18 Aprile 2024
Dal mondo

Il mostro venuto dal mare

Articolo di Lorenzo Rossi, Roberto Labanti e Sofia Lincos

Se c’è una cosa in cui il naturalista americano di origini scozzesi Ivan Terence Sanderson (1911-1973) non aveva rivali, questa era sicuramente il suo estro fuori dal comune nel coniare neologismi inerenti argomenti scientifici controversi.

Fu ad esempio l’inventore del termine OOPART (Out of Place Artifacts) (1) e co-inventore, assieme allo zoologo belga Bernard Heuvelmans, della parola criptozoologia (2).

Sempre incline all’ironia, fu egli stesso una figura controversa, in grado di affiancare ad interessanti contributi alla zoologia della sua epoca (guidando spedizioni scientifiche per conto del British Museum in aree allora poco note della Nigeria e della Malesia), ardite teorie e racconti di avventure mirabolanti (altra cosa in cui non era secondo a nessuno), che caratterizzarono tutta la sua prolifica produzione scientifico-divulgativa.

Da grande ammiratore di Charles Fort, amava molto scartabellare tra gli archivi alla ricerca di notizie zoologiche curiose e bizzarre da cui trarre spunto per realizzare articoli. Così, nel 1962, sulle pagine del numero di agosto di Fate, con il titolo “Monster on the Beach” raccontò di uno strano ritrovamento avvenuto a sud di Sandy Cape, sulla costa occidentale dello stato australiano della Tasmania, due anni prima…

Arrivano i globster

Alcuni mandriani avevano rinvenuto un’enorme massa di tessuto organico arenata sulla spiaggia. Lunga sette metri, larga sei e apparentemente priva di scheletro, fu scrupolosamente esaminata e descritta come resistente, “gommosa” e in ottimo stato di conservazione. Sembrava ricoperta da uno strato di peli sottili, che gli allevatori descrissero untuosi al tatto, e possedeva quattro lobi penduli nella parte anteriore.

Quando la notizia giunse a Hobart, capitale della Tasmania, un uomo d’affari locale, G.C. Cramp, decise di finanziare il Tasmanian Museum che inviò sul luogo una squadra di quattro persone guidata da Bruce Mollison, della Wildlife Survey Section della Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO, l’agenzia federale che si occupa della ricerca scientifica in Australia).

The Mercury, 9 marzo 1962 (riprodotto in Ellis, R. 1994. Monsters of the Sea. Robert Hale, London)

Quando gli uomini della squadra raggiunsero il posto e riuscirono a localizzare la carcassa, poterono appurare che le voci arrivate alla capitale erano sostanzialmente corrispondenti al vero.

Mollison aggiunse inoltre di avere affondato il suo coltello da caccia “nella carne color avorio”, la quale era però risultata molto tenace e simile a cuoio molto spesso. Impossibilitato ad identificare i resti della creatura, le sue conclusioni in merito alla faccenda rimasero piuttosto vaghe:

Si tende sempre a rifiutare l’ipotesi di un animale sconosciuto. Si cerca sempre qualche spiegazione […] Esistono soltanto due possibilità: che l’animale sia sconosciuto o che si tratti dei resti di un animale conosciuto. (3)

I giornali dell’epoca pubblicarono un disegno della strana creatura (che tra le altre cose sembrava possedere anche degli apparati laterali simili alle branchie degli squali), che fu battezzata “mostro della Tasmania”.

Sanderson, nella sua trattazione dell’argomento sulle pagine di Fate, sposò l’ipotesi che vedeva nello strano ammasso una creatura marina ancora sconosciuta alla scienza, ma considerata l’estrema stranezza del reperto, non ne tentò una classificazione. Coniò invece, per definire quello e altri ritrovamenti simili, il termine globster, dalla contrazione delle parole inglesi “globular” e “monster”.

Inutile aggiungere che questo nome colpì nel segno e fece subito presa in ambito giornalistico.

Un fascino che non tramonta

“Mostro” delle Filippine. Immagini MIO Office

A dire il vero è probabilmente grazie a questa parola e al suo potere di evocare qualcosa di misterioso e sconosciuto, che ancora oggi casi come questi godono di una certa eco sui quotidiani e sui social.

L’ultima segnalazione risale infatti al 23 febbraio scorso e proviene dalle Filippine, dove su una  spiagga delle isole di Dinagat, a Cagdianao, è stata rinvenuta una carcassa di circa 6 metri di lunghezza con tutte le caratteristiche tipiche del caso come il colorito biancastro e una sorta di peluria lungo il corpo.

La notizia, diffusasi alquanto velocemente su Internet, non è però stata troppo colorita dai mass media, che pur accennando ad ipotesi su animali marini improbabili, ha diffuso anche la corretta interpretazione del fenomeno:

I rapporti ieri dicevano che il cadavere della creatura marina era ritenuta essere un dugongo, ma il team [dispiegato dalle autorità] ha constatato in modo unanime che si trattava di una balena [o balyna nel dialetto di Tagalog e Lomod in quello di Surigaonon], cosa confermata anche dal personale del Bureau of Fisheries and Aquatic Resources (BFAR). Dato lo stato di decomposizione, rimane incerta la specie particolare. Il BFAR PDI ha inviato campioni dell’esemplare al BFAR di Manila per esami di laboratorio.

Nulla di mostruoso

I “responsabili” di questo, e di altri casi simili a questo, sono infatti di norma grossi cetacei, o più correttamente, parti anatomiche di quest’ultimi. La spessa consistenza gommosa difficile da scalfire è dovuta all’eccezionale strato adiposo di questi animali, mentre l’effetto della pelliccia è dato dallo sfaldarsi delle fibre del tessuto connettivo.

Nel frattempo le autorità della municipalità di Cagdianao, hanno deciso di fare seppellire la carcassa e di raccoglierne le ossa in un secondo momento per il museo della città e per la corretta attribuzione della specie spiaggiata.

Nell’estate del 2003 questo globster, rinvenuto sulla spiaggia cilena di Los Muermos, fu per breve tempo ritenuto una piovra gigante. Foto per gentile concessione di Elsa Cabrera

Non sempre però le ossa sono presenti nelle carcasse spiaggiate: anzi, gran parte del mito dei globster nasce proprio da questo particolare anomalo. Gli episodi più famosi riguardavano infatti ammassi informi non riconducibili in apparenza a nulla di noto, tanto che furono anche chiamati in causa presunti molluschi abissali giganteschi. D’altro canto le balene sono animali praticamente inconfondibili, cosa può avere colpito così tanto la fantasia degli osservatori? E che fine hanno fatto le loro ossa? Scheletri di animali che superano facilmente i dieci metri non possono certo volatilizzarsi nel nulla.

Il fatto è che tra i grandi mammiferi dell’oceano figura il capodoglio, il più grande tra i cetacei odontoceti, la cui enorme testa raggiunge 1/3 della lunghezza totale del corpo. Quest’ultima possiede inoltre una sorta di “sacco” contenente una sostanza cerosa ben conosciuta sin dagli albori della baleneria: lo spermaceti. Particolarmente ricercato sino al XIX secolo come combustibile per le lampade a olio, ha la proprietà di cambiare la propria densità specifica liquefacendosi e solidificandosi, risultando così una sorta di “zavorra naturale” che aiuta il capodoglio nelle immersioni ed emersioni.

Apparato scheletrico di un capodoglio. In rosso la cavità dello spermaceti.

In casi particolari, alla morte dell’animale, questa parte del capo può strapparsi dal resto dello scheletro, che di norma affonda, per poi spiaggiarsi risultando totalmente irriconoscibile  agli occhi dell’osservatore. Questa spiegazione, già proposta in passato, ha trovato conferma, nel 2004, grazie ai risultati di un’indagine sugli amminoacidi contenuti nei tessuti di alcuni globster (tra cui anche il mostro della Tasmania) di cui erano stati conservati dei campioni, ad opera di Sidney K. Pierce della University of South Florida e del suo team (4).

E il “mostro” spiaggiato nelle Filippine? Al momento le informazioni e le foto disponibili rendono impossibile stabilire con certezza se si tratta di un capodoglio o di un’altra specie di cetaceo. Forse maggiori informazioni giungeranno dagli esami di laboratorio attualmente in corso: analisi, come quelle di Pierce, che difficilmente vengono effettuate per tutte le carcasse spiaggiate. Forse il “mistero” dei globster dipende anche da questo.

Note

1 Ciardi, M. (2017). Il mistero degli antichi astronauti. Carocci Editore.

2 Rossi, L. (2016). A Review of Cryptozoology: Towards a Scientific Approach to the Study of “Hidden Animals”. In: Angelici F. M. (ed.) Problematic Wildlife A Cross-Disciplinary Approach. Springer International, pp. 573-588

3 Greenwell, R. (1988). Bermuda blob remains unidentified. The ISC Newsletter 7(3):1-6

4 Pierce, S. K. et al. (2004). Microscopic, Biochemical, and Molecular Characteristics of the Chilean Blob and a Comparison With the Remains of Other Sea Monsters: Nothing but Whales. The Biological Bulletin 206(3):125-133

Immagine di copertina © MIO Office

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