18 Aprile 2024
Interviste

L’arte di stupire: intervista a Mariano Tomatis

Si definisce istillatore di meraviglia o “tecnico dello stupore”. Mariano è scrittore, art director e illusionista. Sempre a caccia di storie curiose, crede che il compito del divulgatore coincida con quello del mago: incoraggiare a vivere in uno stato di continua meraviglia. 

Ti sei definito un “tecnico dello stupore”, ma che cosa significa essere un ”tecnico”? In che cosa consiste il tuo lavoro?

Contrariamente a quanto può sembrare, la meraviglia è un’emozione che si può evocare attraverso tecniche e metodi codificati. Per farlo è necessario riflettere sulla sua natura elusiva, individuarne le caratteristiche e ingegnerizzare le condizioni che possono attivarla. Gli studi scientifici sullo stupore sono pochi ma estremamente interessanti e lo spazio per ulteriori indagini è ampio. Il mio lavoro si inserisce in questo filone e nasce dal mio interesse per l’illusionismo.

Quali caratteristiche deve avere un grande mentalista?

Ho affrontato il tema del mentalismo nel mio libro Te lo leggo nella mente, una prima introduzione all’arte di stupire in un contesto teatrale dagli spiccati contenuti cerebrali. Nel mio libro successivo, L’arte di stupire (scritto con Ferdinando Buscema), riprendo il discorso allargandolo alla vita quotidiana: in che modo i principi dell’illusionismo possono essere usati da chiunque – mentalisti e non – per incoraggiare uno sguardo sul mondo pieno di meraviglia e creare situazioni apparentemente magiche? I due libri sono come un sasso lanciato nello stagno: via via che i cerchi si allargano, la tematica coinvolge un numero maggiore di persone – e non a caso lo slogan che i Wu Ming hanno usato per presentare il libro è “Magia al popolo!” Dunque approfitto per allargare anche la tua domanda: quali caratteristiche deve avere un grande mago? Ne isolo una, la meno ovvia: deve distogliere lo sguardo dal proprio ombelico e rivolgerlo agli altri; troppi illusionisti usano la propria arte per darsi delle arie, offrendo mere dimostrazioni di potere e instaurando con il proprio pubblico un rapporto di dominio verticale. Abbiamo bisogno di maghi capaci di raccontare storie corali, abili a sfruttare la propria arte per proporre scenari utopici. Urgono illusionisti che mettano a disposizione i propri incantesimi per obiettivi rivoluzionari.

Quando fai i tuoi trucchi è importante capire chi hai di fronte? O la loro riuscita non dipende dal tuo interlocutore?

Mettere al centro il proprio interlocutore serve anche a progettare esperienze magiche più efficaci e memorabili. Nessuna illusione funziona allo stesso modo con tutti: ogni persona ha la propria visione del mondo e i propri schemi mentali; per stupirla bisogna violare i “suoi” presupposti. Se leggo nella mente di qualcuno che crede nella telepatia, la reazione sarà molto più debole rispetto a quella di uno scettico di ferro. Proprio come quando si organizza una festa a sorpresa, conoscere i gusti della persona da coinvolgere consente di personalizzare l’esperienza e renderla più profonda e multiforme. Ma spostare il focus sull’interlocutore significa togliere se stessi dal centro della scena – un’accortezza di cui pochi illusionisti colgono l’importanza.

Programmi Tv come “Lie to me” o “The Mentalist” ti aiutano o ti complicano la vita?

Come nei racconti di Sherlock Holmes, le due serie TV celebrano una strana razionalità “dopata”, con cui si possono compiere imprese che rasentano la magia. Come tali, si collocano in una corrente letteraria chiamata “New Romance”, i cui autori mirano a coniugare realismo e romanticismo, creando universi narrativi coerenti dove convivono meraviglia e disincanto. Creando il suo detective più famoso, Sir Arthur Conan Doyle fu tra i primi a elaborare storie capaci di meravigliare gratificando la razionalità: le doti deduttive del detective di Baker Street erano al contempo meravigliose e ragionevoli, e i racconti talmente verosimili che alcuni lettori erano convinti della sua reale esistenza. Distinguendola dalla razionalità vera e propria, Michael Saler chiama “razionalità animista” tale approccio. L’animismo, a lungo considerato una peculiarità degli uomini primitivi, alla fine dell’Ottocento fu rivalutato come un attributo universale del pensiero umano, che emergeva dalla spontanea interazione tra la ragione e l’immaginazione. A un secolo di distanza, non a caso il grande pubblico chiama mentalist uno dei discendenti di Sherlock Holmes, il Patrick Jane dell’omonima serie televisiva: le narrative del mentalismo contemporaneo, infatti, sono ancora efficaci nel riconciliare la visione scientifica moderna e il senso della meraviglia. L’errore, naturalmente, sta nel confondere tali scenari fittizi con la realtà.

