18 Aprile 2024
Approfondimenti

Diserbanti nel piatto: il rischio zero è possibile?

E’ di oggi la notizia dell’assoluzione del glifosato da parte dell’ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche), che l’ha classificato come non cancerogeno e non mutageno, in contrasto a quanto aveva fatto invece la IARC (Agenzia nazionale per la ricerca sul cancro). Chi ha ragione? C’è da preoccuparsi? Monica Bonetti e Giovanni Perini ci aiutano a fare chiarezza.

Piacerebbe a tutti poter avere la certezza che ciò che mangiamo sia privo di sostanze che possano farci male. Purtroppo tutto sembra cospirare contro questo nostro desiderio, sia perché i vegetali sono molto bravi a produrre vere e proprie armi chimiche per difendersi dai pericoli, sia perché, per garantire produzioni agricole affidabili e non inquinate da organismi in grado di produrre sostanze molto pericolose (come certi funghi), siamo spesso costretti a fare ricorso a pesticidi e fertilizzanti, di cui può restare traccia su quello che mangiamo, o nell’ambiente. Possiamo quindi solamente cercare di ridurre al minimo questi rischi, scegliendo quali sostanze utilizzare e studiandone gli effetti sulla salute.

Garantire la salubrità del cibo richiede un grande impegno di risorse, e sono molti gli enti nazionali e internazionali che si occupano a vario titolo di sicurezza alimentare. Uno di essi è la International Agency for Research on Cancer (IARC), che dipende direttamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ed ha il compito di individuare tutto ciò che può aumentare il rischio di ammalarsi di tumore.

Nel marzo 2015 IARC ha rivisto la sua valutazione riguardo un gruppo di diserbanti di cui fa parte anche il glifosato, riclassificandoli tra i probabili cancerogeni (tabella 2A)1.

La potenziale pericolosità di un diserbante non sarebbe una notizia, ma il glifosato è un caso particolare, perché uno dei tratti genetici più diffusi in agricoltura è proprio la resistenza ai diserbanti, e la resistenza a questo particolare diserbante è stata ottenuta con un tecnica che rientra nella definizione legale di ingegneria genetica: vietare il glifosato significa togliere dal mercato un’intera classe di OGM.

Con la riclassificazione del glifosato è iniziata una campagna mediatica per chiederne la messa al bando, una richiesta ragionevole, a prima vista: se una sostanza è pericolosa, meglio non usarla. Tuttavia, analizzando in dettaglio la questione emergono alcuni problemi. Il glifosato non è l’unica sostanza tossica usata in agricoltura, e non è neppure tra le più pericolose. Ogni diserbante, pesticida o fitofarmaco prevede precise norme d’uso, ed esistono soglie di sicurezza per i residui che può lasciare nell’ambiente e nel cibo. Eliminare il glifosato significa essere costretti ad utilizzare in sostituzione altre sostanze, o altre tecniche, che possono comportare rischi maggiori per la salute o per il terreno. A complicarci la vita si aggiunge anche il fatto che ad essere probabilmente cancerogeni non sono solo le sostanze di sintesi: nella categoria dei cancerogeni accertati (tabella 1) troviamo anche un composto chiamato acetaldeide, una molecola presente naturalmente nella frutta matura e nei latticini2: eppure non ci sembra ragionevole mettere al bando questi alimenti. Sempre a proposito di pesticidi di origine naturale, nel 1990 un gruppo di ricercatori dell’Università della California, quantificò il peso di tutti i pesticidi presenti in quello che mangiamo: il 99% di essi è di origine naturale3.

Una quantificazione in peso non ci dice quasi nulla sulla pericolosità, ma quella che sembra solo una curiosità, suggerisce una riflessione importante: cercare di eliminare dalla nostra tavola tutto ciò che potrebbe farci male non è possibile. Se vogliamo migliorare la salubrità del nostro cibo dobbiamo affrontare la questione con un approccio più sofisticato, che ci permetta di gestire la scomoda constatazione che l’azzeramento dei rischi è una impossibilità tecnica, e che muoversi “a sensazione” può aumentare questi rischi anziché diminuirli.

Queste considerazioni generali però ancora non ci aiutano a capire cosa fare nel caso particolare del glifosato; la lista di pesticidi messi al bando è lunga, a cominciare dal DDT fino ai neonicotinoidi, e nel 1992 toccò anche ad un diserbante molto usato in agricoltura: l’atrazina. Potrebbe avere senso rinunciare anche al glifosato.

A complicare il dibattito pubblico, nel novembre 2015, si è aggiunta un’altra valutazione sul glifosato, questa volta da parte della European Food Safety Authority (EFSA), che però l’ha assolto4.

Il dibattito si è quindi spostato sui criteri usati dai due organismi internazionali per selezionare le ricerche da includere o escludere nella valutazione, e sul peso dato ad ogni singola ricerca. Non è sempre facile raggiungere un’opinione condivisa nel mondo della scienza, soprattutto quando i dati empirici scarseggiano. È facile mettersi d’accordo sulla pericolosità del fumo, o sulle responsabilità umane nel riscaldamento globale, dove la mole di dati a disposizione è enorme; molto meno facile trovare accordo su argomenti circoscritti come la cancerogenicità di un singolo diserbante. Della difficoltà nell’ottenere risposte chiare su argomenti complessi si è occupato anche Andrea Ferrero proprio sulle pagine di Query5.

Tuttavia, la discussione sulla maggiore o minore solidità dei dati a sostegno della cancerogenicità del glifosato ci aiuta poco a rispondere alla domanda che più ci interessa, che è sottilmente diversa dal semplice sapere se il glifosato è potenzialmente cancerogeno oppure no.

Sappiamo che ciò che mangiamo contiene piccole quantità di acetaldeide, un cancerogeno accertato. Ci dobbiamo preoccupare?

Analogamente, sappiamo che in ciò che mangiamo potrebbero esserci piccole quantità di glifosato. Ci dobbiamo preoccupare?

A maggio del 2016 viene pubblicata una nuova valutazione sul glifosato, firmata da OMS e FAO, che di nuovo scagiona il glifosato6. Questa nuova valutazione è particolare, perché lo IARC è parte dell’OMS: essa è quindi basata anche sulla relazione dello IARC.

Per capire è necessario andare a guardare con attenzione ciò che afferma la relazione OMS/FAO, ed in particolare ad un dettaglio che troppo spesso sfugge alla stampa non specializzata. Nel rapporto sintetico OMS/FAO troviamo le conclusioni riguardanti la cancerogenicità del glifosato:

«[…] è improbabile che il glifosato sia genotossico alle dosi attese nella dieta.»
«[…] è improbabile che il glifosato ponga un rischio di tumore nell’uomo attraverso l’esposizione con la dieta.»

Il punto cruciale sono quelle due precisazioni: «alle dosi attese nella dieta» e «attraverso l’esposizione con la dieta». Questo è l’elemento chiave che ci consente di affrontare il problema di cui si è parlato all’inizio dell’articolo: la presenza ubiquitaria di sostanze potenzialmente pericolose.

Chi si occupa di sicurezza, non solo nel settore alimentare, distingue infatti due concetti sottilmente diversi. Il primo è il concetto di pericolo (in inglese hazard), che qui possiamo semplificare come la possibilità astratta che qualcosa vada storto: è possibile che un meteorite ci colpisca, quindi i meteoriti sono un pericolo. Il secondo concetto è invece il rischio (in inglese risk), che qui possiamo semplificare come la possibilità concreta che un dato pericolo diventi reale. Ricevere un meteorite in testa è un pericolo, ma non un rischio, perché le probabilità che accada sono così basse da essere trascurabili. È cioè necessario anzitutto valutare la probabilità che il pericolo sia reale. Un pericolo può infatti essere in linea di principio gravissimo, ma avere pochissime probabilità di esistere davvero. Ad esempio il caffè è stato inizialmente classificato come possibile cancerogeno dall’IARC, ma successivamente la stessa agenzia lo ha scagionato.

La contraddittorietà delle valutazioni IARC da una parte, e OMS/FAO dall’altra, è in realtà soprattutto dovuta al diverso ruolo che queste valutazioni hanno nel complicato compito di rendere ciò che mangiamo più sicuro. IARC ha come scopo principale quello di dare indicazione del pericolo legato alla cancerogenicità, cioè della probabilità che questo pericolo esista veramente. Spetterà poi ad altre istituzioni valutare se e in che modo questo pericolo si concretizza in un rischio, ed agire di conseguenza.

Sempre nelle tabelle dello IARC troviamo un ottimo esempio di questa dicotomia pericolo/rischio: nella tabella 1, quella dei cancerogeni accertati, troviamo l’esposizione ai raggi solari. È ormai noto che esporsi al sole troppo a lungo e senza protezioni adeguate aumenta il rischio di tumori alla pelle, però anche non esporsi affatto al sole non fa bene alla salute: è la dose a fare la differenza, come ci insegnò Paracelso qualche secolo fa.

Nel caso del glifosato, dunque, possiamo lasciare agli esperti l’ingrato compito di quantificare la solidità delle evidenze di cancerogenicità; questi stessi dati empirici già ci dicono che le dosi a cui siamo esposti noi consumatori (o anche gli addetti ai lavori) sono abbastanza basse da metterci al sicuro da rischi quantificabili.

A meno che un giorno non arrivino nuovi dati a suggerire che le cose stiano diversamente, come sempre può accadere nel mondo della scienza.

 

Note:

  1. Una sintesi della rivalutazione del glifosato a di altri erbicidi è stata pubblicata su The Lancet a marzo 2015, mentre la monografia completa è stata pubblicata ad aprile 2016.
  2. La ricerca, pubblicata nel 2011, conclude che la maggior parte dell’esposizione all’acetaldeide deriva dagli alcolici e dal tabacco: è quindi più razionale preoccuparsi anzitutto di queste due fonti.
    Uebelacker M, Lachenmeier D. W.; Quantitative Determination of Acetaldehyde in Foods Using Automated Digestion with Simulated Gastric Fluid Followed by Headspace Gas Chromatography; J Autom Methods Manag Chem. 2011; 10.1155/2011/907317.
  3. Ames BN, Profet M, Gold LS; Dietary pesticides (99.99% all natural); PNAS 1990 Oct;87(19):7777-81.
  4. Rapporto dell’EFSA sulla tossicità del glifosato
  5. Andrea Ferrero; Uno studio non fa primavera. La difficile arte di decifrare il consenso scientifico; Query n. 27, autunno 2016, pag. 60.
  6. «[……] glyphosate is unlikely to be genotoxic at anticipated dietary exposures.»
    «[……] glyphosate is unlikely to pose a carcinogenic risk to humans from exposure through the diet.»
    (Summary Report della FAO sulla tossicità di glifosato e altri diserbanti analoghi).
    Una valutazione analoga la troviamo anche nel report della Environmental Protection Agency (EPA) americana:
    «The strongest support is for “not likely to be carcinogenic to humans”at doses relevant to human health risk assessment.»
    EPA, 12 set 2016, pp 141. Notate anche qui il riferimento alle dosi cui siamo effettivamente esposti.

 

Approfondimento: Rischio e pericolo

Essere colpiti da un meteorite è un rischio? Tecnicamente sì: è successo ad un ragazzo di quattordici anni nel 2009. Dobbiamo dunque preoccuparci ogni volta che usciamo di casa, o evitare di farlo per ridurre il rischio? Probabilmente no; è molto più facile essere investiti da un’auto, per cui meglio continuare a guardare dove stiamo andando, visto che la nostra capacità di attenzione è limitata, anziché per aria alla ricerca di improbabili corpi celesti in rotta di collisione con noi.

Resta il fatto che il rischio non è mai zero, e questo vale anche per le innumerevoli sostanze che possiamo trovare in ciò che mangiamo: anzi, le piante sono specialiste nel produrre piccoli arsenali chimici per difendersi da ogni sorta di parassiti; secondo una stima pubblicata su PNAS nel 1990, la quasi totalità dei pesticidi che mangiamo ha origine naturale. Ad esempio, nel 2004, guadagnò gli onori della cronaca la presenza, nel basilico, di quantità non trascurabili di una sostanza che potrebbe essere cancerogena: il metileugenolo.

Sperare di azzerare i rischi alimentari è dunque impossibile: il rischio zero non esiste. Fortunatamente siamo ben attrezzati per difenderci; nella maggior parte dei casi, fegato e reni sono in grado di gestire le molecole estranee e potenzialmente dannose, se queste sono in quantità limitate. È proprio la quantità delle sostanze potenzialmente pericolose cui siamo esposti (esposizione) a permetterci di discriminare tra i rischi che richiedono una considerazione immediata (le automobili), e quelli che possono essere trascurati, almeno temporaneamente (il meteorite). E di focalizzare quindi le nostre attenzioni sui primi

Di queste valutazioni si occupano opportuni enti nazionali e sovranazionali, come la European Food Safety Authority (EFSA) di Parma.

Foto di Th G da Pixabay

8 pensieri riguardo “Diserbanti nel piatto: il rischio zero è possibile?

  • Dà due anni tratto il mio frutteto con glifosade, come effetto i lombrichi sono scomparsi.
    Quando fa scomparire uno dei migliori alleati dell’uomo nel terreno non c’è altro da aggiungere.

    Rispondi
  • L’argomento cruciale contro il glifosato è la congettura
    di cancerogenicità.
    Ora che tale congettura va indebolendosi, saltano fuori
    subito altre accuse, come ci vede dai due commenti
    comparsi sopra. Se anche queste due accuse dovessero
    essere confutate … non c’è problema. Ne arriverebbero
    altre, e poi altre, all’infinito.
    Il pregiudizio è inesauribile.

    Rispondi
  • Sto zappando un terreno che viene trattato con glifosato ogni anno da almeno un lustro e di lombrichi ce ne sono in abbondanza.

    Rispondi
  • Dalla foto si direbbe che il glifosate viene sparso sui vigneti con gli elicotteri…
    Mettere una foto che abbia un senso è troppo difficile?

    Rispondi
  • Pingback: Glifosato: facciamo il punto della situazione! – Inchiostro Virtuale

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