20 Aprile 2024
Approfondimenti

I cannibali di Sir Franklin

La presente traduzione è autorizzata da Skeptoid Media, Inc. sulla base dell’articolo originale a firma di Brian Dunning, pubblicato su Skeptoid. Copyright Skeptoid Media, Inc. Si ringrazia Andrea Damico per la traduzione.

Il 1845 vide la partenza del quarto viaggio di Sir John Franklin verso l’Artico canadese, in cerca di un passaggio a Nordovest che oltrepassasse il Canada, per conto dell’Ammiragliato britannico. Alla partenza dall’Inghilterra, a bordo di due navi trialbero a vapore, la HMS Terror e la HMS Erebus, i membri dell’equipaggio avrebbero visto casa per l’ultima volta. Due mesi dopo incontrarono delle baleniere presso la baia di Baffin. Da allora in avanti nessun europeo vide più Franklin e i suoi 128 compagni vivi. Gli eventi successivi sono stati da sempre un mistero su cui hanno contribuito a far luce soltanto prove occasionali e frammentarie, annebbiate tuttavia dalle chiacchiere, dalle speculazioni, dalle storie da marinaio e dalla voce più inquietante di tutte: il cannibalismo. Cosa possiamo scoprire sul vero destino della spedizione perduta di Franklin?

Due anni dopo la partenza di Franklin, l’Ammiragliato lo diede per disperso. Nel corso del decennio successivo vennero varate almeno trenta spedizioni con l’obiettivo di cercare Franklin. Soltanto qualcuna ottenne risultati di qualche tipo. Alla fine si riuscì ad appurare che tutti i membri dell’equipaggio erano morti, ma le circostanze rimasero avvolte nel mistero, dando adito a voci e affermazioni l’una più assurda dell’altra.

Nel 1928, Rupert Gould, ufficiale di marina e storico britannico, scrisse Oddities: A Book of Unexplained Facts[1][2], in cui descrive come numerose navi che facevano servizio di linea nell’Atlantico abbiano avvistato, nel 1851, due navi incagliate in un iceberg al largo della costa del Newfoundland. Stando ai dettagli visibili fu possibile ipotizzare che le due navi fossero la Terror e la Erebus. È possibile che sia stata questa la fine della spedizione? O forse furono la fame e il cannibalismo a decretarne la fine?

C’è anche un’altra ipotesi, com’è comune nei casi di misteri famosi: la storia della spedizione perduta di Franklin è stata abbellita da una teoria del complotto tutta sua. C’è chi dice che Franklin fosse stato inviato per investigare un fenomeno misterioso, forse uno simile a quello cui credono i seguaci delle varie teorie della Terra cava, secondo cui una razza aliena abita nelle profondità della Terra, entrandovi e uscendovene tramite grandi buchi presenti ai poli. Quando Franklin non fece più ritorno dal suo viaggio che avrebbe dovuto investigare su questi giganteschi buchi, l’Ammiragliato britannico avrebbe deciso di nascondere tutto e le spedizioni inviate in cerca di Franklin non avrebbero ottenuto risultati di proposito.

Che prove ci sono a sostegno di questa tesi?

Beh, non ce ne sono. Proprio nessuna. In effetti, è talmente priva di prove a sostegno che nessuno suggerì un’idea talmente strampalata prima che Jeffrey Blair Latta se la inventasse di sana pianta nel suo libro The Franklin Conspiracy: An Astonishing Solution to the Lost Arctic Expedition[3], edito nel 2001.

Ma le speculazioni valgono quello che valgono. Piuttosto, diamo un’occhiata alle prove che esistono, per quanto esigue, e vediamo cosa possono insegnarci. Nel 1850 avvenne una delle prime scoperte: un accampamento invernale abbandonato sull’isola di Beechey e le tombe di tre dei membri dell’equipaggio di Franklin. Numerose squadre di soccorritori visitarono l’isola, ma nulla sembrava suggerire cosa fosse successo al resto della spedizione. Tuttavia, nel corso degli anni seguenti sarebbero state scoperte ulteriori prove, molto più a Sud.

Seguendo il Passaggio a Nordovest verso Sud a partire dall’isola di Beechey per qualche centinaio di kilometri si giunge all’isola di Re Gugliemo. Si tratta di una vasta distesa di roccia piatta addolcita dall’azione glaciale: 12.500 kilometri quadrati di tundra spoglia punteggiata da innumerevoli stagni. La costa orientale si affaccia sul Passaggio a Nordovest. Lungo entrambe le coste orientale e meridionale dell’isola sono stati rinvenuti almeno venti siti contenenti artefatti lasciati lì dal gruppo di Franklin. È importante notare che tra tali artefatti sono state rinvenute due note inserite dall’equipaggio di Franklin all’interno di un tumulo di pietra, l’una a distanza di un anno dall’altra. La prima indicava che l’equipaggio aveva trascorso l’inverno del 1845-46 al campo sull’isola di Beechey, durante il quale i tre uomini nelle tombe morirono di tubercolosi.

Quella primavera procedettero il viaggio a Sud verso l’isola di Re Guglielmo, finché, con la costa in vista, le navi si incagliarono nel ghiaccio alla fine del 1846. Trascorsero l’inverno a terra e lasciarono la prima nota nel maggio del 1847, dicendo che tutto andava bene. Ma non sarebbe durata. Franklin stesso sarebbe morto di lì a poco e il ghiaccio cominciò ad avviluppare le navi per tutta l’estate del 1847 fino all’inverno del 1848. A questo punto, i sopravvissuti decisero di abbandonarle. Lasciarono una seconda nota in cui dicevano che, fino ad allora, erano morti 24 uomini e che avrebbero condotto le scialuppe verso sud, lungo la costa dell’isola di Re Guglielmo, dirigendosi alla foce del fiume Back, la via d’acqua principale che conduceva alla salvezza, verso l’entroterra canadese: un viaggio di circa 500 kilometri. E a partire dalla data riportata sulla nota dell’aprile del 1848, non abbiamo prove documentali di cosa fu di quegli uomini, né se si diedero mai al cannibalismo, né su cosa, in definitiva, li abbia uccisi.

Ciò ci riconduce a quello che abbiamo appreso dalle squadre di ricerca susseguitesi dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, per 150 anni. Nel 1854, una spedizione condotta da John Rae, Agente in Capo della Compagnia della Baia di Hudson, rinvenne dell’argenteria e altri artefatti un tempo appartenuti all’equipaggio, dimostrando che effettivamente riuscirono a circumnavigare l’isola di Re Guglielmo e cominciarono a discendere lungo la penisola di Adelaide, in direzione del fiume Back. Nel 1859, una squadra in slitta condotta da Sir Francis McClintock scoprì il tumulo contenente le note, degli scheletri presso alcuni dei campi costieri e una delle scialuppe, abbandonata all’estremità occidentale dell’isola di Re Gugliemo, contenente due scheletri e carica di provviste. Molte altre spedizioni scoprirono i campi e le tombe, oltre a resti scheletrici, ma mai al di sotto di un certo punto lungo la penisola di Adelaide.

Anche la scienza forense moderna ha contribuito a far luce sul quadro. A partire dagli anni Ottanta, l’antropologo canadese Owen Beattie ha trascorso molti anni presso i siti della spedizione di Franklin. La sua analisi dei cadaveri rinvenuti presso l’isola di Beechey ha rinvenuto livelli elevati di avvelenamento da piombo, quasi certamente dovuto alla saldatura usata per sigillare le latte di cibo e per le tubature usate a bordo della HMS Terror e della HMS Erebus. Beattie e altri hanno concluso che i livelli di piombo erano pericolosi e che abbiano probabilmente indebolito gli uomini, rendendoli più suscettibili alla tubercolosi o alla polmonite, ma probabilmente le dosi non erano così elevate da causarne direttamente la morte. Non vi sono prove che suggeriscano che gli uomini fossero affetti da sintomi tipici degli ultimi stadi dell’avvelenamento da piombo, quali il delirio.

Gli studi di Beattie e quelli posteriori da parte di altri autori hanno rilevato prove significative di cannibalismo. Le ossa presentavano eloquenti segni di coltellate e alcune erano state persino bollite. Purtroppo, questo tipo di prova è stata rinvenuta presso numerosi siti, non uno o due soltanto. Pare che la più inquietante delle voci sulla spedizione di Franklin si sia rivelata sin troppo vera. Ma nonostante le prove ci abbiano condotti fino a questo punto, non abbiamo ancora una storia dettagliata degli ultimi mesi di quegli uomini o di quanti di loro abbiano resistito e per quanto.

Gli storici che vogliono ricostruire il destino della spedizione di Franklin hanno un carico da undici che manca agli investigatori di altri misteri: le testimonianze oculari. Il gruppo di Franklin non era da solo nell’Artico. Vi vivevano infatti dei nativi di etnia Inuit che interagirono con la spedizione in numerose occasioni. È vero che gli Inuit all’epoca non possedevano una storiografia scritta che oggi ci sia utile, ma ne avevano una orale. È chiaro che le storie tramandate per via orale sono imperfette, in quanto soggette a distorsione per molte vie, ma rimangono utili come prove aneddotiche, il cui valore più importante è suggerire indicazioni per ricerche aggiuntive, esattamente come nel caso della ricerca di Franklin.

Il miglior libro su questo argomento è forse Unravelling the Franklin Mystery: Inuit Testimony[4] di David Woodman. Molte spedizioni, incluse quelle di Rae e McClintock, hanno raccolto diverse testimonianze Inuit. I racconti degli Inuit hanno fornito molti dettagli, anche se spesso la cronologia e i luoghi risultano ambigui. Un gruppo di Inuit era persino salito su una delle due navi abbandonate quando era ancora incagliata nei ghiacci. Nel complesso, i racconti degli Inuit concordano con la storia raccontata dalle prove archeologiche e documentali. Man mano che gli uomini morivano durante il viaggio e il gruppo si disperdeva per ogni dove, quello più consistente, di 35 o 40 uomini, raggiunse un punto sulla penisola di Adelaide oggi noto come “Starvation Cove”[5]. Fu qui che gli ultimi uomini morirono mentre tentavano di usare la carne dei loro compagni deceduti in uno sforzo disperato e in definitiva infruttuoso di salvarsi.

L’enfasi di Woodman sulla storiografia orale degli Inuit non è stata scevra da critiche, così come avvenne, negli anni Cinquanta dell’Ottocento, nel caso di John Rae. Rae, che visse tra gli Inuit, aveva iniziato a riporre molta fiducia nelle loro storie orali. Un recensore del libro di Woodman scrive:

Tuttavia, [Woodman] è vittima di un tipo di pregiudizio: quello per cui nelle culture orali, i racconti di eventi (da non confondere con quelli mitologici) per quanto vecchi e raccontati chissà quante volte, posseggano un fondo di verità. È possibile che queste si intreccino inestricabilmente con i preconcetti culturali… Alcuni aspetti delle storie raccontate da alcuni individui devono essere considerati inattendibili.

C’è una citazione dal libro di Woodman che penso meriti una menzione speciale. In riferimento alla cronologia ricostruita della spedizione di Franklin:

L’analisi del relitto e degli artefatti in esso contenuti dimostreranno certamente altri errori nella ricostruzione presentata in questo libro, costringendo a effettuare revisioni importanti. Ne sono lieto. Nessuno è più conscio di me dello stato di frammentarietà in cui attualmente versano le prove, che rende possibile costruire narrazioni concorrenti di pari probabilità e che quella presentata in questo libro è semplicemente il frutto imperfetto del mio duro lavoro. Nuove prove, di qualunque tipo esse siano, ridurranno il ventaglio delle possibilità e si spera conducano a una più piena comprensione.

L’atteggiamento di Woodman è il vero cuore dell’indagine scientifica. Il solo non sapere qualcosa non significa che ciò sia inconoscibile, né che non se ne abbia un’idea abbastanza buona. E quando ne abbiamo una, dobbiamo essere sempre aperti alle migliorie e alle correzioni. È grazie a questo processo che possiamo avere la certezza che le nostre teorie attuali sono tanto valide quanto la nostra abilità di formularle e miglioreranno quasi certamente.

Nel 2014 fu rinvenuto il relitto della Erebus sul fondale oceanico nelle vicinanze di dove fu abbandonata tra i ghiacci dalla ciurma. È la prova più grande e più solida che sostenga la cronologia attualmente accettata, ma, come tutte le altre prove che compongono questo caso, da sola non ci dice molto. Serve una combinazione di prove fisiche, documentali e persino aneddotiche per avere un quadro quasi completo. La storia della spedizione perduta di Franklin ci fornisce un esempio elegante del valore di tutti i tipi di prova.

[1] Nessuno dei libri menzionati in questo articolo è mai stato tradotto in italiano. Verrà fornita una traduzione del titolo esclusivamente a scopo informativo.
[2] Curiosità: Un libro di fatti inspiegati.
[3] La cospirazione contro Franklin: Una soluzione sorprendente per il caso della spedizione artica perduta.
[4] Svelare il mistero di Franklin: Testimonianze inuit.
[5] Letteralmente, “baia della fame”.

Immagine dall’Illustrated London News, Wikimedia Commons, pubblico dominio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *