16 Aprile 2024
Il terzo occhio

Dimostrare l’esistenza delle camere a gas

In occasione del Giorno della Memoria, che cade nell’anniversario della liberazione di Auschwitz, pubblichiamo la traduzione di un articolo di Michael Shermer sul negazionismo dell’Olocausto, in attesa di occuparci nuovamente dell’argomento in futuro in modo più approfondito.

L’articolo originale (Proving the Holocaust: The Refutation of Revisionism & the Restoration of History), è stato pubblicato su Skeptic, Vol. 2, N. 4, Altadena, California, giugno 1994.

Come sappiamo che i nazisti usarono le camere a gas per sterminare in massa gli ebrei? In generale, nello stesso modo in cui abbiamo le prove dell’Olocausto – una convergenza di evidenze provenienti da varie fonti:

1. Documenti scritti – Ordini per il gas Zyklon B, preventivi e ordini per i materiali di costruzione dei crematori, eccetera;
2. Testimonianze oculari – I diari dei sonderkommandos, le confessioni di guardie e comandanti, eccetera;
3. Fotografie. Non solo dei campi, ma particolarmente interessanti sono le fotografie scattate di nascosto ai corpi che bruciavano, contrabbandate al di fuori di Auschwitz;
4. I campi stessi – test forensi che sono stati condotti dimostrano l’uso omicida di camere a gas e crematori con lo scopo preciso di sterminare un gran numero di prigionieri (Pressac, 1989; Pressac and Van Pelt, 1994);
5. Le prove negative – abbiamo documenti che attestano il numero di prigionieri spediti nei vari campi, il numero di quelli trasferiti, e di quelli liberati. La differenza tra l’ultimo e i primi due dà un’approssimazione del numero di coloro che morirono o furono uccisi (vedi Hilberg, 1961).

Una volta che questi dati storici sono stati messi insieme l’onere della prova ricade sui revisionisti e tocca a loro smontarli, sia individualmente che nel complesso.

Per corroborare le fotografie abbiamo le testimonianze. Judith Berg, una sopravvissuta che ha passato sette mesi ad Auschwitz e che è apparsa con me da Donahue [in una trasmissione televisiva sulla Shoah, N.d.T.], ha confermato che i corpi venivano bruciati in massa. Edith Gleick [un’altra sopravvissuta, N.d.T.] mi ha dato una descrizione del processo di separazione e smistamento che avveniva sulla banchina del treno a Auschwitz, che si accorda completamente con le foto degli ebrei ungheresi presentate sopra. E abbiamo migliaia di testimonianze come questa […].

E, ovviamente, non abbiamo solo i racconti dei sopravvissuti. Abbiamo anche le confessioni delle guardie, come l’SS-Unterscharfuehrer Pery Broad, catturato il 6 maggio 1945 dagli inglesi nella loro zona di occupazione. Broad cominciò a lavorare a Auschwitz nel 1943 all’interno della “sezione politica” e rimase lì fino alla liberazione del campo, nel gennaio 1945. In questo periodo lavorò come interprete per gli inglesi e al processo scrisse un memorandum, che fu trasmesso ai servizi segreti britannici nel luglio 1945. A dicembre dichiarò sotto giuramento che ciò che aveva scritto era vero. Il 29 settembre 1947 quel documento fu tradotto in inglese e usato nei processi di Norimberga in relazione alle camere a gas e ai meccanismi di omicidio di massa. Più tardi quello stesso anno fu rilasciato. Nell’aprile 1959, Broad fu chiamato a testimoniare in un processo contro le SS di Auschwitz e riconobbe la paternità del memorandum, confermò la sua veracità, e non ritrattò nulla.

La ragione di questa lunga digressione sul memorandum di Broad è che i revisionisti rifiutano tutte le confessioni dei nazisti come estorte, o fatte per ragioni psicologiche bizzarre. Broad non fu mai torturato e non aveva assolutamente nulla da guadagnare confessando, ma tutto da perdere. Quando gli fu data la possibilità di ritrattare (cosa che certamente avrebbe potuto fare nell’ultimo processo) non lo fece. Invece, descrisse dettagliatamente la procedura di uccisione tramite gas, incluso lo Zyklon-B, i primi esperimenti del suo utilizzo nel blocco 11 di Auschwitz, la struttura delle camere temporanee nelle due fattorie abbandonate di Birkenau (Auschwitz II), chiamate correttamente in gergo “Bunkers I e II.” Ricordò anche la costruzione dei crematori I, II, III e IV a Birkenau, illustrando accuratamente (in confronto ai progetti) la struttura degli spogliatoi, la camera a gas e il crematorio. E poi descrisse l’effettivo processo di uccisione in macabri dettagli (Shapiro, 1990):

I disinfestatori sono al lavoro… Con una sbarra di ferro e un martello aprono un paio di scatole di latta apparentemente innocue, le avvertenze dicono Cyclon [sic] anti-parassitario, attenzione, velenoso. Le scatole sono piene di piccole pastiglie che sembrano piselli blu. Quando la scatola viene aperta il contenuto viene buttato giù attraverso un’apertura nel tetto. Quindi un’altra scatola viene svuoltata nella successiva apertura, e così via. Dopo circa due minuti le grida si smorzano e diventano un basso lamento. La maggior parte degli uomini hanno già perso conoscenza. Dopo ulteriori due minuti… è tutto finito. C’è un silenzio di tomba. …I corpi vengono impilati, con le bocche aperte. E’ difficile tirare fuori dalla camera i corpi intrecciati, quando il gas ne ha indurito gli arti.

I revisionisti puntano sul fatto che i quattro minuti indicati da Broad per il processo sono in contrasto con altre dichiarazioni, come quella del comandante Hoess, secondo cui il tempo era più vicino ai 20 minuti. A causa di queste discrepanze minori, i revisionisti rifiutano il resoconto per intero. (Cole, 1994) Ma questo è un uso inappropriato dei dati storici. Una dozzina di testimonianze diverse danno una dozzina di tempistiche diverse per quanto riguarda la morte per gas. Il fatto che queste non combacino perfettamente significa forse che non ci furono affatto persone uccise dal gas? Ovviamente no. Infatti, il processo di uccisione avrebbe potuto durare tempi diversi a causa di qualsivoglia condizione, inclusa la temperatura (la dispersione dello Zyklon-B dipende dalla temperatura dell’aria), il numero di persone nella stanza, la grandezza della stanza e la quantità di gas immessa al suo interno; per non parlare delle differenze psicologiche nella percezione temporale di osservatori diversi. Se la stima dei tempi fosse stata esattamente la stessa, piuttosto, avremmo dovuto sospettare che tutti avessero ricavato la loro storia da una singola fonte.

I revisionisti fanno un simile ragionamento riguardo alla confessione della SS-Obersturmbannfuehrer Rudolf Hoess, sovrintendente di Auschwitz dal 20 maggio 1940 all’11 novembre 1943. Hoess fornì le sue testimonianze il 5 aprile 1946, del tutto all’oscuro del memorandum di Pery Broad (e viceversa). Perfino il Tribunale di Norimberga, mentre processava Hoess, era all’oscuro del documento di Broad. Questo è importante perché anche se i revisionisti rifiutassero completamente la testimonianza di Hoess, cosa che fanno (Cole, 1994, Weber, 1994b) avrebbero comunque il problema di spiegare perché i due racconti coincidano così bene. Hoess menziona i primi esperimenti di uccisione tramite gas a Auschwitz I, i due bunker di Birkenau, la costruzione delle quattro grandi strutture di Birkenau che includevano spogliatoi, camere a gas e crematori, esattamente come Broad.

Inoltre, dopo esser stato riconosciuto colpevole e condannato a morte, Hoess scrisse un manoscritto autobiografico di 250 pagine che ribadisce entrambe le sue precedenti testimonianze e corrobora le affermazioni di Broad. Sul procedimento, per esempio, confrontate la testimonianza di Hoess con quella di Broad qui sopra:

Allora, immediatamente, la porta venne chiusa ermeticamente, e una latta di gas fu immediatamente lanciata sul pavimento, attraverso un’apertura collegata al condotto di aerazione nel soffitto della camera a gas, da parte dei disinfestatori. Questo portò all’immediata fuoriuscita del gas. Attraverso lo spioncino si poteva vedere che coloro che erano vicini al condontto di aerazione morivano immediatamente. Si può dire che circa un terzo moriva all’istante senza accorgersene. Gli altri continuavano a lottare, urlare, soffocare. Ma presto le urla diventavano rumori di morte, e dopo pochi minuti erano tutti a terra. Dopo un massimo di venti minuti, nessuno si muoveva più.

Broad e Hoess non si erano mai incontrati prima della cattura di Hoess l’11 marzo 1946 (10 mesi dopo quella di Broad). Ma se anche si volesse congetturare un incontro segreto tra i due prima che Broad fosse catturato, perché avrebbero dovuto mettere in piedi una storia che li avrebbe sicuramente condannati? Non c’è modo di rifiutare razionalmente questa convergenza di prove (vedi Klarsfeld, 1978, per dettagli su queste e molte altre testimonianze, così come Auschwitz: A History in Photographs di Teresa Swiebocka).

Per quanto riguarda le ricerche di David Cole [un negazionista molto attivo negli anni ’90, che attualmente ha ritrattato molte sue tesi, almeno pubblicamente, ma le cui affermazioni hanno ancora seguito, NdT] sulle camere a gas, tra i suoi “38 Most Important Unanswered Questions” figura la seguente:

A Mauthausen, le camere a gas non hanno serrature alle porte, nè buchi o fessure dove i lucchetti avrebbero potuto esserci un tempo. Le porte possono essere aperte sia dall’interno che dall’esterno. Come puoi uccidere della gente lì dentro? Le vittime non avrebbero forse spalancato e tenuto aperte le porte?

Secondo la ricostruzione di Nazi Mass Murder (Kogon et al., 1993), invece, la camera a gas di Mauthausen si trovava nella cantina di un bunker, vicino ai crematori, senza finestre e con due porte che “potevano essere sigillate ermeticamente”. Il gas veniva pompato dentro dalla camera accanto, chiamata “cella del gas” attraverso un tubo smaltato “che correva in uno spazio di circa un metro nel fianco della parete (in altre parole, sul lato non visibile dalla stanza). I resti di questa struttura della camera a gas possono essere visti ancora oggi”. (p. 177)[…]

Cole ha filmato anche le camere a gas di Majdanek:

La camera a gas 1 aveva due porte, entrambe aperte. I corpi non si sarebbero potuti accalcare contro le porte come descritto dai testimoni. E comunque non avevano serrature. Non ci sono fessure o altro dove queste avrebbero dovuto essere. Inoltre, c’era una finestra realizzata con una lastra di vetro, senza buchi intorno dove un tempo avrebbero dovuto esserci sbarre o altri rivestimenti. Nella camera a gas 2 c’è un buco per l’ingresso dello Zyklon-B nel soffitto, ma niente tracce di Zyklon-B o chiazze blu; nella camera 3 ci sono pesanti tracce di Zyklon-B dal pavimento al soffitto, ma niente fori di introduzione, o segni che i ci siano mai stati. Inoltre, le porte si chiudono dall’interno all’esterno all’esterno, e le griglie poste sulle porte delle camere 2, 3 e 4 sono collegate all’esterno tramite spioncini. Cosa avrebbe impedito alle vittime di rompere il vetro?

