16 Aprile 2024
Il terzo occhio

Ötzi: venticinque anni per una maledizione

Articolo di Sofia Lincos e Roberto Labanti

Venticinque anni fa, il 19 settembre 1991, i coniugi Erica ed Helmut Simon trovarono un corpo mummificato nei pressi del ghiacciaio del Similaun, al confine tra Italia e Austria, e più precisamente fra la Val Senales e l’Ötztal: dal nome di quest’ultima i resti vennero soprannominati “Ötzi”.

Il recupero si presentò fin da subito abbastanza complesso: inizialmente si pensò di essere di fronte a quanto rimaneva di un alpinista disperso, e il primo tentativo di una squadra di soccorso austriaca non ebbe successo. Il 21 il corpo venne raggiunto dagli alpinisti altoatesini Hans Kammerlander e Reinhold Messner, e il 23 avvennero finalmente il recupero e il trasporto a Innsbruck, con modalità non ottimali che danneggiarono il reperto.

La mummia venne identificata con quella di un uomo vissuto nell’Età del Rame (tra 5100 e 5300 anni fa), e per un po’ rimase contesa tra Italia e Austria: anche se venne immediamente stabilito che la scoperta era avvenuta, seppure per meno di 100 metri, al di qua del confine italiano, ci vollero diversi anni perché la mummia tornasse in Italia. Solo nel 1998, infatti, Ötzi potè prendere posto in una cella frigorifera del Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, fatta costruire su misura per lui.

Sulla sua scoperta aleggia, da un po’ di tempo, l’ombra di una maledizione: Ötzi avrebbe punito con una morte prematura le persone che ne avrebbero turbato il sonno. A rafforzare questa idea contribuisce sicuramente l’ipotesi che l’uomo sia stato, in vita, una sorta di sciamano; ma, come fa notare anche il sito del museo che ne conserva le spoglie, “a suffragio di quest’ipotesi non ci sono indizi”.

L’idea di una maledizione cominciò a prendere corpo quando morì Helmut Simon, uno dei due alpinisti artefici della scoperta di Ötzi. Un decesso avvenuto nel 2004 in circostanze simili a quelle dell’uomo di Similaun: scomparso durante un’escursione su un ghiacciaio austriaco, l’alpinista fu ritrovato solo dopo parecchi giorni, probabilmente sepolto da una slavina.

Ma la vera fama arrivò nell’agosto 2006 quando due giornalisti francesi, Guy Benhamou e Johana Sabroux, pubblicarono “La maledizione di Ötzi: 7 morti misteriose attorno a una mummia di 5.300 anni fa.” Da quel momento, i mass media hanno etichettato come “morte maledetta” il decesso di qualsiasi persona che abbia avuto anche lontanamente a che fare con la mummia: attualmente il conto varia, a seconda della fonte, da 8 a 10 vittime. Un numero abbastanza esiguo, se si confronta con la più celebre “maledizione di Tutankhamon“.

Nel conteggio “canonico” vengono fatti rientrare, oltre al già citato Helmut Simon, Rainer Henn, patologo dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Innsbruck, morto in un incidente automobilistico nel 1992 (colpevole di aver diretto la squadra che esaminò per prima il corpo di Otzi); e Kurt Fritz, alpinista morto in una valanga nel 1993, che organizzava tour sul luogo del ritrovamento della mummia; poi l’australiano Rainer Hoelz, operatore della rete televisiva ORF, morto di tumore al cervello (che aveva girato un documentario sull’uomo dei ghiacci); e infine tre degli studiosi che esaminarono il corpo: Friedrich Tiefenbrunner (deceduto nel 2005 per complicazioni durante un’operazione cardiaca), Konrad Spindler (morto anche lui nel 2005, per SLA) e Tom Loy (morto nel 2005 per una patologia del sangue).

Curiosamente, nel computo viente fatta rientrare anche Dieter Warnecke, che non ebbe a che fare direttamente con il corpo di Ötzi, ma che diresse la squadra di soccorso per il recupero di Helmut Simon.

Una vera maledizione, dunque? In realtà si tratta di un caso da manuale di “cherry picking”: Ötzi è una vera e propria miniera di informazioni per chiunque voglia saperne di più sui nostri progenitori dell’Età del Rame, e il suo corpo è stato esaminato da centinaia di ricercatori che ne hanno studiato vestiti, ferite, tatuaggi, corredo genetico. Molte persone sono state coinvolte nel suo recupero, nelle prime analisi e nella successiva realizzazione del museo a lui dedicato. Tra tutte queste, trovarne una decina non più in vita a distanza di 25 anni non sembra un caso così eccezionale. Come spiega Angelika Fleckinger, direttrice del Museo di Archeologia di Bolzano dove Ötzi riposa in una cella frigorifera:

«Più di 150 scienziati sono entrati in contatto con la mummia e la maggior parte di loro sta assolutamente bene»

Foto di Franz W. da Pixabay

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