Il mentalismo può fare anche “paura”?

Quando è ben progettata, la magia può destabilizzare, specie chi è più rigido nell’escludere la dimensione dell’irrazionale dalla propria esistenza. Facendoci sperimentare l’impossibile, le esperienze magiche mettono in crisi le storie che ogni giorno ci raccontiamo per spiegare la realtà. Ma c’è un risvolto positivo: costringendoci a elaborare racconti nuovi e più ampi, possono allargare i confini della nostra esistenza. Questo passaggio, però, non è automatico: alcuni individui non si concedono di provare le tipiche emozioni irrazionali suscitate dalla magia. Etichettando le esperienze magiche come «scherzo», «inganno» o «truffa», le persone più razionali ne rifiutano i risvolti più preziosi. A chi sa coglierli, invece, esse offrono possibilità nuove e inesplorate di fare esperienza della vita attraverso il mescolamento di elementi della realtà in nuove combinazioni, l’ambiguità del mistero e l’invito a contribuire creativamente con la propria immaginazione.

Tu ti definisci un Wonder Injector, “colui che infonde meraviglia”. Tu riesci ancora a meravigliarti? C’è ancora un mentalista o illusionista che riesce a colpirti?

La domanda mi ricorda De Andrè, che chiedeva al mercante di liquore: «Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?» A teatro mi ha impressionato Luke Jermay: il suo spettacolo di mentalismo ha seriamente minacciato vent’anni di mie letture critiche sulla parapsicologia; l’esperienza parapsicologica che offre al pubblico è indistinguibile dal paranormale autentico, anche per un addetto ai lavori. Nell’ambito della scrittura, i testi teorici dei Wu Ming – e i loro “oggetti narrativi non identificati” – sono la frontiera più avanzata della narrativa: le loro riflessioni sul potere della parola nel plasmare mondi utopici e far interagire le storie con la realtà sono quanto di più epico e sorprendente abbia mai letto.

Qual è il confine tra scienza, mistero e illusionismo?

I tre ambiti si sovrappongono in altrettante aree grigie, la cui natura liminale le rende oasi fertili su cui coltivare spunti creativi. Laddove regole e definizioni diventano sfumate si sperimenta una libertà preziosa per chi mira a evidenziare le meravigliose stranezze di cui è fatto il mondo.

Ti sei laureato in informatica, hai la passione per i numeri e la matematica, e poi hai sviluppato questo interesse per tutto l’ambito del mistero. Queste cose non sembrano combaciare, eppure tu ci riesci. Come? Qual è il tuo asso nella manica?

Pur senza programmare nulla, guardandomi indietro mi accorgo di aver tratto continua ispirazione dall’accostamento di mondi apparentemente distanti e dall’esplorazione delle intersezioni; sperimentare sulle aree grigie porta a galla frammenti stuporosi. Mi è successo unendo matematica e magia (nel libro La magia dei numeri); matematica e criminologia (in Numeri assassini); geometria e paranormale (studiando l’ortotenia ufologica, la struttura dei cerchi nel grano e le geometrie sacre); magia e sessismo (nel documentario Donne a metà); illusionismo e resistenza (nel laboratorio magico NoTAV organizzato in val di Susa). In ordine di tempo, l’ultimo strano incrocio che ho esplorato è quello tra l’illusionismo e la Rivoluzione Francese, in margine al romanzo L’armata dei sonnambuli: il “Laboratorio di Magnetismo Rivoluzionario” è un’esperienza live da me realizzata con il collettivo Wu Ming che offre al pubblico un’immersione a 360 gradi nelle tematiche del mesmerismo, della suggestione e dei risvolti politici della magia.

In passato ti sei interessato di molti fenomeni amati dagli appassionati di misteri come la Sindone, Gustavo Rol, Rennes-le-Château. Di quali “misteri” ti piacerebbe occuparti in futuro?

Ripartendo da L’arte di stupire mi piacerebbe approfondire gli effetti che le storie hanno sugli individui, evocando in loro commozione, angoscia, serenità, paura… Proprio come le carte nascoste nelle maniche e i fili invisibili, le parole sono strumenti per progettare esperienze magiche dal profondo impatto emotivo. Per di più sono alla portata di tutte le tasche, nessuno può arricchirsi facendone un monopolio né invecchiano nei cassetti o si usurano con il tempo. Insomma, usando un termine caro agli illusionisti, sono il “gimmick” più economico e potente che si possa immaginare.

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