno permesso di preservare i tessuti.

IN BREVE

Il tempo di decomposizione di un cadavere è fortemente influenzato dalle condizioni ambientali e climatiche in cui si trova.
  • I conservanti alimentari non influiscono sulla velocità di decomposizione dei cadaveri. Il processo di degradazione è influenzato dalle condizioni climatiche (umidità, temperatura, composizione dell’aria) circostanti il corpo, che influiscono sulla proliferazione dei batteri coinvolti nella decomposizione.
  • La decomposizione di un cadavere umano, in condizioni normali e all’aria aperta, richiede un tempo relativamente limitato – da qualche mese a un anno – per disgregare interamente tutti i tessuti intorno alle ossa.
  • In particolari condizioni, i corpi dei defunti possono mummificarsi naturalmente – per esempio, per dessicazione, o per congelamento; è qust’ultimo il caso di Ötzi, sulla cui mummia – scoperta nel 1991 ma risalente a oltre 5 migliaia di anni fa – è nata persino la bufala di una maledizione.
  • La “saponificazione”, ovvero la formazione di adipocera nel cadavere, può prevenire la decomposizione dei cadaveri; anche in questo caso, le cause dipendono da condizioni ambientali – per esempio nel caso dei cadaveri rimasti a lungo sommersi in acqua, in condizioni specifiche.
  • In condizioni normali – secondo la formula enunciata dal medico legale Johann Ludwig Casper – lo stato di decadimento di un cadavere esposto all’aria per 1 settimana corrisponde a 2 settimane di un corpo in acqua e 8 di uno sottoterra[1].

LE ORIGINI

La credenza si è diffusa in più contesti successivi all’ampliamento dell’utilizzo alimentare di conservanti chimici, in particolare nella prima metà del secolo scorso – se voci dicono che fosse già nota ai tempi della guerra in Vietnam, il 7 maggio 1991 (come riporta Paolo Attivissimo in un articolo dedicato a questa credenza) la testata statunitense di notizie false “Weekly World News” pubblicò un rapporto sulla capacità dei conservanti chimici, accumulati nel corpo, di mantenere “freschi come margherite” i cadaveri all’obitorio. Si trattava, tuttavia, di un articolo completamente inventato, da una testata nota per articoli quali “scoperti i resti originali della mela dell’Eden”.

Il Prof. Rainer Horn

Più recentemente, nel 2003, il canale televisivo russo NTV diffuse la notizia citando in particolare il caso di uno specialista berlinese chiamato Werner Stolz che presentò, nel corso di una conferenza a Düsseldorf, 32 esempi di corpi riesumati in “perfette condizioni” dopo oltre 20 anni nella tomba. Il testo integrale venne tradotto in inglese 9 anni più tardi da un sito amatoriale, riportando tuttavia come fonte il “Daily Mail” (del quale tuttavia non è possibile rintracciare alcun riferimento online). Nel brano, comunque, non c’era alcuna menzione dei processi di mummificazione o saponificazione dei corpi, fenomeno ben conosciuto e nota causa di conservazione a lungo termine dei cadaveri. Un altro articolo correlato del 2003, questa volta sul Telegraph, faceva riferimento all’aumento considerevole del fenomeno dei corpi incorrotti nei cimiteri di Germania, Austria e Svizzera, al punto da scatenare un problema di sovraffollamento dei loculi. Lo specialista citato per studiare il caso, il Prof. Rainer Horn della Christian-Albrechts University di Kiel (di cui si trova menzione anche nell’originale di NTV) ha poi pubblicato nel 2017 uno studio risolutivo della questione del sovraffollamento; come riporta l’abstract:

la decomposizione dei resti umani tumulati nei cimiteri può essere ritardata dalla scarsa aerazione delle tombe, dovuta all’innalzamento delle acque di falda e dalla bassa permeabilità dell’area di inumazione per il ricambio di acqua e ossigeno”.

La causa del problema citato dal Telegraph e utilizzato come giustificazione all’effetto dei conservanti alimentari, quindi, dipende dalla conformazione del terreno del cimitero, e non ha niente a che fare con il caso in oggetto.

NOTE

[1] Si veda, come riferimento, l’Handbook of Forensic Medicine o lo studio Factors affecting human decomposition” della Queen’s University di Belfast, pagina 8.

Tutte le foto mostrate nell’articolo sono di Pubblico Dominio o con licenza CC senza obbligo di attribuzione, salvo quando diversamente indicato nella didascalia. Si ringrazia la Dr.ssa Alessandra Mazzucchi per i preziosi riferimenti forniti.

5 pensieri riguardo ““I cadaveri oggi si decompongono molto lentamente a causa dei conservanti alimentari”. Sarà vero?

    • A mio avviso, un esempio di pessimo giornalismo, sia nel ricercare che nel riportare le fonti. Come noterà, l’articolo da lei linkato (del 2013) fa riferimento proprio al caso ingigantito degli obitori tedeschi, citato anche in fondo all’articolo di QueryOnline; l’assenza di riferimenti scientifici chiari in questi articoli dovrebbe essere di per sè già un buon indicatore della loro scarsa attendibilità. La conferenza a cui si fa riferimento trattava una condizione molto specifica e locale, e i fatti vengono narrati distorti ed esagerati, sia nei numeri che nella rilevanza dei fenomeni. La conservazione dei cadaveri dipende da fattori esterni all’eventuale presenza di conservanti nei cibi; ad oggi, non esiste documentazione scientifica che riporti un ritardo quantificabile della decomposizione causato dall’eventuale accumulo di conservanti (accumulo che sarebbe di per sé preoccupante più per i vivi che per i morti).

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  • Si dovrebbe pensare maggiormente al mantenimento dei corpi…la nostra civiltà non ha sviluppato un buon progresso sotto quest’aspetto…al contrario di culture antiche che addirittura credevano alla resurrezione già prima dell’avvento di Gesù Cristo (da un punto di vista storico).
    Occorrerebbe unire tutte le scoperte scientifiche in un’unica scienza…ibernazione, tecniche di mantenimento…

    Che sia fatta una Volontà oltre umanità…

    un motto: Fede, mele, carne, malva, un pò di vino…una preghiera…diritti e un pò di sana scienza…competenza ed esperienza…

    un grazie alle buone Volontà…

    vita eterna…

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  • Caro Rodolfo, la “resurrezione” di questo Tuo articolo, dovuto a recenti commenti (?!?) mi dà la voglia, che due anni fa non ebbi, di chiarire che, a mio modesto giudizio, uno studio scientifico solo non è mai risolutivo, anche quando rispecchia el nostre opinioni. Probabilmente ogni luogo di sepoltura va studiato a sé. Per poi fare una Meta-Analisi. riconosco, ovviamente, che hai scritto bene e anche io non credo che i cadaveri ben conservati in aumento abbiano qualche relazione coi conservanti alimentari ingeriti. I vermi ptofagi, se lasciati liberi di agire, non sono sensibili alle porcherie che abbiamo mangiato.

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    • Buongiorno Aldo! Lo studio singolo citato riguarda solo, nello specifico, il caso tedesco; l’ho definito (in effetti impropriamente) “risolutivo” non perché fosse quello che dichiarava una posizione scettica, ma perché prendeva per primo in considerazione il contesto specifico locale. Ma il punto più importante dell’articolo è, secondo me, che il fenomeno della “decomposizione ritardata” non è mai stato osservato nelle Body Farm, che si occupano proprio di studiare la decomposizione dei cadaveri. Questo supposto “fenomeno” è quindi, quando non apparente, presumibilmente sporadico, verosimilmente legato al contesto ambientale specifico del singolo cadavere, e non un problema alimentare (perché, se così fosse, il fenomeno dovrebbe essere ormai ampiamente e quasi universalmente visibile e non sporadico, considerata la diffusione attuale dei conservanti).

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