Kogon et al. ammettono che “le testimonianze su queste strutture o non sono state raccolte in maniera sistematica, o non sono state conservate”. Ma spiegano che all’inizio a Majdanek “due camere a gas vennero installate in una baracca di legno, poi un edificio in mattoni fu messo in servizio. Le due camere temporanee furono in seguito utilizzate come essiccatoi.” Esistono ancora i progetti di un’azienda berlinese, Auert, per la realizzazione di “porte in ferro con relative guarnizioni in gomma, fatte in modo da poter essere sigillate in maniera sicura”. Se Cole ha osservato le baracche di legno originali, evidentemente furono modificate in seguito per un uso diverso, il che potrebbe spiegare la finestra e la mancanza di serrature. E per le altre camere, i nazisti usarono anche monossido di carbonio, cosa che giustifica la mancanza di tracce e macchie blu di Zyklon-B nella camera 2. Secondo i documenti della corte, lo Zyklon-B veniva “vuotato direttamente nelle camere attraverso imbuti installati nel soffitto, ma anche da macchine che producevano l’aria calda necessaria al rilascio del gas, specialmente quando il tempo era freddo.” (p. 175). Questo può spiegare le tracce e le chiazze nella camera 3 che non aveva un buco di introduzione – semplicemente il gas non veniva introdotto attraverso il soffitto.

La fallacia di Cole è pensare, in generale, che le prove dell’esistenza di camere a gas poggino solo su questi dettagli. Non è così. Kogon et al., per esempio, includono una dozzina di racconti di testimoni che certificano la loro presenza in ciascun campo. Quando si hanno prove così schiaccianti, provenienti da molte fonti diverse sugli omicidi di massa nei campi di sterminio, non ci si dovrebbe fermare a quale tipo di maniglia sia presente in una camera a gas. A meno che, ovviamente, non si voglia andare alla ricerca di problemi per supportare una particolare tesi, che è ciò che penso abbia fatto Cole – consciamente o inconsciamente.

Per quanto riguarda i crematori, il lavoro di Pressac sull’argomento è stato condensato e pubblicato da Robert-Jan Van Pelt e Michael Berenbaum in un capitolo del libro Anatomy of the Auschwitz Death Camp (1994). Ciò che colpisce di più del lavoro di Pressac è la documentazione del processo di evoluzione e miglioramento dei crematori, e tutti i problemi che i nazisti superarono nel frattempo. I fallimenti erano molto più comuni dei successi. I nazisti, comunque, erano tenaci e lavorarono diligentemente per apportare delle migliorie. Nel 1939 i crematori di Dachau potevano gestire solo due corpi all’ora. Una versione migliorata installata più tardi ad Auschwitz aumentò il numero a 70 al giorno, prima che venissero compiuti omicidi di massa. Dal 1941, invece, ad Auschwitz furono installati cinque crematori di tre forni ciascuno collegati a una canna fumaria unica. Questo significa, teoricamente, la possibilità di bruciare 1440 corpi in un periodo di 24 ore, 532.000 all’anno. La capacità potenziale dei crematori di bruciare oltre un milione di corpi a Auschwitz nel corso dei vari anni era certamente quella. La realtà effettiva del processo, comunque, era piuttosto diversa. I crematori erano costantemente rotti. E’ per questo che abbiamo così tante testimonianze (e una fotografia) della cremazione di massa dei corpi in campi e fosse comuni – un’altra convergenza di prove.

Foto di Krzysztof Pluta da Pixabay

8 pensieri riguardo “Dimostrare l’esistenza delle camere a gas

  • La scelta di pubblicare tradotto in Italiano lo Studio di Michael Shermer in occasione del Giorno della Memoria fa onore al CICAP. La rivista Skeptic ha colto con grande sensibilità l’ opportunità di coniugare uno studio Storico-Scientifico al dovere da parte di tutti gli Uomini di Buona Volontà di rispondere alla campagna che dai tempoi di Paul Rassinier http://www.graphosedizioni.it/rassinier.htm cerca di mettere in dubbio questo Crimine contro l’ Umanità.

    Rispondi
  • Dopo questo doveroso e amichevole riconoscimento, devo però dirVi che, dal mio punto di vista, valutate le Testimonianze, i Filmati, le Fotografie, i Documenti Storici, gli Esperimenti Scientifici, le Cartelle Cliniche, quando si parla di Paranormale e, in particolare, di Miracoli, allo stesso modo in cui i Revisionisti e i  Negazionisti valutano questi Documenti sull’ Olocausto. In particolare i Testimoni, per Voi, sono tutti di parte o poco credibili. Se l’ attendibilità dei Testimoni non potesse essere valutata in modo oggettivo e credibile, non si potrebbero fare Processi, non solo quello di Norimberga.

    Rispondi
    • Non sono uno storico, ma sulla questione delle camere a gas vorrei suggerire un libro che mi sembra possa mettere la parola fine alla questione della loro esistenza. SI tratta de “Gli architetti di Auschwitz” di Karen Bartlett, editore Newton Compton, 4,90€ in edizione economica.
      Viene documentata la storia della ditta Topf che fornì i forni crematori a quasi tutti i campi di concentramento e di sterminio nazisti.
      Questa ditta progettò, migliorò, sperimentò varie soluzioni, in un caso anche con una cavia umana viva, per soddisfare la necessità dell’amministrazione dei campi di far sparire rapidamente e in modo efficiente, le migliaia di cadaveri “prodotte” giornalmente.
      E’ significativa la “gara” che avviene tra i progettisti della Topf, alcuni non iscritti al partito nazista, per migliorare la combustione dei cadaveri.
      Il libro documenta anche le rimostranze delle SS che reclamano la riparazione “in garanzia”
      di alcuni forni di Auschwitz difettosi. A queste la ditta Topf risponde a muso duro, senza timore reverenziale, che i guasti sono determinati dall’eccessivo carico dei forni poiché su una sola muffola, progettata per un solo cadavere, le SS pretendono di bruciare anche due o tre corpi in contemporanea.
      La Topf si occupò anche di velocizzare le gassazioni istallando aspiratori di sua invenzione per liberare rapidamente il vano delle camere a gas dai vapori di acido cianidrico e procedere rapidamente alla gassazione successiva.
      Dalle tragedie del secolo scorso vorrei chiudere con: “le caste sono svanite”; “la povertà e il disagio sono stati superati”.
      A molti queste parole ricorderanno un nostro giovane politico che neanche due anni fa, incidentalmente da un balcone, proclamava la sconfitta della povertà e la lotta alle caste.
      Chi vorrà leggere il libro troverà a pagina 43 le stesse parole, tratte da un opuscolo celebrativo dei 60 anni della ditta Topf, per esaltare la figura di un certo Adolf Hitler.
      Cordiali saluti.
      Fabrizio MARCELLA

      Rispondi
      • Grazie per la segnaalzione, Fabrizio. Anche se la Tua “risposta” a me, dopo 7 anni e su un commento che ci entra poco (avevo posto , o tentato di porre, l’ attenzione sul fatto che gli Scettici, quando devono credere a qualcosa che non gli piace, sono identici ai Complottisti e a tutti quelli che considerano nemici e che prendono di mira) mi fa temere che Tu non volessi rispondere a me, ma Tu abbia digitato l’ invio su un posto sbagliato della pagina. Chiarisco, visto che atteraversiamo tempi in cui ci si divide e non ci si ascolta, che io credo nell’ Olocausto e che il Nazismo abbia progettato lo sterminio degli Ebrei.

        Rispondi
  • Certo che e’ esistito lo sterminio degli ebrei, altrimenti si sarebbero dovuti mettere d’accordo centinaio di persone per raccontare una balla, voi negazionisti siete solo degli ignoranti di prima riga !!!

    Rispondi
  • Ancora a credere a queste bischerate..!! La Shoa, chiamiamola Olocausto, non è mai esistita. E’ frutto soltanto delle menti perverse di una lobby ebraica. Ancora una volta è demente chi ci crede.
    Alberto

    Rispondi
    • La diffusione dell’ignoranza che abbiamo permesso nelle scuole non ce la fara’ passare liscia, assieme con il permissivismo che abbiamo nel lasciare che certe idee idiote possano manifestarsi, sia pur a un livello tanto basso che c’e’ da dubitare che si tratti di semplice trollaggio. Dovremmo aver fatto come gli americani, che costrinsero molti cittadini tedeschi ad andare a vedere cosa succedeva nei lager.

      Rispondi

Rispondi a Aldo Grano Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *