19 Aprile 2024
Il trillo del diavolo

Il trillo del diavolo: “El mustru”

In questa rubrica di Query Online raccontiamo, un brano alla volta, la musica intrisa di scienza e misteri: è il turno di Davide Van De Sfroos, con un articolo di Roberta Baria (autrice di Un mostro nel lago? Padova: Cicap, 2016)

ho visto il lago squarciarsi
ho visto coprirsi il cielo
e la luna cadere giù
era fatto come un’anguilla,
era grosso come un battello
e mangiava tutte le stelle,
una biscia incatramata,
con la bocca spalancata
e occhi dell’altro mondo…

Così dice la canzone di Davide Van De Sfroos “El mustru”, contenuta nell’album del 2001 “…e semm partii“.

Nato a Monza, Davide Van De Sfroos, all’anagrafe Davide Bernasconi, è cresciuto a Mezzegra, nel “cuore” del lago di Como. Quasi tutte le sue canzoni (e i suoi libri) fanno capo al Lario e alla sua gente. Storie atipiche le sue, come d’altronde lo è la “lingua” che utilizza: la maggior parte dei testi è pensata, scritta e cantata in dialetto laghée, lingua oscura per i milanesi, non familiare per bresciani e bergamaschi e assolutamente aliena per tutti gli altri. Eppure ha funzionato.

Cantante di estrazione folk, ma con insospettabili passioni che vanno dal metal più violento alla new age più lagnosa, se volessimo associare un elemento a questo “cantautore di frodo” (Van De Sfroos significa “vanno di frodo”), sarebbe l’acqua, l’acqua del Lago: la sfera magica per le sue canzoni. Intorno a questo cosmo liquido gravitano i suoi eroi, veri o immaginari. Personaggi da bar, donne, contrabbandieri e pescatori. Ambientazioni epiche sono di casa nelle “canzoni De Sfroos” e non è raro sentir parlare di personaggi mitici, elfi, vampiri, fantasmi o altre strane creature. Esempi lampanti sono “Il figlio del Guglielmo Tell” dove immagina i pensieri del povero figlio che si ritrova con in testa una mela o “Fendin” dove racconta la leggenda del Fendin, storia di streghe e mancate benedizioni.

Nell’album in questione, “…e semm partii”, i testi narrano le tragicomiche avventure di emigranti con le valigie di cartone, treni fantasma, viaggiatori malinconici e supersalvatori alieni come Capitan Kurlash. Storie raccontate con sonorità blues e folk.

Ti aspetto qui seduto con in mano solo una fiocina
e non sono affatto spaventato,
fai vedere a questi pezzi di merda se sei
dentro nel lago
o nella testa di un rimbambito

Arriviamo a “El mustru”, una canzone in cui troviamo un vecchio pescatore che se ne va cavalcando una sedia a rotelle e impugnando una fiocina, a sfidare quel mostro che si era mangiato la sua dignità. Insomma questa è la storia di un uomo che ha visto, o forse ha creduto di vedere, un terribile mostro spuntare dalle acque del lago, simile ad un’anguilla, ma grosso come un battello. Da quel giorno, la gente del paese andò a prendere il pesce da lui solo per poterlo prendere in giro e nemmeno i bambini gli credevano: tutti gli ridevano alla spalle. Da “Re dei pescatori” era diventato “Re dei rimbambiti”. Adesso vecchio, ricoverato in ospedale e imbottito di medicine, continua a guardare il lago, in attesa che il mostro ritorni. Fino a quando… fino a quando non decide di prendere e andare a sfidare la sua bestia.

Ma la provocazione che lancia Van De Sfroos è: El mustru è esistito veramente o è solo un ricordo nascosto nel bicchierino delle pastiglie di un vecchio malato?

Il “re dei pescatori” di Davide è un personaggio inventato, ma il mostro lacustre a cui fa riferimento è una storia esistente. Il Lago di Como infatti sarebbe come Loch Ness. I 146 chilometri quadrati del terzo lago più vasto d’Italia (dopo il Garda e il Maggiore) e soprattutto i 416 metri di profondità (un valore notevole, che fa del Lario uno dei laghi più profondi di tutta Europa) nasconderebbero un mostro.

Larrie, così è stato chiamato, avrebbe radici leggendarie. Ci porta sulle sue tracce un dipinto del Fiammenghino, risalente al XVI secolo, senza contare la figura mostruosa, un drago alato, dipinta all’interno della chiesa dell’Abbazia di Piona. Ma gli avvistamenti veri e propri iniziano negli anni Quaranta. Tutto ebbe inizio nel 1946 quando il settimanale Il Corriere Comasco annunciò: “La paurosa avventura di due cacciatori brianzoli”. Due giovani cacciatori, nei pressi del Pian di Spagna a Colico, videro spuntare dall’acqua un mostro orribile “dalla testa crestata di colore rosso bruno”. Il mostro fu subito battezzato con il nome di Lariosauro, per poi essere chiamato affettuosamente Larrie, tanto per non farsi mancare niente rispetto a Nessie.

Il nome Lariosauro in realtà non è un’invenzione di quegli anni, infatti il termine designa un rettile acquatico preistorico, dal collo molto allungato, che nel Triassico, 230 milioni di anni fa, abitava queste zone. Si iniziò quindi a dire che Larrie potesse proprio essere un esemplare miracolosamente sopravvissuto di questo antico ed estinto dinosauro acquatico.

Nell’arco di pochi mesi da quel novembre del ’46 la notizia di un mostro nelle acque del Lago di Como fece il giro di tutti i quotidiani d’Italia e, come sempre in questi casi, fu come scoperchiare un vaso di Pandora. Gli avvistamenti del mostro cominciarono a fiorire su tutte le sponde del lago e negli anni diversi furono i sommozzatori che si immersero nelle acque per scandagliare i fondali.

Inutile dire che, proprio come a Loch Ness, anche sulle sponde del Lario nacque un vero e proprio “fenomeno mostro”, decisamente inferiore per avvistamenti e business, ma pur sempre esistente. C’è chi a Larrie ha dedicato romanzi, poesie, opere d’arte, fumetti (come nel caso di Paperino) e persino tesi di laurea. Poi c’è proprio la canzone di Van de Sfroos, che riportò la storia alla ribalta.

Un mustru, senza i me occ el ghe sariss mai staa“, ovvero “un mostro, senza i miei occhi non ci sarebbe mai stato”.

Così recita la canzone e, a pensarci bene, non ha tutti i torti. Come nel caso di Loch Ness, tutte le prove “pro Lerrie”, non sono abbastanza scientificamente convincenti per dichiarare la sua esistenza. Ebbene sì il Lariosauro probabilmente non esiste, tuttavia il fascino che esercita il “potrebbe essere” è innegabile. Questa è una gran bella storia e Van De Sfroos, da buon intenditore, non se l’è fatta scappare.

C’è chi sostiene che nemmeno svuotando il Loch Ness la gente smetterebbe di credere a Nessie. Anche per il lago di Como è così e per questo ci sarà sempre qualcuno che starà lì su quel pontile ad aspettare per facch vede a’sti tòcc de merda se te seet deent in del laagh o nel coo de un rembambii!

TESTO ORIGINALE TRADUZIONE
Parlumm mea de barbera,
nel buceer gh’è la dencéra
che la riid senza di me
e sun ché cun l’infermiera
setaa giò sô na cadréga
che la viàggia de par lee.
Non parlarmi di barbera,
nel bicchiere c’è la dentiera
che ride senza di me
e sono qui con l’infermiera
seduto su una sedia
che viaggia da sola.
E anca el suu nel curiduur me paar piô lüü,
el vôôr parlàmm
dumandi al laagh, da la finestra,
se’l se regorda chi è che sun…
per questa geent che vee a truvamm
                                           [cun scià i biscott
sun piô nagott.
Dumanda ai pèss, dumanda ai sàss,
che luur la sànn quel che ho vedüü.
E anche il sole nel corridoio non mi sembra più lui,
ma vuole parlarmi;
domando al lago, dalla finestra,
se si ricorda chi sono…
per questa gente che viene a trovarmi
[portandomi i biscotti
non sono più nessuno.
Domanda ai pesci, domanda ai sassi
che loro sanno quel che ho visto.
Perchè adess g’ho sô el pigiama
ma regordes che una volta
seri el re di pescaduu,
ho vedüü sguaràss el laagh,
ho vedüü quatàss el cieel
e la loena burlà giò,
l’era faa cumè un’anguila,
l’era gross cume un batèll
e’l majava tücc i stell,
una bissa incatramata,
cun la buca sbaratada
e cui ôcc dell’oltrummuund…
Perchè adesso sono in pigiama,
ma ricordati che una volta
ero il re dei pescatori,
ho visto il lago squarciarsi,
ho visto coprirsi il cielo
e la luna cadere giù,
era fatto come un’anguilla,
era grosso come un battello
e mangiava tutte le stelle,
una biscia incatramata
con la bocca spalancata
e occhi dell’altro mondo…
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
ma l’era mea el film de l’uratori.
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
vegnüü’n de un teemp che l’era piô el sò.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
ma non era il film dell’oratorio.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
venuto in un tempo che non era più il suo.
E i m’hann truvaa luungh e tiraa
cunt i ôcc de indemuniaa
e che parlavi de par me.
E mi hanno trovato disteso
con gli occhi da indemoniato
che parlavo da solo.
“Vardii el re di pescaduu,
stravacaa in so la sua barca,
che’l se sbatt cumè un cagnott !”
“Guardate il re dei pescatori
capovolto sulla barca
che si sbatte come un cagnotto!”
M’hann dii che el mustru l’era el diabete
per mea dimm che seri màtt;
quand che passavi me salüdaven,
quand se giràvi sentirvi riid
vegniven tücc a crumpà el pèss
per ghignà un zicc, per cumpatìmm;
gnanca i fiôô m’hann mai credüü
e seri el re di rembambii.
Mi hanno detto che il mostro era il diabete
per non dirmi che ero matto;
quando passavo mi salutavano
quando mi giravo sentivo ridere,
venivano tutti a comprare il pesce
per ridere un po’, per compatirmi;
neanche i bambini mi hanno mai creduto
ed ero il re dei rimbambiti.
Perchè adess g’ho sô el pigiama
ma regordes che una volta
seri el re di pescaduu,
ho vedüü sguaràss el laagh,
ho vedüü quatàss el cieel
e la loena burlà giò,
l’era faa cumè un’anguila,
l’era gross cume un batèll
e’l majava tücc i stell,
una bissa incatramata,
cun la buca sbaratada
e cui ôcc dell’oltrummuund…
Perchè adesso sono in pigiama
ma ricordati che una volta
ero il re dei pescatori,
ho visto il lago squarciarsi
ho visto coprirsi il cielo
e la luna cadere giù,
era fatto come un’anguilla,
era grosso come un battello
e mangiava tutte le stelle,
una biscia incatramata
con la bocca spalancata
e occhi dell’altro mondo…
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
ma l’era mea el film de l’uratori.
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
vegnüü’n de un teemp che l’era piô el sò.
Ho vedüü el mustru,
ho vedüü el mustru,
s’erun mi e’l mustru,
el mustru in mezz al laagh.
Dumà me e’l mustru,
dumà me e’l mustru,
s’erun mi e’l mustru,
el mustru in mezz al laagh.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
ma non era il film dell’oratorio.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
venuto in un tempo che non era più il suo.
Ho visto il mostro
ho visto il mostro,
eravamo io e il mostro
il mostro in mezzo al lago.
Soltanto io e il mostro
soltanto io e il mostro
eravamo io e il mostro
il mostro in mezzo al lago.
Adess g’ho sô el pigiama ma sun che sura un puntiil
a specià che’l solta fô,
sunn piee de medesèn,
me parlen tücc de arterio,
ma sun che per fala fô,
te speci setaa giò cun in man dumà una frosna
e sun propi mea stremii,
facch vede a’sti tòcc de merda se te seet deent
in del laagh
o nel coo de un rembambii…
Adesso sono in pigiama ma sono qui sopra il pontile
ad aspettare che salti fuori,
sono pieno di medicine,
mi parlano tutti di arterio(sclerosi),
ma sono qui per sfidarti,
ti aspetto qui seduto con in mano solo una fiocina
e non sono affatto spaventato,
fagli vedere a questi pezzi di merda se sei dentro
nel lago
o nella testa di un rimbambito…
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
senza i me occ el ghe sariss mai staa.
Un mustru,
un mustru,
un mustru,
vegnüü’n de un teemp che l’era piô el sò.
Ho veduu el mustru,
(un mustru)
ho veduu el mustru,
(un mustru)
ho veduu el mustru,
el mustru vardamm.
Ho veduu el mustru,
(un mustru)
s’erun mi e’l mustru,
(un mustru)
dumà me e’l mustru,
el mustru in mezz al laagh.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
senza i miei occhi non ci sarebbe mai stato.
Un mostro,
un mostro,
un mostro,
venuto in un tempo che non era più il suo.
Ho visto il mostro,
(un mostro)
ho visto il mostro,
(un mostro)
ho visto il mostro
il mostro guardarmi.
Ho visto il mostro,
(un mostro)
eravamo io e il mostro,
(un mostro)
soltanto io e il mostro
il mostro in mezzo al lago.
Parlumm mea de barbera,
nel buceer gh’è la dencéra
che la riid senza di me.
Non parlarmi di barbera,
nel bicchiere c’è la dentiera
che ride senza di me.

Immagine di apertura: Foto di Sergio Cerrato – Italia da Pixabay

3 pensieri riguardo “Il trillo del diavolo: “El mustru”

  • Articolo bello, l’ho messo su un sito di news lombarde. Ma la descrizione del laghee, seppur simpatica, è un po’ da rivedere, poteva essere un’occasione di smontare un po’ dei miti sulla linguistica italiana 😉

    Rispondi
  • Ottimo articolo. Il connubio scienza-Van de Sfroos poi è tanto bizzarro quando piacevole per un fan come me.

    Rispondi
  • Bell’articolo su una canzone di uno dei miei artisti preferiti. Solo un appunto: “lingua oscura per i milanesi” non mi sembra corretto, il laghee e’ solo una variante del lombardo occidentale che era parlato (ora assai poco purtroppo) in un’area piuttosto vasta. La lingua parlata da Van de Sfroos e’assai ben compresa anche fuori dalla sua area. Io da Monzese la capisco benissimo (anzi direi che e’ identica a quella che imparai da mia nonna…). Alcuni miei amici Cremonesi lo capiscono benissimo. Mia moglie e’ Piemontese e, pur chiedendomi di tradurre alcune parti che le sono oscure, lo capisce eccome ed e’anch’ella una fan (forse piu’ di me).

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *