15 Aprile 2024
A che punto è la notte

A che punto è la notte 16 – Libri misteriosi

Con questa rubrica facciamo il punto sui mysteri di vecchia data, che esercitano ancora tutto il loro fascino pur essendo già stati smentiti e razionalmente spiegati. Oggi parliamo di libri misteriosi, indecifrati o maledetti.

Nota dell’autrice: spero che tutti voialtri che vi trovate dall’altra parte dello schermo sappiate apprezzare come merita il sacrificio compiuto da me medesima, che per scrivervi questo pezzo (senza il quale, riconosciamolo, lo scibile umano sarebbe infinitamente più povero) si è sciroppata una lunga porzione di quella certa trasmissione televisiva che in molti scambiano per divulgazione scientifica ma in tanti ritengono si tratti invece di cabaret. (No, il link non ve lo do, ché mica posso farvi indulgere in certi guilty pleasures.)

Ho ancora le coronarie in fibrillazione per l’eccesso di musica thriller-di-paura che accompagnava ogni singola frase pronunciata nel corso del servizio, pure le pause. Per riprendermi dalla tensione, sto seriamente valutando la possibilità di scriverlo sui pinguini, il prossimo articolo, o sul ricamo in epoca vittoriana, o sulle meravigliose tecniche di montaggio e vapor-ware usate dalla suddetta trasmissione per convincere lo spettatore che ci siano misteri pure là dove al massimo c’è qualcosa di sorprendente. E con i libri misteriosi siamo quasi sempre in questo territorio, i casi al momento inspiegati sono davvero pochi, soprattutto se facciamo una cernita ragionevole di storie “vere” ed evitiamo di lasciarci affascinare dagli pseudobiblia: siccome però quest’ultima è un’impresa ai limiti della crudeltà, ci concederemo comunque di dare un’occhiata a uno dei più celebri.

Fun fact: esiste effettivamente una “maledizione dei libri“, usata in epoca antica per proteggere i manoscritti dai ladri, la cui prima traccia risale agli antichi Egizi.

Codex-Gigas-Devil-enhanced1 – Il Codex Gigas

Attualmente conservato nella Biblioteca Nazionale svedese, dopo essere stato trafugato dal monastero polacco di Podlažice dove è probabilmente stato creato, si tratta del manoscritto medievale più grande del mondo, dal momento che misura 92x50x22 cm e pesa quasi 75 kg. Già questo lo rende un’opera abbastanza impressionante, ma l’elemento più storicamente intrigante riguarda la grafia, che non presenta significative variazioni nonostante il lungo periodo che la scrittura di un simile tomo deve aver richiesto: in effetti, tutta le analisi condotte avallerebbero la possibilità che sia stato redatto da un solo amanuense, ma per farlo, ci sarebbero voluti almeno venti anni ed è stupefacente che non si riscontrino segni di stanchezza o di età. Comunque, già la leggenda originaria raccontava del monaco hermann inclusus (Herman il recluso?) che redasse il Codex a espiazione dei propri peccati, ed è probabilmente l’opera di una vita cui si è dedicato qualcuno che voleva completamente isolarsi dal mondo e dedicarsi a Dio.

E il Codex è in effetti un’opera monumentale e unica, che contiene una copia integrale della Bibbia, dei testi di storia, un calendario, l’elenco dei monaci dei monasteri della zona, formule magiche e vari altri trattati. A colpire l’immaginario, però, sono alcune pagine in particolare, la cui pergamena è annerita e sembra diversa dalle altre, e che precedono la straordinaria figura del folio 290, un grande diavolo, anch’esso in colori sgargianti come le altre illustrazioni, riccamente dotato di artigli, corna e zanne. Raffigurazioni del diavolo in epoca medievale non erano così infrequenti, tuttavia raramente occupavano da sole un intero, prezioso e costoso foglio; questa anomalia ha guadagnato al Codex il nome di Bibbia del Diavolo e naturalmente ha arricchito la leggenda di nuovi particolari: essendo stato condannato a essere murato vivo (inclusus) per aver violato la regola benedettina, il monaco Herman avrebbe chiesto la grazia promettendo di scrivere in una sola notte un libro contenente l’intero scibile umano, che avrebbe portato al monastero gloria imperitura. Non riuscendoci, invocò, per l’appunto, il Diavolo, cui vendette l’anima in cambio dell’opera compiuta. (Versioni leggermente differenti dicono che invece il monaco abbia scritto il Codex proprio per salvarsi l’anima, e altre ancora che comunque alla fine la Vergine Maria impedì al Diavolo di ottenere il proprio pegno.)

La figura è affascinante, ma visto che alla pagina precedente è altresì dipinta con dovizia di particolari una Città Celeste, pare abbastanza evidente che il monaco Herman, ammesso che sia mai esistito, desiderasse solo sottolineare ancora una volta l’eterno contrasto fra il Bene e il Male.

(E sempre sul Diavolo scrittore ci sarebbe anche l’intrigante leggenda della lettera diabolica, rimasta a tutt’oggi indecifrata, inviata a suor Crocifissa, antenata di Tomasi di Lampedusa che ne parla in quel meraviglioso romanzo che è Il Gattopardo.)

 image622 – I rotoli del Mar Morto

(Nota: La storia dei rotoli del Mar Morto, o manoscritti di Qumran, è talmente lunga e complessa che pensare di poterne discutere in questa rubrichetta è un’eresia. Tuttavia, l’importanza del loro ritrovamento e della loro analisi è stata ed è talmente significativa da non poter rimanere immune da interpretazioni fantasiose e complottismi vari, perciò non li si può nemmeno ignorare completamente se si parla di libri misteriosi. Per cui diciamo che ci limiteremo a una via di mezzo e ne parleremo senza pretendere di essere del tutto esaustivi, né sotto il profilo storico né sotto quello del dibattito in corso.)

Per rotoli del Mar Morto si intende poco meno di un migliaio di papiri recuperati nell’arco di dieci anni in alcune grotte intorno all’antico insediamento di Khirbet Qumran, nel Mar Morto. Si tratta di frammenti di quasi tutti i libri che poi sono andati a costituire l’Antico Testamento così come lo conosciamo e che le datazioni al carbonio-14 collocano fra il 300 a.C. e il 100 d.C.: si tratta quindi di una delle più antiche versioni mai recuperate del libro sacro, cui si aggiungono diversi altri testi anche non biblici ma comunque di natura religiosa. Il contenuto dei primi ritrovamenti fu reso pubblico in un tempo abbastanza breve, ma la diffusione subì una lunga battuta d’arresto negli anni ’60, quando il team internazionale creato per proseguire gli scavi e analizzare i reperti rese pressoché impossibile l’accesso agli stessi a chiunque non facesse parte della squadra di lavoro e rilasciò pochissime informazioni. Ora tutti i rotoli e i frammenti sono stati fotografati e sono di dominio pubblico, disponibili anche online.

La teoria maggiormente accreditata in merito all’origine dei manoscritti è che siano opera di una setta ebraica (i più quotati sono gli Esseni) e siano stati nascosti nelle grotte nel corso della rivolta ebraica del 66 d.C.. Qualcuno preferisce evitare l’associazione diretta con gli Esseni e parla più genericamente, appunto, di una setta; altri ipotizzano una formazione giovanile di Gesù o Giovanni Battista nella setta di Qumran, cosa che spiegherebbe le numerose eco che si ravvisano nella dottrina cristiana di ciò che è scritto nei rotoli. Qualcun altro ancora, invece, ha cercato di dimostrare, avendo apparentemente dalla sua parte qualche fondamento, che uno dei frammenti è riconducibile persino al Nuovo Testamento, nello specifico al Vangelo di Marco.

Tuttavia, il tempo lunghissimo che è stato necessario perché i rotoli fossero condivisi all’esterno del team internazionale è naturalmente stato terreno fertile per far sorgere dubbi e sospetti in chi ha voluto vedere un complotto per mettere a tacere le verità sconvolgenti che l’analisi dei frammenti andava via via rivelando. Fra coloro che pressavano il team perché rilasciasse il contenuto dei papiri vi era anche Robert Eisenman, che a un certo punto, in qualità di responsabile della biblioteca ove erano conservate le copie fotografiche dei rotoli, decise di ovviare da sé al problema e le mandò in stampa. Eisenman rifiuta la teoria (e le datazioni al carbonio) generalmente condivisa e colloca la scrittura dei papiri in un tempo leggermente successivo, trasformandoli nei primi documenti cristiani, dove emerge con chiarezza il ruolo di Giacomo il Giusto, fratello di Gesù, nella nascita della chiesa cristiana.

La teoria di Eisenman – che a sua volta prende l’abbrivio da alcune dichiarazioni del 1956 rilasciate da un membro del team internazionale, secondo cui una parte consistente del credo cristiano, crocifissione compresa, poteva essere rinvenuta nei manoscritti di Qumran – è generalmente rifiutata dalla maggior parte del mondo scientifico, ma suscitò l’attenzione di due aspiranti scrittori, che nel 1991 pubblicarono il saggio “Il Mistero del Mar Morto – Lo scandalo dei rotoli di Qumran“, nel quale appunto si teorizzava che i rotoli fossero opera dei primi seguaci di Gesù, sotto la guida di Giacomo.

I due autori erano Michael Baigent e Richard Leigh. Non vi sorprenderà quindi scoprire che in realtà nei rotoli è scritto a chiare lettere che Gesù era umano, e sposato con Maria Maddalena, e che a cancellare le tracce di questa verità fu la corrente di pensiero più conservatrice che ebbe la meglio dopo la morte del Maestro, ma che nel corso dei secoli molte società segrete furono fondate allo scopo di conservare e proteggere il segreto e anche la sua traccia più tangibile, il sacro Graal, che la Maddalena avrebbe portato con sé in Francia dopo aver lasciato la Palestina e che nel loro libro più celebre (cioè, quello reso celebre da Dan Brown) hanno rivelato essere non la coppa dove fu raccolto il sangue di Cristo crocifisso, ma il suo vero sangue, la sua progenie, il Sang Real, cioè i Merovingi futuri re di Francia. Che alla fiera dell’Est mio padre comprò. (Se non conoscevate l’ipotesi del Codice da Vinci e vi ho spoilerato, tranquilli, alla prima occasione mi ringrazierete con un caffè.)

Anche questa teoria, stranamente, non è presa troppo sul serio nella comunità scientifica.

3 – Il manoscritto Voynich05-sunflower

Per quanto improbabile possa sembrare, intorno a quello che è ancora e a pieno titolo un vero e proprio mistero non si è scatenata, da parte dei nostri alternativisti, alcuna gara alla spiegazione più implausibile e fantasiosa, e sì che di materiale ce ne sarebbe a iosa.

Il manoscritto Voynich, infatti, è probabilmente l’unico testo medievale che a oggi nessuno sia ancora riuscito a decifrare nemmeno parzialmente.

Si tratta di un volume di dimensioni abbastanza modeste, che l’antiquario Wilfrid Voynich trovò fra altri volumi acquistati da un collegio gesuita italiano bisognoso di fondi. Diviso convenzionalmente in quattro sezioni sulla base dell’argomento che, all’incirca, sembra trattato nelle illustrazioni, è per l’appunto riccamente miniato con figure di vario genere e una fitta scrittura tutt’intorno. Sebbene molte delle immagini riproducano piante e vegetali, nessuna è stata mai ricondotta con certezza a specie a noi note: qualcuno vuole riconoscere in uno dei fiori un presunto girasole,il  che consentirebbe di datare il manoscritto almeno all’anno successivo la scoperta dell’America, ma l’identificazione è tutto fuorché certa. Anche la datazione è infatti oggetto di dibattito, e il radiocarbonio è stato utilizzato su porzioni troppo piccole e prive di inchiostro per poter dirimere la questione in maniera definitiva.

Allo stesso modo, nemmeno le più moderne tecniche di decifrazione sono riuscite a tradurre il codice del testo, ammesso poi che codice vi sia: potrebbe infatti trattarsi anche semplicemente di un clamoroso falso, costruito ad hoc per simulare i testi alchemici da cui era particolarmente affascinato l’Imperatore Rodolfo cui, guarda caso, il manoscritto fu venduto a caro prezzo. Tuttavia, la complessità del volume sembra davvero eccessiva per una simile finalità: sarebbe stato sufficiente un testo più semplice o disegni meno elaborati per spacciare comunque il libro per un misterioso volume di incantamenti. Gli studiosi continuano quindi a cercare la chiave del codice, e ancora l’anno scorso un professore di linguistica inglese ha pubblicato la possibile traduzione di alcune parole e di alcuni dei simboli dell’alfabeto usato, mentre altri due studiosi avrebbero proposto una datazione successiva e l’origine nella Spagna coloniale del 1500.

Si penserebbe quindi che di fronte a un simile oggetto gli alternativisti siano andati in brodo di giuggiole, e abbiano evocato tutti i loro numi tutelari, dagli Illuminati agli Alieni, dalle Piramidi al Triangolo delle Bermude. Se ciò accade, si verifica probabilmente in una corrente minoritaria: ho trovato pochissime tracce di interpretazioni del genere e stranamente anche la letteratura pseudoscientifica è piuttosto scarna, mentre è più frequente la narrativa pura e semplice, dichiaratamente d’invenzione.

Personalmente, l’ipotesi che mi affascina di più è quella della glossolalia, cioè di qualcuno che abbia scritto in una specie di flusso di coscienza, magari convinto di avere la mano guidata da voci divine e ultraterrene: l’insieme complessivo del testo, una certa ossessività nelle parole e la stranezza dei disegni sarebbero ben spiegati da questa teoria. Tuttavia, gli indizi a favore della tesi fraudolenta sono decisamente numerosi: in particolare, l’assenza di qualsivoglia correzione al testo, e la crescente complessità e astrazione delle illustrazioni.

4 – Il Necronomicon415H6WB3xwL._SX303_BO1,204,203,200_

A riprova di una certa incoerenza fra le fila degli alternativisti, come abbiamo visto latitano laddove c’è un mistero reale o comunque una vera sfida intellettuale, mentre sono bravissimi a costruire cosmogonie intere dove invece di concreto c’è ben poco. In questo senso il Necronomicon è un esempio eclatante. Per i bibliofili è solo uno dei tanti casi (nemmeno il più divertente) di pseudobiblia, ovvero libri descritti all’interno di altri romanzi ma del tutto inesistenti, ad esempio la Guida Galattica per autostoppisti Le manuscript de Dom Adson de Melk, oppure tutti i presunti manoscritti che gli autori hanno fortunosamente recuperato e da cui hanno tratto i propri romanzi, da quello ritrovato a Saragozza alle memorie di Zeno pubblicate a tradimento dal suo analista, o anche i dieci racconti interrotti che compongono quel capolavoro che è Se una notte d’inverno un viaggiatore. Oppure The King in yellow, l’opera teatrale che provoca disperazione e follia in chi la legge, e che Lovecraft cita più volte nella propria opera, al punto da renderla parte integrante della mitologia di Chtulhu e dei Grandi Antichi.

The History of Necronomicon viene pubblicato dopo la morte di Lovecraft e narra la storia dell’arabo pazzo autore del libro maledetto, in cui si rivela, fra l’altro, come evocare i Grandi Antichi. Il Necronomicon fu tradotto in greco e latino, ma finì presto all’indice e bruciato: da allora hanno circolato poche copie clandestine, e dei frammenti di una traduzione in inglese, ma chiunque abbia provato a studiare il testo, o a praticarne gli arcani, è andato incontro a una terribile morte.

Nonostante i dettagli forniti da Lovecraft sul volume e il suo contenuto non siano particolarmente puntuali, in molti si convinsero che il libro esisteva davvero e che qualcosa o qualcuno aveva costretto lo scrittore a mentire. La storia sembrò dare loro ragione quando, alla fine degli anni ’70, un monaco di nome Simon offre in vendita a un negoziante specializzato in occultismo uno strano manoscritto di cui non sa nemmeno tradurre il titolo. Il grimorio maledetto, il libro dei Grandi Antichi, era finalmente riemerso dalle ombre del tempo.

Ovviamente, la storia è un po’ diversa, e narra di uno studioso di occultismo e nazismo esoterico ben consapevole di cosa avrebbe potuto significare per i cultori della materia la comparsa di uno dei libri più misteriosi di sempre. Altrettanto ovviamente, nessuna smentita è sufficiente a convincere tali cultori, convinti dell’esistenza di Chtulu, della possibilità di evocare demoni e déi grazie agli incantesimi contenuti nel Necronomicon e del fatto che ogni negazione di tali verità è solo un tentativo maldestro di insabbiare e nascondere al mondo la potenza delle forze oscure.

Immagine di apertura: Foto di Jose Antonio Alba da Pixabay

3 pensieri riguardo “A che punto è la notte 16 – Libri misteriosi

  • Dan Brown ha a sua volta copiato un libro (non ricordo più l’autore) in cui si mischiavano Merovingi, Giuseppe d’Arimatea, Maria Maddalena e Catari con particolare disinvoltura – citato anche da Umberto Eco ne Il pendolo di Foucault

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  • Sì, è “Il santo Graal” di Baigent e Leigh con Henry Lincoln, che racconta praticamente la stessa storia del Codice Da Vinci.

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  • Contro i quali Dan Brown vinse una causa intentatagli per plagio. Tra le motivazioni che lo hanno fatto vincere c’era anche quella che gli autori da cui lui ha copiato la storia hanno sempre sostenuto trattarsi di un fatto storico, pertanto non si può “copiare” da altri un fatto storico accaduto e non inventato. O qualcosa del genere.

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