19 Aprile 2024
Il terzo occhio

Un chip di cane? No, di bufala

Una donna di Ciriè (TO) va a mangiare in un “ristorante orientale”. Tornata a casa, comincia a sentirsi male. Viene portata in ospedale, dove il personale medico scopre l’origine del disturbo: nello stomaco della donna è presente un microchip. La carne consumata era quella di un cane.

Questa raccapricciante storia è stata pubblicata il 10 aprile su Il Canavese, un piccolo giornale della provincia torinese, ovviamente in prima pagina. L’articolo completo è disponibile solo in formato cartaceo, ma i particolari possono essere letti grazie ai diversi quotidiani online che hanno ripreso la notizia: ArticoloTre, FanPage, AmbienteBio o VitaDaDonna – a cui però va il merito di aver provveduto a una rettifica.

Già, perché la storia riportata ha tutte le caratteristiche di una leggenda metropolitana: nessun dettaglio sul nome della protagonista o sul ristorante incriminato; una vicenda che sembra fatta apposta per destare rabbia e indignazione, e che fa leva su alcuni pregiudizi piuttosto comuni sullo “straniero”; ma, soprattutto, una straordinaria diffusione in luoghi e città diverse. Su Facebook e altrove, la notizia compare ciclicamente, ambientata di volta in volta a Perugia, Grosseto, Modena, Brescia, Firenze, Milano, Vicenza. Per far capolino anche sulla carta stampata, come nell’articolo del Canavese o in quest’altro del Corriere di Maremma.

Poco importa se alcuni elementi della storia siano abbastanza inverosimili. Tanto per fare un esempio, il microchip viene inserito sottopelle, e non nel muscolo dell’animale: anche con una sommaria scuoiatura, difficilmente il dispositivo rimarrebbe nella carne. In secondo luogo, le dimensioni di un chip sono di circa 11 x 2 mm: in una persona adulta l’ingestione di un corpo estraneo così piccolo non crea problemi, e finisce per essere espulso naturalmente senza che l’interessato nemmeno lo sappia (la rimozione chirurgica viene effettuata in genere solo per oggetti superiori a 2 centimetri). In alcune varianti della storia, poi, il malore è dovuto all’acido della batteria del microchip, cosa impossibile (gli impianti usano una tecnologia RFID, senza fonti di energia all’interno).

Ma si sa, le leggende metropolitane non devono per forza essere sensate per essere diffuse; e infatti questa storia esiste e resiste da almeno sei anni. Già nel 2007, infatti, un utente di Yahoo Answers scriveva, in merito ai ristoranti cinesi:

Un tizio dalle parti mie è finito all’ospedale con forti dolori di stomaco. Gli hanno trovato nello stomaco un micro chip di quello usato per i cani. Non ti dico altro….

A quanto pare, questa storia è diffusa anche all’estero. Negli USA circola una variante della leggenda secondo cui una uomo si sarebbe ritrovato con un oggetto incastrato tra i denti dopo aver mangiato in una “curry house” indiana; rimosso dal dentista, il corpo estraneo si sarebbe poi rivelato un microchip canino. In un’altra versione (diffusa anche in Italia), il cliente di un ristorante cinese viene soffocato o ferito da un piccolo osso rimastogli in gola, osso che viene poi identificato come quello di un cane, di un gatto o di un topo. Una voce forse imparentata con un’altra leggenda, quella del cane mandato in cucina per essere sfamato con gli avanzi e poi cucinato e servito ai suoi stessi padroni (e agli appassionati dei film di Fantozzi forse ricorderà qualcosa). O con la storia che vorrebbe gli involtini primavera riempiti direttamente con carne umana, quella dei morti cinesi fatti sparire per riciclarne i passaporti.

Tutte leggende metropolitane che, a volte, possono creare danni economici veri e propri: ne sanno qualcosa i titolari del Wok Sushi, un locale in provincia di Padova, che sono stati costretti a sporgere denuncia contro ignoti per difendersi dalle dicerie.

Molte persone raccontano che un cliente venuto da noi si sarebbe ritrovato in una pietanza a base di carne un microchip.

Sappiamo di un bel gruppo di donne che ha deciso all’ultimo di non venire da noi per la festa dell’8 marzo, proprio perché allarmato dalla storia del microchip canino. Alcuni clienti abituali non si vedono da giorni. E poi le dicerie in piazza non ci contano più ormai. Le notizie di cronaca sulla carne di cavallo nei sughi e sui cinghiali radioattivi, poi, hanno aiutato a far lievitare la diffidenza. È un’ingiustizia e per questo abbiamo deciso di rivolgerci alle autorità. Speriamo che questo atto di forza sia riconosciuto dalla gente.

Peggio è andata al China Rose, ristorante nei dintorni di Doncaster, che ha dovuto chiudere per effetto di analoghe voci sul suo conto:

Gli idioti che hanno dato il via a questa cosa non hanno idea delle implicazioni. Ci si mette anni a costruirsi una buona reputazione, ma non ci vuole molto per distruggerla.

Foto di Joelmills da Wikimedia Commons, licenza CC BY-SA 3.0 Unported

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

13 pensieri riguardo “Un chip di cane? No, di bufala

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